25 Aprile 2025
La violenza, durante la guerra, ha dato senso a molte esistenze, anche le più meschine. Quando la guerra è terminata, con la sconfitta della Germania, molte di queste vite quel senso lo hanno smarrito.
Un secondino dal portamento marziale, faccia da idiota e occhi inespressivi, caricatura perfetta degli sbirri nazisti di George Grosz. Mungeva le vacche alla frontiera con la Lituania, ed è incredibile che quelle belle bestie non gli abbiano lasciato nessun segno della loro nobiltà. Per i suoi superiori è la personificazione delle migliori virtú tedesche: è tagliente, vigoroso, severo, incorruttibile (tra i pochi che non sequestrano i nostri pasti ai responsabili dei corridoi), ma…
Uno scienziato tedesco, non ricordo chi fosse, ha misurato l’intelligenza degli esseri viventi dal numero delle «parole» che sono capaci di riconoscere. Se non sbaglio, ha teorizzato che la creatura meno intelligente di tutte è il gatto domestico, che ne riconosce soltanto centoventotto. Un vero genio in confronto a Smetonz, da cui Pankrác non ha mai sentito nient’altro che queste quattro parole: «Pass bloss auf, Mensch!» («Stai attento, tu!») Faceva rapporto un paio di volte alla settimana, ogni volta si sforzava ma non ne combinava una giusta. Come quando il direttore della prigione lo riprese perché non lasciava mai le finestre aperte. Per un attimo, allora, quella montagna di carne ciondolò con imbarazzo da un piede all’altro, incerto sulle gambe tozze; la testa già china non avrebbe potuto piegarsi di piú, gli angoli della bocca si storsero per lo sforzo enorme di giustificarsi di fronte a ciò che le orecchie avevano appena sentito… e d’un tratto tutta quella materia prese a urlare come una sirena; gridava l’allarme in ogni corridoio, ma nessuno capiva cosa stesse succedendo: le finestre continuavano a rimanere chiuse, solo il sangue colava dal naso dei due prigionieri piú vicini a Smetonz.
Finalmente aveva trovato la soluzione.
La soluzione, quella di sempre. Picchiare, picchiare chiunque gli capitasse a tiro, picchiare fino a uccidere. Picchiare, questo Smetonz lo capiva bene, soltanto questo.
“Un uomo brutale, che di tutto ciò che gli era stato insegnato aveva trattenuto una cosa soltanto: poteva picchiare. Eppure, dentro di lui, qualcosa si è rotto”.
Una volta, entrando in una cella comune, tirò un pugno a uno dei detenuti, un uomo malato che cadde per terra in preda a una crisi. Tutti gli altri furono costretti a fare delle flessioni seguendo il ritmo dei suoi spasmi, fino a quando il prigioniero, sfinito, perse i sensi. Solo allora, con le mani sui fianchi e un sorriso imbecille, Smentoz sorrise, come se fosse riuscito a risolvere una situazione ingarbugliata.
Un uomo brutale, che di tutto ciò che gli era stato insegnato aveva trattenuto una cosa soltanto: poteva picchiare. Eppure, dentro di lui, qualcosa si è rotto. È stato circa un mese fa. Erano seduti, lui e K., nella cancelleria della prigione, e K. gli stava spiegando la situazione. Ci volle un bel po’ di tempo prima che Smetonz iniziasse a capire cosa stava succedendo. Poi si alzò, e aprí la porta sbirciando con cautela nel corridoio; era notte, silenzio ovunque, la prigione dormiva. Chiuse la porta, girò la chiave e si abbandonò sulla sedia: – Allora è proprio vero che… – Si prese la testa tra le mani. Un peso terribile opprimeva quell’anima piccola rinchiusa in un corpo enorme. Rimase a lungo cosí. Poi, disperato, alzò la testa: – È vero. Non possiamo piú vincere…
Da un mese, ormai, la prigione di Pankrác non risuona piú del grido di guerra di Smetonz. E i nuovi prigionieri ignorano il peso della sua mano.
[1943, pubblicato postumo nel 1945].
© 2025 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
Il racconto si intitola Smetonz, lo ha scritto Julius Fučík, ed è tratto dalla raccolta Reportáž psaná na oprátce – in questa edizione tradotto da Luca Lamberti. Si trova nell’antologia Racconti della Resistenza europea a cura di Gabriele Pedullà. Ringraziamo l’editore per la gentile concessione
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