Giulia Muscatelli
09 Gennaio 2025
I discorsi sui più giovani sono spesso carichi di stereotipi e di paternalismo. Invece, dalla moda ai riferimenti culturali, fra un trentenne e un teenager di oggi non ci sono poi così tante differenze. Sono infantili gli adulti o troppo maturi i ragazzini?
Sabrina ha 35 anni ed è single, dettaglio che lei vive come uno stigma. Sabrina certi giorni è single perché gli uomini l’hanno delusa, altri perché si crede brutta, altri ancora perché è grassa oppure troppo magra e certe sere, quelle buone, Sabrina è single perché non c’è nessuno alla sua altezza, nessuno degno della sua caratura morale e intellettuale.
Infine, c’è una ragione definitiva per la quale Sabrina è single, si chiama Marco. Marco è il suo collega di scrivania. Tra loro ci sono state: due toccate di mani; un’occhiata sexy; svariate battute a sfondo sessuale, un bacio che dalla guancia pareva scivolare fino all’angolo delle labbra, ma chi può dirlo con certezza, in fondo in queste cose non si sa mai, quello che è sicuro è che non c’era la lingua.
Quando Sabrina va via da casa mia, alle 3, alle 4 di notte, dopo essersi lamentata per ore, guardo il mio compagno e ripeto sempre la stessa frase: sembra un’adolescente.
Eppure, Sabrina, se si parla di relazioni o, più in generale, del suo rapporto con l’altro sesso, e della percezione della sua immagine nel mondo, è tanto più immatura di un’adolescente.
Per via di un libro che sto scrivendo, ho passato gli ultimi sei mesi a parlare di amore e sesso con ragazzi e ragazze di un’età compresa tra i 13 e i 20 anni. Ho trovato ogni tipo di storia, ogni sorta di aneddoto, sono partita con la testa piena dei postulati asseriti dalla maggioranza delle persone – alla nuova generazione non interessa niente al di fuori del social; stanno sempre al cellulare; non leggono; non sono capaci di stabilire rapporti duraturi, e altre banalità simili – e sono tornata più confusa di prima, certa che la maggioranza avesse il torto dei superficiali, il peggiore che si possa avere quando parliamo di società, e con un’unica consapevolezza, o quantomeno potente sensazione: noi trentenni e gli adolescenti di oggi ci somigliamo molto più di quanto siamo disposti ad ammettere, da entrambe le parti.
Quindi ho cominciato a domandarmi: siamo noi trentenni a essere ancora troppo immaturi o sono gli adolescenti di oggi a essere troppo cresciuti?
Per il suo primo compleanno, mio figlio ha ricevuto un Raccontastorie. È un oggetto a forma rettangolare, bianco, rosso e giallo. Ha due tasti, una piccola manopola, e un cerchio. Posizionando i vari personaggi sopra il tondo colorato, si attiva un sensore che fa partire il racconto. È bellissimo. La prima volta che mi è capitato di tenerlo tra le mani, dopo aver aspettato con apparente pazienza che il bimbo si stancasse e passasse ad altro, l’ho tastato per svariati minuti. Ho ammirato la sagoma, i rilievi e le scanalature, le bombature sugli angoli protetti da un involucro di silicone. Non sono interessata alla sua funzione, credo di non averlo mai acceso per me, ma adoro averlo tra le dita, osservarlo. Se non glielo avessero comprato l’avrei fatto io. Quell’arnese, a tratti inutile a tratti acutissimo, ricorda in tutto e per tutto un Game Boy, la console portatile per videogiochi uscita proprio l’anno della mia nascita, il 1989, è diventata accessorio di culto per tanti giovani della mia generazione. Il Game Boy che mia madre non mi ha mai concesso di possedere; il Game Boy che ho annusato nei vari centri commerciali, lo stesso che fregavo dalla cartella del mio amico Andrea sul pullman, in gita, dopo che si era addormentato; il Game Boy che si trova oggi sui banchi dei mercatini vintage a prezzi irragionevoli, quello che io e il mio compagno ci proponiamo di compare anche se rotto, anche se impossibile da accendere, soltanto per appagare un desiderio del passato divenuto ossessione, alimentato dalla crescita o dall’età adulta, o forse dalla mancata accettazione di entrambe, chi lo sa.
Se prendiamo in considerazione tutto ciò che ha a che fare con i consumi commerciali è chiaro che il marketing agisce in maniera subdola, premendo sui pulsanti che attivano il nostro sentimento di nostalgia, emozione spontanea, a tratti inconscia. Proprio come è accaduto a me con il Raccontastorie.
