Come funziona l’uso di LSD nei trattamenti psico-oncologici - Lucy
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Federico Di Vita

Come funziona l’uso di LSD nei trattamenti psico-oncologici

E quali sono le speranze di vedere percorsi terapeutici del genere anche in Italia, nei racconti di pazienti, psichiatri e attivisti.

Ho conosciuto Andrea Siclari una sera, in Veneto, durante un incontro. Era stato invitato a parlare della sua esperienza di grave malato oncologico che in Svizzera è entrato a far parte di uno studio clinico sugli stati d’ansia in pazienti con malattie potenzialmente mortali, uno studio basato sulla somministrazione di LSD in contesto psicoterapeutico. Siclari è un uomo alto e posato, si muove con una certa calma, è misurato nei gesti e nelle parole.  Guardandolo sarebbe difficile immaginarlo come malato, eppure gli è stato diagnosticato un cancro al colon al quarto stadio, con metastasi al fegato, ormai più di cinque anni fa. 

Quando gli è arrivata la diagnosi, Siclari, 36 anni, padre di tre figli piccoli, era un uomo in carriera, lavorava nel campo della cooperazione allo sviluppo e dell’aiuto umanitario per il Ministero svizzero per gli affari esteri, con incarichi sia a Berna che in altre nazioni. Un altro dato significativo è che Siclari è sì svizzero, ma ha anche la cittadinanza italiana, parla infatti un italiano da madrelingua. E, a quanto ne so, è il primo italiano a intraprendere la strada di una terapia a base di LSD. Così decido di intervistarlo nel mio podcast, Illuminismo Psichedelico, per cercare di capire come funzioni questo tipo di terapia in Svizzera, e anche se sarà possibile un giorno vederla in Italia.

Una delle prime cose che mi dice Siclari è di non aver mai provato l’LSD prima, a causa della sua cattiva reputazione, pur avendo sempre avuto curiosità di vedere dove quella sostanza avrebbe potuto portarlo, “fuori da schemi abituali”.

“Sono cambiato molto, sono cambiate tante cose nel modo in cui vedo il mondo. Soprattutto il primo viaggio è stato per me il più significativo. Ho avuto modo di dare uno sguardo dietro le quinte di questa esistenza, ho visto di cosa è fatta questa esistenza… Capivo che era tutta questione di vibrazioni, di energie e di frequenze. Rivivevo la mia nascita e poi andavo indietro, capivo di aver vissuto moltissime volte e vedevo che la mia esistenza di qua era come un granello di sabbia in una spiaggia, e la spiaggia era ciò che sono io. Non riuscivo a identificarmi con Andrea, con la mia vita di qua, a un certo punto mi identificavo addirittura con tutta l’umanità, diventavo tutt’uno con l’ambiente circostante”. Viaggiava anche nel tempo, tornando indietro nella storia dell’umanità: mi racconta di aver “visto” come si sono separati i sessi, uomo e donna, all’inizio… “È stata un’esperienza molto profonda, che mi ha aiutato molto, perché la domanda in questo studio era come vivi la paura di morire, e per me questa è stata la conferma che la morte è un passaggio, che tutto si trasforma e che non c’è tanto da aver paura”. 

“Per me qualsiasi esistenza adesso ha valore”, aggiunge. 

Vale la pena lasciare ancora un po’ di spazio alle sue parole. Sulla gestione delle proprie emozioni mi racconta di essere cresciuto tenendo presente una netta distinzione tra emozioni positive e negative: “Soprattutto noi uomini veniamo sanzionati per certe emozioni, associamo alcune emozioni col positivo e altre col negativo. Questi viaggi mi hanno insegnato a vivere intensamente qualsiasi emozione si presenti, e a non fare questa distinzione. Se sento paura o tristezza, vale esattamente come le altre, sono tutte da vivere pienamente. Adesso ho la sensazione di essere meno controllato dalle emozioni, ora mi passano attraverso”. E ancora: “Ho imparato a guardare il mondo con un occhio che non giudica, ho sviluppato un occhio clinico per cose che sono invenzioni o costruzioni della società, e che spesso ci impediscono di essere completamente noi stessi. Ora ho più facilità ad aprirmi, mi mostro anche più vulnerabile, e quindi le connessioni si creano più facilmente”. 

