Maddalena Giovannelli
04 Novembre 2024
Licia Lanera ha messo in scena per la prima volta l'opera prima e forse più nota di Pier Vittorio Tondelli. È una buona occasione per riflettere su coloro che si sono persi al crocevia con gli anni Ottanta e su quale rapporto intratteniamo con chi non riesce a vivere il proprio tempo.
Italia, 1980. In pochi mesi vedono la luce tre significative (e fortunatissime) novità editoriali.
Feltrinelli, nei primi mesi dell’anno, pubblica Altri libertini del venticinquenne Pier Vittorio Tondelli. La copertina ritrae due giovani dai capelli lunghi e i pantaloni a zampa, fermi davanti a un furgone con un cartello per l’autostop. La prima tiratura conta soltanto 4.000 copie; l’editore si rivolge evidentemente ad un target di elezione: giovani, amanti della Beat, esponenti della controcultura. Il successo – che va ben oltre le aspettative e che porterà a due ristampe nel giro di pochi mesi – rivela quanto poco residuale sia quella fetta di mercato.
Appena dopo l’estate è invece il turno di Bompiani, con Il nome della rosa di Umberto Eco (all’epoca cinquantenne). La tiratura è di 50.000 copie, la copertina è rosa carico, con una decorazione a motivi geometrici: evoca allo stesso tempo la pianta dell’abbazia dove è ambientato il giallo, e la natura labirintica dell’enigma. Diventa immediatamente un caso editoriale.
La terza novità è una rivista mensile: Frigidaire. Esce in edicola per la prima volta a fine ottobre 1980, costa 2.000 lire; l’editoriale del primo numero si conclude con una provocazione: “Le edicole sono piene di pubblicazioni fondate per ragioni ideali, Frigidaire no. Noi viaggiamo consapevolmente nel mondo delle merci, e siamo una merce noi stessi”.
“E chi invece non ha voglia di buttarsi nel mondo del profitto, di rimboccarsi le maniche per fare carriera, e nemmeno di rimanere a casa? Per quei giovani smarriti e disambientati, per quei pesci fuor d’acqua che non possono o non vogliano seguire le correnti della nuova era, ci sono i bar”.
Tra i fondatori, c’è il fumettista ventiquattrenne Andrea Pazienza: alla presentazione, a Lucca, Paz sale sul palco, si slaccia la camicia, e si inietta in vena una siringa di eroina davanti al pubblico (per un racconto ragionato della storia della rivista, da recuperare il podcast Frigo!!!).
I tre autori, Tondelli, Eco, Pazienza, hanno tutti frequentato, da professori o studenti, il Dams di Bologna – epicentro leggendario delle turbolenze dei Settanta – e le loro pubblicazioni restituiscono con le rispettive diversità la temperatura del decennio che sta iniziando. Il terrorismo batte in ritirata e gli italiani sono stanchi di disordini e di sangue: cominciano a desiderare il salotto e il divano, per guardare in tv Fantastico o per leggere un thriller coltissimo come Il nome della rosa, evadendo assai lontano nel tempo e nello spazio. Su altri versanti, alcuni artisti cominciano a dialogare attivamente con il mondo del mercato e della moda seguendo l’esempio di illustri colleghi newyorkesi: nel 1982, a Milano, il writer Keith Haring dipinge il nuovo store Fiorucci a San Babila.
E chi invece non ha voglia di buttarsi nel mondo del profitto, di rimboccarsi le maniche per fare carriera, e nemmeno di rimanere a casa? Per quei giovani smarriti e disambientati, per quei pesci fuor d’acqua che non possono o non vogliano seguire le correnti della nuova era, ci sono i bar, le città da bere (Milano su tutte), qualche antro un po’ buio dove iniettarsi eroina.
Pier Vittorio Tondelli dedica il suo libro d’esordio proprio a loro: a quegli spiantati che girano in auto, “da soli fino al mattino, pieni di alcol”, e si fermano ogni tanto a bere un paio di fernet “altrimenti gli scoramenti, quelle fiere, continuano a saltare fuori”. Gli Altri libertini sono alcolisti e tossicodipendenti, corpi che minacciano il decoro della città imbrattandola con i liquidi gastrici, con le feci incontrollate delle loro coliche intestinali, con lo sperma dei rapporti a pagamento nelle stazioni e sui bus. Sono gli esclusi dalla nuova città che sta per nascere. Hanno ormai smarrito il motore politico che li portava per strada pochi anni prima, stanno cercando di opporsi alla normalizzazione con un atto di resistenza passiva: “non studio, non lavoro, non guardo la TV/ non vado al cinema, non faccio sport”, canteranno da lì a poco gli emiliani CCCP.
