Giuni Russo, prigioniera dell’estate - Lucy
articolo

Ivan Carozzi

Giuni Russo, prigioniera dell’estate

19 Luglio 2024

La fama di Giuni Russo è legata soprattutto alle sue hit estive "Un’estate al mare" e "Alghero". Questa immagine balneare le ha dato molto, ma le ha anche impedito di esprimere liberamente un talento immenso, l’interesse per la musica sperimentale e per la spiritualità.

Sono le 10 di un rovente mattino di fine giugno. Lavoro su un file word nominato “Giuni Russo”, quando dalla strada si leva la voce di Giuni Russo. È una strana coincidenza, ma sarei più stupito se la melodia fosse quella di un brano meno noto, come Limonata cha cha cha, scritta sulla falsariga del Cha cha cha della segretaria, il rap Se fossi più simpatica sarei meno antipatica o la preghiera Io nulla. Invece la canzone è, prevedibilmente, Un’estate al mare, un classico della stagione più calda, scritto nel 1982 da Franco Battiato con gli arrangiamenti di Giusto Pio. 

Un’estate al mare e poi Alghero (il 45 giri pubblicato qualche anno dopo, nel giugno 1986) hanno fatto di Giuni Russo un emblema dell’estate e uno dei simboli di un fenomeno,  serpeggiante e non del tutto spiegabile, che prese piede nella società italiana degli anni Ottanta. Mi riferisco a un rinascimento del meridione, a un amore e a una celebrazione in Ray-Ban Wayfarer ed espadrillas del suo paesaggio e delle sue lunghe estati. Fu un momento di riscoperta delle suggestioni mediterranee, dei suoi popoli, dei suoi languori, delle sue coste argentate, dei suoi luccichii, delle sue isole tutte splendenti di reminiscenze omeriche e “stile balneare”, che riguardò tanto l’immaginario di artisti come Giuni Russo e Franco Battiato, quanto trasmissioni tv come “Quelli della notte”, invenzione di Renzo Arbore infarcita di personaggi sconosciuti, dandy, filosofi effimeri, umoristi, eccentrici di provincia, musicisti vestiti con gilet ottomani e fez rossi, tutti provenienti dalle regioni della Magna Grecia. 

“Dopo il grande successo degli anni Ottanta, Giuni Russo vuole fare di testa propria, non è interessata a collezionare tormentoni estivi, non vuole identificarsi esclusivamente con la sua icona pop balneare”.

Nata nel quartiere popolare di Borgo Vecchio a Palermo nel 1951, Giuni Russo muore nel 2004 dopo una lunga malattia. A settembre saranno venti anni dalla scomparsa. A Giuni Russo verrà dedicato un concerto a Roma, il 14 settembre. Ci saranno gli artisti della sua generazione (Alice, Roberto Cacciapaglia, Antonella Ruggiero, fra gli altri) e artisti delle generazioni successive (Arisa, Irene Grandi, etc). Giuni Russo non soffre di un eccesso di commemorazioni e tributi, come Gaber e De Andrè. Non è un male, anzi. Il Comune di Alghero una decina di anni fa le ha intitolato uno slargo affacciato sul mare, il Mirador Giuni Russo, non solo perché nella fantasia popolare Giuni avrà sempre le sembianze di una divinità balneare, nata fra spuma e ombrelloni, ma perché nella visione dell’allora amministrazione algherese quella massa di acqua blu rappresenta il legame tra la Sicilia nativa e la Sardegna elettiva, dove Giuni Russo a un certo punto ha acquistato casa, a Portobello di Gallura. Da adulta racconterà che quando era ancora bambina, a Palermo, giocando per strada aveva sentito una ragazzina dire: “Ad agosto viene mia zia dalla Sardegna”. Il suono della parola “Sardegna” da allora le rimane dentro. 

Dotata fin da bambina di una voce fuori dal comune, da soprano lirico, Giuni Russo aveva provato a sfondare nella musica da giovanissima, nei tardi anni Sessanta, più o meno all’epoca di Patty Pravo, quando le ragazze portavano ancora gli abitini a trapezio. La carriera di Giuni Russo, che in realtà si chiama Giuseppa Romeo, è fatta di stop e ripartenze. Debutta al Festival di Sanremo del 1968, a diciassette anni, con il nome di Giusy Romeo. Tra gli esordienti di quella edizione c’è anche Al Bano, che diventa in fretta una celebrità e due anni dopo si sposerà con Romina Power, in una chiesetta di Cellino San Marco invasa da decine di fotografi arrivati da Roma e Milano. Al Bano era già mediatico. Giuni invece non trova il successo, tutt’altro, però a Sanremo incontra nella hall Louis Armstrong, che le regala un bocchino d’argento. Si trasferisce a Milano, dove conosce Maria Antonietta Sisini, musicista di origini sarde, arrivata nel continente insieme alla madre divorziata. Mano a mano Giuni, mentre prova a mettere un piede nell’ambiente discografico, si integra in quel piccolo e anomalo nucleo familiare, che si allarga, le fa spazio e l’accoglie. Diventa, per la madre di Maria Antonietta, una seconda figlia. 