Per partecipare a questa terapia sperimentale, sapendo che in Svizzera c’erano psichiatri al lavoro su simili possibilità, Siclari ha semplicemente cercato su Google quali studi clinici fossero attivi al momento in cui ne aveva bisogno, scoprendo così quelli di Peter Gasser, uno psichiatra e ricercatore di Soletta che conduce queste attività ormai da diverso tempo. 

Prima di entrare più a fondo nei meccanismi psicologici e nella gestione pratica di questi incontri, ho scritto a Peter Gasser per chiedergli alcune cose. La prima è quando ha iniziato a pensare di proporre terapie e cure palliative a base di LSD e per altri disturbi come ansia o depressione. Il gruppo medico di cui faccio parte”, mi ha risposto Gasser, “la Società Medica per la Terapia Psichedelica in Svizzera, è stato fondato nel 1985 e l’obiettivo di questa associazione è quello di sviluppare e portare la terapia psichedelica nel campo medico”. 

“Per partecipare a questa terapia sperimentale, sapendo che in Svizzera c’erano psichiatri al lavoro su simili possibilità, Siclari ha semplicemente cercato su Google quali studi clinici fossero attivi al momento in cui ne aveva bisogno”.

L’associazione di cui parla è stata fondata nel momento forse più buio per questo tipo di ricerche, quando era stato da poco classificato nella Tabella 1 delle sostanze vietate anche l’MDMA (vietato proprio dal 1985) e dal punto di vista legale era dunque impossibile qualunque tipo di lavoro, sia con le sostanze psichedeliche, come LSD o psilocibina (il principio attivo dei “funghi magici”), entrambi banditi tra fine anni Sessanta e inizio anni Settanta; che con entactogeni come l’MDMA – termine che indica sostanze che evocano sentimenti di empatia, connessione emotiva e affetto verso gli altri. “In questo panorama abbiamo iniziato”, mi spiega Gasser, “a metà degli anni Novanta, con un progetto sulla psilocibina per la depressione, che all’inizio degli anni 2000 fu rigettato dal comitato etico, in quel momento non avevamo prospettive. Nel 2004 un mio collega, Peter Irwin, avviò uno studio finanziato da MAPS (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies, una no profit americana fondata dal ricercatore Rick Doblin principalmente per rendere possibili trattamenti a base di MDMA) qui in Svizzera, sulla potenziale efficacia dell’MDMA per il disturbo da stress post-traumatico e nel 2007 sono riuscito a ottenere il permesso per il mio progetto di terapia assistita da LSD in pazienti affetti da malattie potenzialmente letali”. A questo punto Gasser afferma una cosa interessante, a suo modo di vedere quelle che propone non sono esattamente cure palliative, “si tratta di trattamenti psico-oncologici, dico psico-oncologici perché i pazienti che partecipano a questo tipo di studi non sono realmente in punto di morte. Con il cancro, la maggior parte di loro non sa quale sarà la durata della loro vita. Forse vivranno ancora per quattro o cinque anni, per questo li definirei trattamenti psico-oncologici in malattie potenzialmente letali. Sono centrali temi come la paura della morte, ovviamente, la paura di soffrire e il non sapere quale sia la propria prospettiva di vita, o cosa si potrà fare con la vita che ancora rimane… le domande di fronte a cui si trovano questi pazienti sono queste”.

