Nel film di Naïla Guiguet, presentato a Cannes nel 2020, viviamo la notte in un club di Dustin, ragazza trans, e dei suoi amici, tra amori, liti, pregiudizi e tenerezze.
22 Maggio 2024
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Chi ha frequentato, anche solo sporadicamente, club, festival di musica elettronica e rave avrà probabilmente avuto esperienza di una particolare forma di gioioso ottundimento, di comunione estatica, di affratellamento con la musica e con l’altro. Si sta come sugli alberi le foglie: vicini ma solitari, radicati allo stesso suolo, mossi dalle stesse forze, ondeggiando allo stesso ritmo.
C’è poi il desiderio, nella folla, nel movimento, nella musica, di trovarsi un angolino dove stare fermi, bere acqua, riprendere contatto con l’altro, parlare e toccarsi. Si torna piccolo gruppo, si guardano gli altri, al cui caos calmo poco prima si apparteneva, da una distanza che presto sarà di nuovo annullata.
Come accade con le cose che hanno una loro precisione interna, riprodurle al cinema in modo convincente è difficile: deve essere giusta la musica, verosimile il contesto, curato il look dei personaggi, ci vuole soprattutto orecchio per il parlato, affinché le conversazioni non suonino affettate, ridicole.
A volte la mimesi avviene con successo, come nel cortometraggio di Naïla Guiguet, regista di Dustin, cortometraggio presentato alla Semaine de la critique di Cannes.
E infatti, Guiguet ha orecchio, intuito e amore per il mondo e la storia che racconta, quella di Dustin Muchuvitz, bellissima trans che qui è anche attrice protagonista. Proprio parlando con lei, dopo una serata passata assieme a ballare, a chiacchierare, a tirar tardi a un after a casa di amici, è nato il film.
Siamo in una warehouse abbandonata, musica a 145 BPM e molto spazio tra colonne e soffitti alti, e seguiamo Dustin e il suo gruppo di amici, Felix, Raya e Juan, tra piccoli drammi d’amore, gelosie, isterie, violenza di genere, sguardi e parole dolorose, solidarietà e quell’amore che, per un attimo, brilla di una luce pura e commovente nelle incomprensioni di una serata che procede a tentoni fino all’arrivo del giorno.
Quando ancora il film non esisteva, Dustin Muchuvitz subiva spesso discriminazioni per la sua condizione di genere, pure all’interno della sua comunità. Anche quando si abbassano le difese, credendosi al sicuro, accettati, parte di qualcosa, si rischia di essere ostracizzati, non capiti, isolati.
Il film, con sguardo affettuoso, senza giudizi e semplificazioni, riesce a raccontare lo sradicamento e l’identità, la fiducia nell’altro e la delusione per averla concessa, la bellezza dell’amicizia e la curiosità per l’estraneo, l’eccitazione nell’essere guardati e desiderati, il calore di sentirsi visti e accettati.
Riesce anche perché la regista è dj e conosce bene quello di cui parla, sa mostrare il mondo del clubbing senza ridicolaggini, ma con la cura e l’esattezza che solo la partecipazione assidua può garantire.
Naïla Guiguet
Naïla Guiguet è una regista e sceneggiatrice francese. Ha vinto il premio César per la miglior sceneggiatura originale nel 2023 per il film L’innocent, scritto assieme a Louis Garrel e Tanguy Viel.
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