Per Aleramo l’arte può plasmare un mondo più libero - Lucy
articolo

Sheila Heti

Per Aleramo l’arte può plasmare un mondo più libero

22 Aprile 2024

Pubblicato nel 1906 e considerato uno dei primi romanzi femministi italiani, “Una donna” di Sibilla Aleramo è ancora attuale. Lo dimostra la scrittrice canadese Sheila Heti che, dopo averlo letto, si è trovata a riflettere sul senso della scrittura, sulla maternità e sulle sue scelte di vita.

Perché gli artisti non smettono mai di lavorare? Ho pubblicato un nuovo libro a febbraio, ora è aprile, ma perfino quando era ancora marzo l’unica cosa a cui pensavo era il prossimo libro. Non esistono tregue durante le quali sentirsi soddisfatte, in cui, appagate, ci si rilassa pensando: mi prenderò una vacanza. 

Di che natura è l’urgenza che si avverte quando si vuole continuare a lavorare? Siamo così bramosi di ottenere altra fama, di guadagnare più soldi? Siamo costretti da limiti mentali tali per cui l’unica pace immaginabile è quella che deriva dalla distrazione che il lavoro offre? Fare qualcosa è l’unico modo che abbiamo per dare un senso alle nostre vite? È una domanda che mi ha sempre assillata questa della smania di lavorare perfino quando si è appena concluso qualcosa di enorme. E non ho mai trovato una risposta. Ma ieri, leggendo Una donna di Sibilla Aleramo, pubblicato nel 1906 e considerato il primo romanzo femminista italiano, ho trovato la mia riposta. 

“Di che natura è l’urgenza che si avverte quando si vuole continuare a lavorare? Siamo così bramosi di ottenere altra fama, di guadagnare più soldi?”

Il libro racconta di una ragazza giovane e brillante, ostaggio di un matrimonio squallido e troppo precoce – mitigato solamente dalle gioie, dalla dedizione, dal valore della maternità – e che in seguito vive un risveglio intellettuale e inizia a scrivere, e a definirsi piano piano per ciò che lei è davvero, e non soltanto per la funzione che ricopre rispetto al figlio, al marito o al padre. Leggere e scrivere contribuiscono a renderla se stessa, e questa nuova donna che sta sbocciando le ispira l’idea che, forse, questo processo di individuazione non riguarda soltanto lei, ma tutte le donne. In un certo senso questa sua mutazione, pensa, potrebbe porsi come modello per quella di altre donne. E se le donne riusciranno a essere più autenticamente se stesse, più vere, più complete, allora anche gli uomini riusciranno a fare altrettanto, e il risultato di entrambi questi processi sarà una trasformazione culturale. 

Il passaggio del libro che mi ha commossa e che ha risposto alla mia domanda recita così:

Come si sente che l’umanità è impropria all’impresa, destinata a passar sulla terra senza spiegarsi la ragione del suo passaggio! Ma contemporaneamente la nostra intima sostanza attinge la massima coscienza del suo valore: la Vita che si sofferma a guardar la Morte comprende la nobiltà eroica del proprio ostinarsi ad ascendere e a perpetuarsi nel buio… E la creatura dell’oggi ascolta un appello confuso: è forse la creatura del remoto domani che la chiama così, che la conforta a proseguire, la creatura nella quale raggierà tutto ciò che oggi è oscuro, e con la quale si inizierà una nuova epoca, l’epoca dello spirito liberato?

Qui è contenuta la risposta alla mia domanda – la ragione per la quale si continuano a scrivere libri, senza pause, quando ancora si è ancora sulla scia del successo dell’ultimo, la ragione per cui si ritorna impazientemente davanti al computer con ancora più determinazione di prima, insoddisfatti dell’ultima fatica, non paghi. È perché sebbene il libro sia appena stato pubblicato, il mondo è ancora identico a prima. Tantissime persone non ammettono a se stesse la verità della propria condizione, c’è ancora così tanta ingiustizia, così tanta iniquità… C’è ancora così tanto dolore, così tanta sofferenza – il mondo nuovo non è ancora arrivato! Creare arte, almeno per me, si accompagna imprescindibilmente alla speranza che da questa possa nascere un mondo più bello, più ricco, pieno d’amore; che la mente di chiunque possa farsi più limpida dopo aver letto o aver osservato un’opera, e che questa mente possa poi influenzarne altre. L’instancabilità dell’artista deriva dalla ricerca del raggiungimento di questa “nuova epoca, l’epoca dello spirito liberato”.

Questo è il motivo per cui non esiste riposo, ma è anche il motivo per cui il lavoro è inebriante, infuso di ottimismo, un ottimismo indifferente alla consapevolezza che le cose tendono a rimanere per lo più invariate. L’artista, mentre è al lavoro, è certo che le cose non rimarranno uguali a sé stesse: se sto costruendo un mondo nuovo con le mie mani, nell’intimità della mia stanza, questo significa che un creare un altro mondo, lì fuori, è possibile.