Andrea Siclari nell’ambulatorio di psichiatria del dottor Gasser a Soletta ha partecipato anche a qualche seduta del gruppo di terapia, un pugno di pazienti che si incontra ogni tre mesi, al momento l’unico gruppo di terapia legale in cui si usi (anche) LSD in Svizzera. A quelle sedute partecipano pazienti che hanno patologie diverse, alcuni sono depressi, altri hanno disturbi come il PTSD, oltre a quelli che sono lì per i trattamenti palliativi, o psico-oncologici (per dirla con Gasser), e non è detto che tutti siano trattati con l’LSD, c’è anche chi assume la psilocibina o MDMA. Riguardo al confrontarsi con temi come quelli cui accennava poco fa lo psichiatra, durante la nostra chiacchierata Siclari mi dice: “Vedo le persone soffrire, a volte hanno storie strazianti, che poi condividono in gruppo, passati pesantissimi, veramente difficili, vedo che urlano, c’è chi vomita, succede di tutto in quelle giornate. ‘Questi non torneranno mai più’, mi dicevo le prime volte; ‘Madonna che brutta esperienza hanno avuto’… invece tornano sempre, perché anche se difficili, anche se duri, questi viaggi sono utili. Spesso mi chiedono se è piacevole, dipende, può essere difficile, però è utile”. Sullo svolgimento delle sedute collettive Siclari continua, “siamo nella Svizzera tedesca, la cultura è molto discreta”. Sotto gli effetti dell’LSD tuttavia ha curiosità e voglia di interagire anche con gli altri partecipanti: “Una cosa interessante è che ho l’impressione di capire esattamente di cosa hanno bisogno gli altri pazienti. C’era una signora che soffriva di depressione molto grave, quasi non riusciva a muoversi, vedo che è lì e soffre molto durante i viaggi, non sono passeggiate questi viaggi per molti, c’è tanta sofferenza, tanti traumi che emergono, tante cose rivissute del passato e io vedo che vicino a lei ci sono dei terapeuti per ascoltarla ma capisco che lei deve uscire, abbiamo un giardino lì, così la prendo, la porto fuori e lei si illumina. Quello che rimane per me, che mi emoziona molto, è vedere i progressi che fanno questi pazienti, vedo persone che quasi non si muovono da quanto sono depresse, e le vedo ballare, tornare a vivere”. A questo riguardo chiedo anche allo psichiatra Peter Gasser di raccontarmi come reagiscano alle terapie i pazienti che vivono esperienze più sfidanti, quelle che qualcuno potrebbe classificare come bad trip.


“Bad trip è un’espressione che non viene dalle esperienze terapeutiche. Si tratta di una reazione d’ansia prolungata durante un’esperienza psichedelica, a volte anche più lunga della durata degli effetti della sostanza stessa. Cose come questa si sperimentano principalmente in ambienti non sicuri come le feste o quando si è all’aperto nella natura con amici o giovani che magari assumono psichedelici per la prima volta. In terapia c’è un ambiente più sicuro e la guida di una persona esperta. Dunque, quando le persone si mettono nei guai, cosa che può accadere – intendo dire, non vi è alcuna garanzia che un’esperienza psichedelica sia totalmente positiva – il terapeuta o la guida possono aiutare le persone a elaborarle in modo che un’esperienza difficile o qualcosa che si potrebbe definire un bad trip possa alla fine essere integrata nella terapia e aiutare nello sviluppo della stessa. Naturalmente emergono sentimenti come ansia, angoscia, disperazione o qualsiasi altra tristezza, ma non è detto che siano di per sé negativi”. A volte la dinamica di un’esperienza psichedelica come anche l’integrazione psicologica della stessa attraversa momenti paradossali, il che può rendere talvolta complesso valutarne i risultati, gli chiedo comunque come li giudichi lui gli esiti delle terapie che ha proposto nel corso di questi anni. “Se mi chiedessi se posso indicare una percentuale di successo o fallimento in questi trattamenti la risposta sarebbe che non potrei, perché dovrei definire cosa sono il successo e il fallimento. Direi che la psicoterapia è un progetto complesso e ci sono delle difficoltà. Non somiglia a uno studio in cui magari segui 10 lezioni per imparare qualcosa, poi fai un test e lo superi o meno. Non funziona così. La stragrande maggioranza dei pazienti dice che questa è stata una terapia utile, che ha migliorato la loro situazione e la loro vita. E ha migliorato anche la mia. Ho avuto intuizioni circa la mia vita e la mia personalità, ho riscontrato cambiamenti positivi. Lo rifarei e lo consiglierei ai miei amici e alla mia famiglia. Quindi direi che questo è il tipo di successo terapeutico che abbiamo. Circa i trattamenti e gli studi che abbiamo fatto, possiamo dire che sono sicuri, non ci sono grandi rischi e sono efficaci. Possiamo aiutare le persone e sono convinto che dovremmo continuare a fare ricerca in questo senso, continuando a proporre questi percorsi terapeutici”. 