Tanti di noi, poi, sono portati a romanticizzare il passato, anche quando non è stato il massimo, per il solo fatto di essere stati, appunto, più giovani di come siamo ora. Non mi sono troppo stupita, dunque, quando entrando in una classe ho notato una ragazza che indossava la stessa felpa che mi ero comprata qualche settimana prima da H&M. Mi ha sorpreso, invece, sentirmi dire da un ragazzo di 17 anni che la serie Skam Italia fosse noiosa, forse rappresentativa di una certa parte di persone della sua stessa età, ma comunque ripetitiva e scontata. Mi sono trovata ancora più in imbarazzo quando altri mi hanno confermato la stessa opinione o quando ho definito “interessante” Sex Education: lì sono stata guardata con compassione. Io e Sabrina, Skam l’abbiamo adorata. Ci siamo scambiate centinaia di messaggi per ogni puntata, abbiamo condiviso opinioni in vocali da tredici minuti, per un po’ è stata la nostra base per sproloqui sulla vita e sull’amore, come se avessimo trovato la rappresentazione definitiva dei nostri sentimenti.
I protagonisti di Skam hanno tra i 15 e i 18 anni. Quando io e Sabrina parlavamo di loro non riportavamo a galla storie del passato remoto ma ci riferivamo sempre al presente. E non solo per ciò che riguarda le relazioni. Le insicurezze sul corpo sono state il nostro argomento definitivo, quello che più di tutti ci ha fatto piangere e riflettere. Eravamo, siamo, ci sentivamo, uguali a quelle ragazzine e a quei ragazzini che decidono di non indossare una minigonna o un maglione appariscente, a quelli stanchi di essere lasciati da parte perché giudicati con un aspetto non conforme al canone. “Come è possibile”, ci domandavamo al termine di ogni sessione di confronto, come una sentenza che termina senza colpevole, “Perché siamo ancora così insicure? Perché non abbiamo imparato nulla dal passato? Perché siamo ancora così fragili? E come è possibile che invece le vere adolescenti di oggi, quelle che la serie vuole rappresentare, non si sentano rappresentate?”.
Certo, la vita ci ha distratto. Non passiamo più ore in bagno e usciamo anche senza il maglione perfetto. Il lavoro, i figli, l’affitto, le bollette ci hanno sottratto il tempo di pensare alle inezie per dedicarci solo alle cose che contano, quelle cose che ci fanno sentire grandi e realizzate fino a quando non piangiamo per la cellulite o per uno che visualizza e non risponde.
Dentro di noi siamo sempre quelle ragazzine, anzi, siamo peggio. Nel mio viaggio ho incontrato tanti giovani con un livello di consapevolezza che io fatico a raggiungere. Carmen, seconda liceo, mi ha mostrato la sua lista di cinque punti per raggiungere il successo. Il suo sogno è: fare soldi. Magari fosse stato il mio! Carmen non è superficiale per questo, è determinata. La sua famiglia vive in condizione di indigenza e lei vuole un futuro diverso. Vuole aiutare, cambiare le cose per sé e per gli altri. Mi ha detto che bisogna cominciare presto, altrimenti ti perdi. Carmen pare avere 30 anni, anzi, no. Io trentenni determinate come Carmen non ne conosco.
“Tanti di noi, poi, sono portati a romanticizzare il passato, anche quando non è stato il massimo, per il solo fatto di essere stati, appunto, più giovani di come siamo ora”.
Giovanni, classe 2007, mi ha consigliato di leggere Un amore di Buzzati. Io gli parlavo dei suoi racconti, sfoggiando le mie conoscenze in materie letterarie, e lui, palesemente scocciato da tanto blaterare, mi ha detto: “Certo, sono meravigliosi. Ma in Un amore c’è tutta la mediocrità dell’essere umano, tutte le sue contraddizioni. Non è una storia per chiunque ma a te potrebbe piacere”. Come è possibile che Giovanni, bocciato due volte in seconda ginnasio, appassionato di “sigarette e erba” come lui stesso ha scritto nel primo tema che gli ho assegnato, abbia tanto apprezzato la storia di un uomo adulto, Tonino Dorigo, innamorato di Laide, giovane prostituta?
Sarebbe bello rispondersi che questo può la grande letteratura, arrivare ovunque e a chiunque, ma non voglio peccare di facile romanticismo. Giovanni mi ha poi confessato di provare pena per Tonino e per questo di comprenderlo appieno: è convinto che Laide debba amarlo per forza, in quanto uomo colto e benestante, e non si rende conto che lei va con lui perché è il suo lavoro, finge di desiderarlo per quelle ventimila lire che le dà al termine di ogni incontro. Tonino è un illuso, mi ha detto Giovanni, e gli illusi non trovano pace, mai. Io mi sento uguale.
Da Giovanni ci aspettiamo che passi il tempo libero su TikTok, al massimo in giro con gli amici, a commentare culi e calcio. E forse lo fa, fa anche questo. Giovanni, tutti i Giovanni della sua età, sono molto di più di quello che noi pensiamo di loro, del nostro pregiudizio.