Io sento di essere nella “nuova epoca” che Sibilla Aleramo vagheggiava, e sebbene vi siano ancora contenute molte questioni che vorrei risolvere, io stessa sono stata salvata da molte delle sofferenze che lei ha dovuto attraversare, e questo è avvenuto grazie alle scrittrici che hanno fatto del loro meglio per indagare la verità delle loro vite. Una delle infelicità più profonde per chiunque è patire una sofferenza di cui non si conoscono le ragioni; o soffrire l’alienazione e la solitudine derivante dall’impossibilità di contatto con i propri desideri o sentimenti, con la propria intelligenza, il proprio spirito.

In Una donna, Aleramo parla dell’avere figli “ciecamente”. Questa parola mi ha colpita: non parlava solo di sé stessa e dell’avere figli ciecamente, ma di tutte coloro che hanno figli ciecamente.

Verso i trent’anni, io e una mia amica poetessa decidemmo che avremmo avuto entrambe dei figli. Lei li ebbe e mi confidò che mi compativa per essere rimasta “indietro”, per non avere ancora un figlio, perché – diceva – era molto più faticoso pensare di avere un figlio, chiedersi se averlo o meno (come stavo ancora facendo io) che farlo. In quel momento capii che mi trovavo in una posizione importante, ossia quella che mi permetteva di pensare ad avere un figlio; era una posizione privilegiata. Aleramo, che ebbe il primo figlio da adolescente, non aveva avuto la possibilità di pensarci. Invece io, canadese del ventunesimo secolo, potevo farlo. Magari avrei potuto trascorrere i miei trent’anni a pensare di avere o meno un figlio, ossia fare quella cosa che alle donne è stato detto che non è necessario fare, anzi, che non devono proprio fare. Avere un figlio è una cosa naturale, dopotutto, e pensarci su è innaturale e sicuramente poco femminile.

“Io sento di essere nella ‘nuova epoca’ che Sibilla Aleramo vagheggiava, e sebbene vi siano ancora contenute molte questioni che vorrei risolvere, io stessa sono stata salvata da molte delle sofferenze che lei ha dovuto attraversare”.

Ho scritto il mio libro, Maternità, in quegli anni, anni di profonda riflessione. Quando una mia amica ne lesse una bozza, mi disse: “Se fossero stati gli uomini a partorire, quello di avere o meno un figlio sarebbe stato il nucleo della filosofia da Platone in poi”. Sono orgogliosa di aver dato, a quegli anni che avrebbero potuto scorrere muti dentro di me, una voce. Sono felice di essere riuscita a dare ad altre persone – ad altre donne, in particolare – la testimonianza di quelle riflessioni, riflessioni attorno a un qualcosa di così fondamentale a cui ci era stato detto di non pensare.

Desideravo un mondo dove nessuno mi chiedesse se avessi un figlio, dove a nessuno interessasse. Desideravo un mondo in cui gli esseri umani potessero vivere in armonia con i loro valori più autentici, senza paura di essere giudicati, e dove tutti potessero sentirsi liberi di scegliere a cosa dedicare la loro vita. Desideravo un mondo in cui non ci fossero conflitti tra madri e non madri, un mondo che potesse dare un nome alle donne che scelgono di non avere figli senza che questo sottolinei un’assenza. Desideravo un mondo dove “scelta” fosse una parola come “fato” o “destino”: un fenomeno che non si manifesta unicamente per nostra responsabilità, ma che si svolge di concerto con altre persone, con altre forze, alcune note, altre ignote. Desideravo un mondo in cui non fossimo sicure che il tempo si muovesse solo in avanti o all’indietro: siamo madri dei nostri figli o madri delle nostre madri? Desideravo che in qualche modo le sofferenze delle nostre madri, delle nostre nonne, delle nostre bisnonne, potessero essere lenite attraverso le vite delle loro figlie.

Mentre leggevo Una donna, ho provato un attimo di commozione per la mia decisione di non avere figli. Oggi ho quarantasette anni. Non mi sono mai intenerita per la mia scelta. Ma leggendo questo libro, all’improvviso, ho visto ciò che avevo fatto: avevo scelto una vita, deliberatamente, attraverso una riflessione vera, e questa vita non era quella che Aleramo avrebbe potuto scegliere; ma io l’ho potuta scegliere proprio grazie alle donne come Sibilla Aleramo. Nel romanzo scrive una cosa meravigliosa: “Lei ama il mondo e il mondo è un bambino”. Io amo scrivere libri perché amo il mondo, e amo il futuro del mondo, e il mondo è un bambino, così come lo è il futuro. Si può essere madri del tempo futuro. Ogni artista ne sta plasmando uno.

Si ringraziano Miu Miu e Miu Miu Literary Club per aver agevolato la pubblicazione del testo su Lucy.

Sheila Heti

Sheila Heti è scrittrice. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Colore puro (Il Saggiatore, 2023).

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