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Ma a livello pratico, come funzionano questi trattamenti? Ho chiesto ad Andrea Siclari di spiegarmelo passo passo. “Per prima cosa mi hanno attribuito una psicologa, Anke Röskamp, che è la moglie di Peter Gasser, ed è anche psichiatra e psicoterapeuta. Ho fatto quattro sedute individuali con lei, lunghe, si facevano di sabato, due volte con un placebo e due volte con la sostanza. È tutto molto semplice, ci si ritrova al mattino in ambulatorio, si prende la sostanza, preparata da una farmacia locale, diluita in alcol, e da lì – c’è un protocollo, ogni paio d’ore ti prendono la pressione – ma a parte questo è un trip sitting molto classico, con della musica personalizzata, si limitano a darti da bere e alla fine da mangiare. Più che altro ti lasciano al tuo viaggio”. Durante queste sedute viene somministrata una dose piena di LSD, 200 microgrammi, continua Siclari “quando ho chiesto a quanto corrispondeva l’hanno definito un dosaggio medio-alto, non troppo alto perché uno si deve comunque ricordare dov’è, in uno studio per una sperimentazione clinica, però comunque significativamente alto, per fare un viaggio intenso”. I viaggi in quel contesto non avvengono mai in solitudine, Siclari è sempre accompagnato dalla sua psicoterapeuta, inoltre verso la fine dell’effetto viene fatta accedere all’ambiente anche sua moglie, alla fine a volte mangiano tutti insieme. Siclari descrive il setting, un elemento importante in questo tipo di somministrazioni: “La stanza è uno studio psicoterapeutico come tanti altri, c’è un materassino per terra, uno stereo di buona qualità, e diversi oggetti che magari uno osserva… c’era un quadro… la prima volta mi sembrava di essere in un quadro di Van Gogh”.

Siclari racconta di aver provato esperienze mistiche di fusione con il cosmo, o con il tutto, ed è proprio questo genere di manifestazioni dell’assoluto a essere efficace nel tranquillizzare la psiche di qualcuno che si trovi ad affrontare il pensiero della morte. “Soprattutto il primo viaggio è stato significativo in questo senso e ancora adesso ci sono elementi del primo viaggio che capisco ad anni di distanza. Del secondo, avvenuto due mesi dopo, faccio quasi fatica a raccontare ciò che è successo perché è rimasto poco a livello di contenuti, però l’ho vissuto come una grandissima ginnastica del cervello, avevo visioni di acrobati che facevano delle cose assolutamente incredibili, torcevano il loro corpo, e capivo che era quanto stava accadendo nel mio cervello, vedevo come se ci fossero delle trecce nel mio cervello e c’era come qualcuno che riusciva a disfarle e pulire bene le radici dei capelli, ma la pulizia riguardava il cervello, ovviamente. Poi ho scoperto delle associazioni neurali che si disfano e si ricreano, e penso di aver avuto una visione di questo”. 