Del nodale passaggio storico che Tondelli intercetta con qualche anno di anticipo si trovano poche tracce nel cinema, in letteratura e in teatro. La filmografia ci ha riempito di stanze fumose anni Settanta dove si discute di politica e di rivoluzioni, di cortei, marijuana e gonne lunghe, di radio visionarie, di discussioni pro e contro la lotta armata; e poi, più tardi, di estati in riviera al suono della disco music, di tutine fluo e fitness, di paninari e di yuppies.
Ma che cosa è accaduto nel mezzo? Quel cruciale bivio che all’inizio degli anni Ottanta separa definitivamente i sommersi e gli integrati è assai meno raccontato, così come la solitudine e lo stigma sociale che avvolgono gli ultimi reduci, con i loro corpi intossicati e non conformi. Una significativa eccezione è Amore tossico di Claudio Caligari (1983); i protagonisti, attori non professionisti che portano dipinte sul volto le vicende di cui raccontano, girovagano per Ostia mescolando eroina ed espedienti, con la massima aspirazione di recuperare una dose entro sera, in una quotidianità senza prospettiva. Il basso impatto dei primi Ottanta sull’immaginario filmico e letterario non deve stupirci troppo: il ritorno all’ordine, con le nausee e le esigue controreazioni che suscita, non è una materia narrativa così attraente.
“Care mie, il tempo dello svaccamento è terminato”, chiosa uno dei protagonisti di Altri libertini mentre aspetta l’esito della lavanda gastrica di un’amica nel corridoio d’ospedale. L’Italia, tutta, sembra aver fretta di ripulirsi dagli eccessi della notte appena passata, e di iniziare una nuova giornata.
Per tutte queste complesse ragioni, un nuovo spettacolo tratto dal libro cult di Tondelli è una notizia importante, a maggior ragione se si considera che i diritti d’autore (appannaggio della famiglia) sono stati concessi per la prima volta per il palco. Lo spettacolo – che dopo il debutto a Romaeuropa Festival, è stato presentato al Piccolo Teatro di Milano e ora prosegue con la tournée – è una di quelle produzioni che meritano di uscire dalla stretta cerchia degli appassionati teatrali, di raggiungere un pubblico ampio, di aprire discussioni.
Conoscere il profilo, la storia e la postura della regista che firma l’allestimento è utile per inquadrare la natura dell’operazione, assai lontana dall’omaggio agiografico a un capolavoro. Licia Lanera è una delle artiste più interessanti della scena italiana (tra le poche donne ad aver conquistato il premio UBU alla regia), attrice dall’energia magnetica (è stata diretta, tra gli altri, da Luca Ronconi e Mario Martone), guida salda di una compagnia indipendente di rilevanza nazionale. Eppure il suo nome, nella locandina del primo allestimento di Altri libertini, risulta per certi versi sorprendente. La memoria di Tondelli, controversa e contesa come quella di quasi tutti i grandi artisti, è stata volta per volta “tirata per la giacca”, a partire dai diversi dati fattuali della sua breve biografia: nato a Correggio (dunque voce rappresentativa di una certa provincia emiliano-romagnola), omosessuale e morto di AIDS (dunque chiamato a dar voce a battaglie sulle marginalità e sui diritti), infine così vicino al cattolicesimo da autorizzare la cancellazione, nella riedizione per Bompiani, delle bestemmie che costellano il dettato di Altri libertini.
Ebbene: Licia Lanera – quarantenne pugliese, donna, eterosessuale, atea – non rappresenta nessuna di queste istanze, eppure informa la sua regia proprio a partire da alcuni dati personali e biografici.
Nei primi istanti dello spettacolo, viene proiettato su uno schermo lo stesso sintagma che apre questo articolo: “Italia, 1980”. La voce di Lanera scandisce una sequenza di eventi politici, culturali e di costume avvenuti dell’anno di pubblicazione di Altri libertini, e poi vira su alcune note private: anche lei e i suoi compagni di scena (Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, Roberto Magnani) sono nati in quegli anni, e condividono brevi aneddoti, fugaci pennellate autobiografiche. Lo faranno altre volte durante lo spettacolo, e la demiurga di questi squarci sarà soprattutto la regista. L’incipit serve dunque come costruzione di una cornice narrativa e metateatrale, come presa di posizione rispetto alla natura della rappresentazione (non potremo mai dimenticare l’identità di chi parla, immergerci nella finzione, scordarci di essere in teatro), ma è soprattutto la rivelazione della lente interpretativa con cui ci si chiede di ascoltare Altri libertini. E a questa lente converrà tornare, se si vuole comprendere cosa questo allestimento cerca di domandarci sull’oggi e sugli anni Ottanta.