Il pubblico conosce e venera la Giuni Russo degli anni Ottanta, mentre della sua storia precedente è rimasto ben poco nella memoria. Anche per questa ragione si trovano parecchie sorprese guardando le tante foto raccolte in Giuni Russo. Da un’estate al mare al Carmelo (Bompiani, 2007), biografia scritta da Bianca Pitzorno con la collaborazione di Maria Antonietta Sisini, che di Giuni Russo è stata amica e complice artistica per tutta la vita. 

Giuni Russo, prigioniera dell’estate -

Maria Antonietta, che ho contattato via email, mi ha confessato di non avere una foto preferita di Giuni. Le ama tutte allo stesso modo. Sfogliando il libro si scopre che esiste un’altra Giuni Russo, una Giuni Russo minore, sconosciuta, in bianco e nero, diversa da quella più nota degli anni Ottanta, in tailleur Versace e pettinatura dal ciuffo pompadour (secondo la moda dell’epoca, ricca di contaminazioni e recuperi eclettici, che andava a ripescare qua e là stilemi degli anni Cinquanta). 

Maria Antonietta all’epoca suonava con lo pseudonimo di Shiva: “era solo un nome che mi piaceva, quando a 18 anni iniziai a suonare con un gruppo (i The Trippers, Nda). A quell’età immaginavo di poter fare carriera come musicista, cosa che poi grazie a Dio è avvenuta, anche se non sul palco, ma da compositore. Erano gli anni Settanta e a Milano c’era molto fermento, tantissimi gruppi musicali, cantanti, tutti alla disperata ricerca di un contratto discografico e del successo”. Il 12 dicembre 1969 le due amiche sono dalle parti di piazza Duomo, quando sentono un boato: è la bomba esplosa in piazza Fontana. 

Il libro di Bianca Pitzorno ricostruisce l’intero percorso di Giuni Russo. Offre la giusta attenzione al racconto delle scelte musicali più controcorrente, motivo di scontro con boss e manager dell’industria discografica. Il rapporto con Caterina Caselli, discografica della CGD, è centrale. È un rapporto conflittuale, duro, squilibrato (il contratto “capestro” con la CGD è riprodotto nel libro), ma non estraneo a schiarite e a momenti di riappacificazione, specie nei mesi che precederanno la morte di Giuni. 

In una delle sue ultime interviste tv, ospite di Mara Venier a Domenica In, nel 2003, Giuni Russo ritorna sul tema dell’inconciliabilità tra industria discografica e ispirazione artistica. “Mi chiedevano continuamente delle canzonette”, dice. Venier la interrompe, si rivolge al pubblico e con gli occhioni celesti domanda: “Chi non ha cantato Un’estate al mare? Chi? Chi?”. Come a dire: chi non lo ha mai fatto almeno una volta nella vita? L’orchestra attacca la melodia e il pubblico inizia a sbracciarsi, a battere le mani e a cantare in coro. Giuni non si sottrae, si unisce alla celebrazione, poi, testarda, riagguanta il filo del discorso: “non ho mariti, non ho figli […] io vivo per la musica […] piuttosto muoio di fame ma voglio intraprendere la strada che mi ero prefissa da bambina […]”. Vuole arrivare al punto, ma come spesso capita nelle interviste di Mara Venier, non è facile per l’ospite esprimere davvero quello vorrebbe Bisogna saper aspettare, occorre prima fare lo slalom tra scrosci di applausi, battutine di alleggerimento e gli slanci improvvisi della conduttrice: “Sei bel-lis-si-ma”; “Ti posso dire che sei bellissima con questo nuovo look?”. Ma Giuni, vestita Krizia, insiste: “prima di morire devo tentare la carriera che mi sono prefissa […]”. Applausi del pubblico. Poi Giuni canta Morirò d’amore. Di nuovo applausi.  

“Quando Giuni si ammalerà e capirà che non le resterà molto da vivere, comincerà a chiedersi, con una certa serenità, dove le piacerebbe essere seppellita. Le viene un’idea. Le piacerebbe essere seppellita accanto alle Carmelitane Scalze”.

