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Quello del padre resta per molti un continente relazionale ostico e inesplorato: sarà che, perlomeno dalle nostre parti, vi approdano rigidità patriarcali ormai obsolete che plasmano uomini chiusi e silenziosi, calati in un costume stretto al punto da far saltare i bottoni. Padri padroni e padri soli. Eppure niente riesce a cancellare la loro strana bellezza e a svelare il mistero buffo e dolce che custodiscono: la tenerezza del loro affetto goffo e mal ricambiato – spesso a ragione –, le separazioni mai comprese, le case caotiche e trascurate, con le ragnatele negli angoli dei soffitti e i balconi dove ancora resiste qualche pianta grassa che vive degli schizzi delle grondaie, e il bambino interiore che riesce a fare a malapena capolino. Una magia malinconica, tipica delle terre incognite, che in questo cortometraggio del regista albanese Eneos Çarka, presentato a IDFA a novembre 2022 e in Italia al Festival dei Popoli, deflagra in un afflato di cinema che fa librare il lavoro, all’apparenza documentario osservativo, in una diversa troposfera poetica: magia dell’incomprensione appunto, da far sollevare le pietre. Un padre e una figlia si ritrovano, forse solo per regolare meglio il linguaggio del loro addio. È il rito dell’incomunicabilità che si rinnova nelle famiglie di ogni tempo.