Sul palco, oltre allo schermo, pochi oggetti: una branda, un tavolo, un appendiabiti, una cyclette. L’estetica (anche i costumi, di Angela Tomasicchio) è contemporanea ma con un tocco fané, un’evocazione accennata e non mimetica del tempo tondelliano che fu. A questa contribuiscono meravigliosamente anche i tre attori: Giuva, con un’espressività divertita, sfacciata e camp; Magnani, con una cadenza emiliano-romagnola appena accennata, ma capace di restituire tutta la musicalità della prosa di Tondelli; Cupaiuolo con un erotismo fosco e dolente, e un volto che ricorda quello del (conterraneo) Andrea Pazienza.
Lo spettacolo seleziona, dei sei racconti presenti nell’originale, soltanto tre vicende (Viaggio, Altri libertini e Autobahn); la drammaturgia mescola, intreccia, sovrappone, mostrando icasticamente come i diversi personaggi, separati per contingenza nelle tre storie, siano in realtà figure di uno stesso romanzo, compagni dello stesso malessere. E ancora Lanera allarga e apre la partitura testuale con musiche (il sound design è di Francesco Curci) e canzoni: la playlist dello spettacolo (disponibile anche su Spotify, in una versione più estesa di quella che si ascolta sul palco) non si limita a eseguire le molte indicazioni musicali presenti nelle pagine di Tondelli, ma ne interpreta il senso, le espande, le moltiplica.
“Conoscere il profilo, la storia e la postura della regista che firma l’allestimento è utile per inquadrare la natura dell’operazione, assai lontana dall’omaggio agiografico a un capolavoro. Licia Lanera è una delle artiste più interessanti della scena italiana”.
Ma torniamo alla cornice biografica o autofinzionale proposta dalla regia. Fuori dal teatro, tra commenti a caldo e sigarette accese, qualche spettatore si chiede se quel filtro narrativo, dopotutto, sia davvero necessario. Va data, credo, una risposta decisamente affermativa: il motivo per cui le vicende raccontate e il dettato tutt’altro che semplice e lineare di Tondelli ci paiono così freschi, accessibili, vicini – come se un amico ci raccontasse una storia che lo riguarda, con un bicchiere alla mano – è che lo spettacolo fornisce una chiave per accedervi, e quest’ultima appare direttamente connessa all’atto di svelamento personale degli attori.
I quattro quarantenni sul palco si domandano perché i libertini di allora ci debbano interessare ancora oggi, se qualcosa di quel mondo disperato e tossico vada salvato, cosa possiamo concludere frugando tra le vite e i corpi di chi ha provato a fuggire da una certa idea produttiva di famiglia e di società. L’interrogativo, posto da un gruppo di attori, non può che ampliarsi fino a toccare il ruolo dell’arte nella società e in relazione al mercato: la marginalità del teatro odierno (come di molti altri ambiti della cultura) è frutto di una consapevole scelta politica o piuttosto di un fallimento? Gli artisti di oggi sono eredi dei sommersi o degli integrati di allora? Nel loro modo di abitare il presente assomigliano a coloro che in quegli anni sono rimasti indietro, nell’ombra, o piuttosto a quelli hanno cominciato a rimboccarsi le maniche per fare carriera? E infine: chi è nato dopo il 1980 ha mai avuto davvero un’alternativa?
Attraversare di nuovo Altri libertini di Tondelli significa dunque tornare al momento esatto in cui siamo diventati quelli che siamo; e fa venire una gran voglia di chiedere conto alle nostre città di quanto si sono fatte sottrarre, ai nostri artisti di quanto hanno offerto in pasto al mercato, ai nostri padri e alle nostre madri di quello che hanno lasciato accadere. Ma esorta anche a domandarsi senza sconti: e tu invece? “Qual è il tuo posto nel Gran Trojajo?”.
Lo spettacolo Altri libertini prosegue la tournée:
Bari: 23, 24 novembre, Teatro Piccinni
Brescia: 9 dicembre, Teatro Borsoni (Duende Festival)
Correggio: 13 dicembre, Teatro Asioli
Bologna: 14-15 dicembre, Arena del Sole (ERT)
Ravenna: 9-11 gennaio, Teatro Rasi
Maddalena Giovannelli
Insegna all’Università della Svizzera Italiana e si occupa di teatro antico nel contemporaneo. Scrive su «Domenica» del Sole 24 Ore, «Stratagemmi», «Doppiozero».
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