Ho suggerito a Sabrina di leggere Un amore. Arrivata a pagina 45 mi ha scritto un messaggio: ma che libro mi hai dato? Il protagonista è una merda maschilista.
Quando sei giovane e hai il privilegio di nascere nella parte di mondo fortunata, tutto è più facile, sono gli altri ad occuparsi delle cose serie, tu hai l’unico dovere di sognare, costruire il domani. Poi cresci e al posto dell’adulto ti siedi tu, la sedia è scomoda, i posti accanto al tuo si fanno sempre più vuoti, è a te che tocca sistemare la tavola: la solitudine si estende. Quando sei giovane hai mille limiti, non sei davvero libero ma costretto in quello che gli altri scelgono per te, e se hai un’opinione diversa riguardo alla tua vita è difficile farsi capire, farsi ascoltare. Sei confuso, non domi le emozioni che si presentano impetuose, cariche di novità e aspettative disattese. È sciocco affermare che ci sia un’età migliore e una peggiore, dunque. Se abbiamo la fortuna di vivere abbastanza a lungo, tutti abbiamo avuto l’età che stiamo criticando e tutti siamo stati più giovani di come siamo adesso. C’è sempre stato, e c’è ancora, qualcuno più grande di noi che raccontava dei nostri fallimenti come comunità, delle nostre passioni reputate sbagliate, della nostra maleducata noncuranza verso gli altri. E noi, noi che adesso siamo quelli lì, i vecchi, li guardavamo con misericordia, pensando: giuro che da grande non sarò così. Sarebbe meraviglioso se il futuro tenesse fede a questa promessa.
Se poi guardiamo la realtà da un altro punto di vista è bello pensare che ci somigliamo un po’ tutti. O almeno lo è per noi più grandi. Certo, non è divertente struggersi ancora per le stesse futilità del passato, ma sembra di respirare aria fresca a pensare di essere ancora tanto insicuri.
Quanto è bella, quanto è allegra, l’insicurezza. Quanto è occasione di movimento, di sorpresa.
A preoccuparmi dunque non è questa mia generazione di donne e uomini immaturi sentimentalmente, e soprattutto rifuggo la parola generazione come rifuggo ogni tipo di generalizzazione che conduce all’appiattimento degli individui – ma mi domando cosa stiamo facendo alle persone più giovani, portando modelli sempre più vicini alla nostra concezione di essere umano adulto e responsabile. Ci vestiamo come loro, parliamo come loro, amiamo o non amiamo come loro, guardiamo serie e film con protagonisti della nostra età che fingono di avere la loro, ascoltiamo le loro canzoni, utilizziamo i social più di loro e poi li accusiamo di abusarne, scriviamo le loro storie senza mai interrogarli. Costruiamo interi sistemi economici sulla base delle loro preferenze calibrate però sulle nostre capacità di spesa. Li usiamo, li sfruttiamo, li giudichiamo e poi diamo la colpa a loro del declino di morale e valori. Più stronzi di così non potremmo essere: intrappolati in una visione del mondo che per forza deve rendere grazie e colpe a categorie di persone precise, una distribuzione di responsabilità che tiene conto più dell’età dell’individuo che delle sue specificità.
“Vorrei che l’amore mi desse tutto quello che io ho sempre dato agli altri. Ho sempre amato gli altri più del dovuto e ci ho sempre sofferto. Adesso che ho imparato ad amare me stessa più degli altri ho capito di meritarmi e volere qualcuno che mi ami esattamente come mi amo io, qualcuno che sappia valorizzare la persona che sono e che anziché rovinare la mia pace me la migliora, qualcuno con cui potere stare tranquilla perché una relazione dovrebbe essere un posto calmo e sicuro, non un continuo pregare l’altra persona a trattarti bene e dimostrarti amore”.
Così scrive Caterina, 16 anni, di Palermo. Quando ho fatto leggere il suo testo a Sabrina mi ha detto che è così, proprio così che spera di essere amata. Uguale a Caterina che ha trovato prima di noi le parole compiute per i nostri desideri.
Questo articolo è frutto della rielaborazione di un talk tenuto dall’autrice a Torino, in occasione della presentazione del progetto triennale “Ti vorrei dire” dell’Istituto Europeo di Design in collaborazione con Intesa Sanpaolo – Gallerie d’Italia: una ricerca, rivolta agli studenti e alle studentesse di Fotografia e Grafica Pubblicitaria delle sedi di Torino, Milano, Roma e Firenze, che punta al racconto della loro età presente attraverso una narrazione fotografica.
Giulia Muscatelli
Giulia Muscatelli si occupa di progetti di comunicazione. È consulente per la direzione creativa e artistica di alcuni centri culturali. Il suo primo libro è Balena (nottetempo, 2022).
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