John Hersey, il reporter che ha fatto epoca - Lucy
Compagni di strada

Goffredo Fofi

John Hersey, il reporter che ha fatto epoca

Tra le firme più importanti del giornalismo americano, Hersey ha raccontato come nessuno il dramma di Hiroshima: ci è riuscito soprattutto grazie a una sensibilità e un acume che gli permettevano di assumere difficilmente prospettive banali.

John Hersey fu un grande giornalista statunitense di cui lessi da ragazzo dei libri che molto mi impressionarono, il primo dei quali un vero capolavoro, Hiroshima. Hersey fu tra i primi a visitare il Giappone appena dopo la sua sconfitta e, stimolato, come riconobbe, dal modello letterario del Ponte di San Luis Rey di Thornton Wilder (un grande romanzo di un grande scrittore e uomo di teatro, che ricostruiva un antico incidente nel Perù ispanico alternandovi il racconto di alcuni sopravvissuti), dette voce a cinque significativi personaggi, riportando il loro punto di vista sull’immane tragedia.

Il suo giornale, il «New Yorker», decise di dedicare a quell’insolito reportage tutto quanto un numero, riscuotendo un successo enorme (tre milioni di copie) e costringendo il governo americano a scrivere alla testata per giustificare l’ingiustificabile (un odioso film recente Oppenheimer, racconta quei fatti dal punto di vista di un inventore e costruttore della bomba, mentre nessuno ha osato fare un film dal bellissimo e coinvolgente libro, Diario di Hiroshima e Nagasaki, di un grande filosofo, Gunther Anders, che riuscì a entrare in contatto con Claude Eatherly, il pilota che aveva sganciato la bomba, segregato dal governo in una casa di cura militare perché ossessionato da quel ricordo). 

“John Hersey fu un grande giornalista statunitense di cui lessi da ragazzo dei libri che molto mi impressionarono, il primo dei quali un vero capolavoro, ‘Hiroshima’”.

Il libro di Hersey fece epoca, come si dice in questi casi, e su quell’impressione ho cercato altri suoi libri, a quello tuttavia inferiori: forse perché sono romanzi e non reportage. Ne ricordo due in particolare: Il muro di Varsavia (nella Medusa di Mondadori), che ricostruiva la storia del ghetto a partire dai documenti nascosti in un sottosuolo dai dirigenti della comunità che ne fu prigioniera, e Una campana per Adano (Bompiani), una bizzarra commedia militar-politica che narrava lo sbarco americano in Sicilia, a cui Hersey prese parte come giornalista, insieme ai suoi effetti in un piccolo paese dell’interno. (Nell’isola, in verità, non c’è nessun paese che si chiami Adano, ma forse il nome derivava da Adrano).

Hersey ha scritto anche dei romanzi, non brutti ma di interesse certamente minore ai tre libri citati (il migliore, credo, è L’amante della guerra, da cui nel 1962 fu tratto un onesto film con Steve McQueen). 

Meriterebbe di essere riscoperto, John Hersey, figura importante nella storia del giornalismo del Novecento, e meriterebbe ancor più che nuovi lettori si aggiungano ai vecchi di Hiroshima, non solo perché è, come si dice, una pietra miliare nella storia del giornalismo, ma perché pochi libri hanno raccontato una storia altrettanto sconvolgente e, purtroppo, altrettanto vera. Ma pure perché si torna sciaguratamente a parlare, Putin ma non solo, di uso dell’atomica nelle guerre correnti. Tanti paesi la possiedono, e basta che uno cominci per dare il via alla fine del mondo…   

Goffredo Fofi

Goffredo Fofi è saggista, critico cinematografico e letterario. Il suo ultimo libro è Cari agli dèi (Edizioni E/O, 2022).

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