Siclari si riferisce agli studi di Robin Carhart-Harris, uno psicofarmacologo inglese che nel 2016 ebbe l’idea di mappare con la tecnologia del brain imaging (un sistema di osservazione che consente di studiare il flusso ematico e il consumo di ossigeno) un cervello umano sotto l’effetto dell’LSD. Le immagini presentate al mondo dal ricercatore britannico di un cervello che sotto l’effetto dell’acido lisergico pareva infiammarsi, mostrando connessioni inedite e straordinariamente intense, erano destinate a fare epoca. Usando una metafora sembra quasi che Siclari stia dicendo di aver sentito oliati i meccanismi della sua anima. Gli chiedo se queste esperienze abbiano avuto anche ricadute relazionali, per esempio nel rapporto con sua moglie e i suoi figli. “Siamo cambiati entrambi – mi dice della sua compagna – senza che sia cambiato molto il nostro rapporto. Anche con le mie figlie, che ora sono adolescenti, questa cosa di liberarmi dal modo in cui sono cresciuto, dalle norme societarie e via dicendo, fa sì che sia tutto abbastanza più libero nella nostra famiglia. Adesso quando mia figlia negozia l’orario di rientro quando esce la sera la mia prima reazione è quella di dirle di non fare troppo tardi ma poi rifletto sul perché lo stia dicendo, perché sono cresciuto così o perché penso che si metta effettivamente in pericolo? E mi accorgo di avere uno sguardo più libero, più rilassato. Penso di essere meno ansioso di prima”. 

Sarà mai possibile vedere percorsi terapeutici del genere anche in Italia? Per quanto possa risultare sorprendente, uno spiraglio legislativo esiste grazie a due normative, la prima è la cosiddetta Legge di Bella che autorizza, in via eccezionale, l’uso dei farmaci sperimentali; il secondo è la legge sulle compassionevoli. Entrambe prevedono la possibilità, per pazienti con un quadro clinico ormai compromesso e senza alternativa terapeutica, di accedere a composti farmaceutici che ancora non sono ufficialmente farmaci ma che si sono dimostrati efficaci anche a livello sperimentale da qualche parte nel mondo – in questo caso come trattamenti per alleviare l’ansia psicologica nelle fasi del fine vita. Per diventare un farmaco, un composto chimico deve superare tre fasi di approvazione, mentre per questo genere di trattamenti è consentito anche l’uso di farmaci sperimentali, il cui processo di studio e approvazione sia cioè ancora solo in fase uno o in fase due. La psilocibina ricade in questa casistica, ci sono infatti studi di fase due in Canada che la attestano come efficace per lenire la sofferenza spirituale nei malati terminali. Inoltre, la normativa sulle cure palliative e la terapia del dolore pare accogliere benissimo i protocolli psichedelici misti (vale a dire l’uso di sostanze accompagnate dalla psicoterapia).

“Siclari racconta di aver provato esperienze mistiche di fusione con il cosmo, o con il tutto, ed è proprio questo genere di manifestazioni dell’assoluto a essere efficace nel tranquillizzare la psiche di qualcuno che si trovi ad affrontare il pensiero della morte”.

Chi vuole può entrare maggiormente in dettaglio leggendo il parere dell’avvocata Claudia Moretti, articolato in un documento intitolato “Le Terapie Psichedeliche nel Fine Vita”, e pubblicato sul sito dell’Associazione Luca Coscioni, dove tra le altre cose, si legge che:

“Le cosiddette cure compassionevoli (articolo 83 del Regolamento UE 726/2004 e Decreto del Ministero della Salute del 7 settembre 2017), consentono al medico di proporre terapie sperimentali finalizzate a offrire al morente il cosiddetto right to try, secondo la terminologia anglosassone, se non per guarire, quantomeno per continuare a sperare. L’ordinamento, in extremis, sopporta infatti l’incertezza – altrimenti non tollerata – derivante dall’uso terapeutico di farmaci o sostanze non ancora approvate, nell’ottica di poter offrire al singolo paziente o a classi di soggetti con la stessa patologia, il ‘male minore’”.

In Italia l’Associazione Luca Coscioni è nota principalmente per l’attenzione che dedica a tutto ciò che attiene al fine vita. Negli anni ha svolto in questo senso diverse battaglie politiche tese all’ampliamento dei relativi diritti personali, promuovendo la legge per il testamento biologico, compiendo azioni che hanno permesso di ampliare le scelte individuali relative al fine vita, come le disobbedienze civili di Marco Cappato del 2017, che hanno portato a una sentenza della Corte Costituzionale nel 2019. Il lavoro dell’Associazione Luca Coscioni si è così più volte interessato delle sorti di chi non ritiene più degna l’esistenza che sta vivendo per motivi di sofferenze fisiche e psicologiche, e di recente ha scelto di percorrere anche un’altra strada, alternativa, nel tentativo di offrire una ulteriore possibilità: quella di lenire il dolore spirituale del fine vita per mezzo delle terapie psichedeliche. In un altro episodio di Illuminismo psichedelico ne ho parlato con Marco Perduca, ex senatore e membro dell’Associazione Luca Coscioni, che mi ha detto: “In Canada abbiamo visto che l’associazione TheraPsil ha dimostrato che somministrando psilocibina in dosi importanti, in un ambiente protetto, a persone che hanno ricevuto una diagnosi infausta legata a un cancro, gli si consente di vivere gli ultimi anni o mesi di vita mettendo da parte l’ansia del sapere che la propria vita è prossima a terminare”. 

Per far sì che questo genere di terapie approdi in Italia secondo Marco Perduca “basta rispettare le norme già vigenti, in particolare la legge del 2010 sulle terapie palliative, e quindi le norme che già oggi consentono di avere delle cure compassionevoli che possono far tesoro di alcuni farmaci innovativi che hanno dimostrato di funzionare in un’altra parte del mondo”. Se un trattamento dimostra la sua efficacia in qualche angolo del globo, secondo il principio del diritto alla scienza, questo può essere importato anche in Italia, andando a determinare un percorso che nei fatti diventa alternativo all’eutanasia. “Non si propone mai una cosa contro un’altra si cercano di offrire tutte le possibilità percorribili e poi le persone, liberamente e in maniera informata, sceglieranno quello che ritengono più appropriato, opportuno e in linea con la propria visione del mondo. La libertà è questa, non ha una data di scadenza”.

Cosa manca per poter usare la psilocibina per il fine vita in Italia? “Mancano un paio di tasselli, ci vuole una persona che sappia, sapendo di stare male, che lo può fare; e ci vuole un medico che si assuma la responsabilità di prescrivere qualcosa che è tecnicamente prescrivibile ma non semplice da prescrivere, avendo una serie di ostacoli più che burocratici di retroterra culturale, che possono scoraggiare l’impresa”. Per renderla più appetibile l’Associazione Luca Coscioni ha nel frattempo lanciato una campagna di sensibilizzazione pubblica (chi è interessato può firmarla qui), e soprattutto sta “mettendo insieme una rete di giuristi e avvocati pronti ad andare incontro a psichiatri, palliativisi, anestesisti o medici che decidano di prendere in considerazione la possibilità di prescrivere a qualcuno questi prodotti, che vengono dalla Svizzera, dal Canada o dagli Stati Uniti, che sono di sintesi, stiamo ovviamente parlando di molecole di produzione chimica, generate secondo i più alti standard previsti per la produzione di farmaci, anche se ancora non si tratta di farmaci al momento registrati per l’utilizzo che noi intendiamo farne”. Tra l’altro, trattandosi di terapie compassionevoli ad accesso speciale, non è neanche escluso che i farmaci sperimentali vengano forniti gratuitamente da chi li produce, con l’obiettivo di allargare la platea dei casi studiati. 

Può essere interessante sapere come sta oggi Andrea Siclari, dato che il tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi in un caso come il suo è del 14%. “In questi anni ho avuto diverse ricadute e ho sofferto di dolori, nausea, perdita di peso e insonnia, solo per elencarne qualcuno. Da quest’anno sto decisamente meglio. Non ho più dolori, dormo bene, ho ripreso il peso iniziale. Non sono guarito ma sto bene. Sto facendo una chemioterapia per via orale, è abbastanza tollerabile. Non prendo nessun altro farmaco e reputo la mia qualità della vita come buona”. L’LSD non cura il cancro ma a quanto pare può curare l’anima, e questo può aumentare significativamente la qualità della vita che resta ai malati, così come quella dei loro cari.

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Federico Di Vita

Federico Di Vita è giornalista e scrittore e si occupa soprattutto di cibo, psichedelia e cultura per diverse testate. Il suo ultimo libro è La scommessa psichedelica (Quodlibet, 2020).

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