Dopo il grande successo degli anni Ottanta, che significò anche denaro e quindi stabilità economica, Giuni Russo vuole fare di testa propria, non è interessata a collezionare tormentoni estivi, non vuole identificarsi esclusivamente con la sua icona pop balneare. Si avvicina a una musica di ricerca e “di confine”, come scrive Pitzorno, spaziando tra l’operatic pop e la musica sacra, assegnando all’uso della voce il massimo grado di libertà espressiva. “Giuni è unica ed inimitabile, lo dicono i fatti”, mi ha scritto Maria Antonietta, che quest’estate è impegnata nell’organizzazione del concerto per i vent’anni dalla scomparsa. “In Italia è stata l’antesignana della musica di confine, il suo percorso artistico, prima e dopo il successo di Un’estate al mare, è sempre stato libero da ogni costrizione, non si è piegata alle regole di mercato o imposizioni delle case discografiche. E ne ha pagato il prezzo, consapevolmente”. Le chiedo della fama di Giuni nel mondo. “Ancora oggi ha un grande seguito in Spagna”, mi dice, “e in parte dell’America. A Madrid, da tanti anni, è presente il fan club ufficiale. Molti YouTuber americani hanno pubblicato dei video reaction con grandissimo riscontro, pur non conoscendo la lingua italiana. Rimangono rapiti dalla voce, dalla sua incredibile tecnica vocale, dalla sua estensione fuori dal comune e dalla sua capacità unica di cambiare registro quando non te l’aspetti”.

Mi sono immerso nella lettura di Giuni Russo. Da un’estate al mare al Carmelo in un momento fatale, alle porte dell’estate. Forse addirittura nelle giornate intorno al solstizio. Non sono riuscito a seguire fino in fondo l’invito dell’autrice, Bianca Pitzorno, che in modo onesto e rigoroso ha cercato di rendere giustizia all’intero percorso della cantante. Al contrario, come lettore, e come essere biologico avido di umori estivi, cadevo qua e là nella trappola di vedere ovunque segni e indizi della predestinazione di Giuni Russo alla religione del mare. Almeno un paio di questi segni e indizi meritano di essere riferiti. Il primo riguarda la madre di Giuni Russo. Si chiama Rosa e adora cantare. Un giorno è in mezzo al mare, in piedi sulla barca del marito pescatore, Pietro Romeo detto Ciccillu, grande conoscitore delle pescose acque intorno a Ustica. Al passaggio del vapore di linea diretto da Palermo a Napoli, Rosa intona Santa Lucia luntana, una vecchia canzone del repertorio partenopeo. Il capitano del vapore, in segno di ringraziamento, le dedica un lunghissimo fischio di sirena.

L’aneddoto diventa una delle memorie famigliari più care a Giuni. L’altro episodio riguarda invece una Giuni poco più che bambina.. A Mondello, in un giorno d’estate, Giuni è in acqua, quando da lontano vede una specie di palafitta, come un palco sulla riva, allestito per un concorso canoro. Allora Giuni esce dal mare, così com’è, “in costume da bagno e grondante d’acqua”, tutta spavalda si arrampica lungo uno dei pali e sale sul palcoscenico. Si candida e quella sera stessa gareggia, all’insaputa della famiglia. Canta La rapsodia del vecchio Liszt, una canzonetta yé-yé dell’epoca, e vince, di fronte al mare di Mondello.   

Avanti veloce. A partire dal 1988 l’interesse per la spiritualità imprime una nuova direzione alle vite di Giuni e Maria Antonietta. Leggono testi di filosofia esoterica e di mistica, da Rudolf Steiner a Le tavole smeraldine di Ermete Trismegisto, fino a san Giovanni della Croce e soprattutto Teresa d’Avila e poi Ignazio di Loyola. È un cammino che negli anni le porta a conoscere e frequentare un convento di Carmelitane Scalze a Milano.

Quando Giuni si ammalerà e capirà che non le resterà molto da vivere, comincerà a chiedersi, con una certa serenità, dove le piacerebbe essere seppellita. Nella Sicilia nativa, nella Sardegna elettiva, oppure a Milano, dov’è un altro pezzo della sua vita? Le viene un’idea. Le piacerebbe essere seppellita accanto alle Carmelitane Scalze. Le Carmelitane, a sorpresa, accettano. Come verrà spiegato nell’omelia pronunciata al funerale da una consorella, Giuni, in fondo, è stata una carmelitana, ovvero “una persona che col canto (carmen) aveva rallegrato (laetato) gli animi di tutti i fratelli”. Se ne va il 14 settembre 2004 e da allora le sue ossa riposano al Cimitero Maggiore di Milano, fra le spoglie delle altre Carmelitane Scalze. 

Giuni Russo, prigioniera dell’estate -

Così una domenica pomeriggio me ne vado al Maggiore, l’immenso cimitero in fondo a viale Certosa, dove sono tumulate oltre mezzo milione di persone, tanto grande che esiste pure un bus per accompagnare i visitatori da un punto all’altro dell’area. Si può percorrere anche in bicicletta. Quando arrivo è già quasi orario di chiusura. Non ho idea di dove sia collocata la tomba di Giuni. Chiedo a un tale che indossa un gilet catarifrangente. Immagino faccia parte del personale. Dall’accento capisco che è del sud. Forse siciliano. Chissà. Prende il telefonino, compone un numero e con calma si porta il telefono all’orecchio. “Massimo, sono qui con un signore, sì. Qual è il campo della cantante?… sì, sì… la Giuni Russo”. Saluta il collega e attacca. È il campo 5. Con un gesto mi indica all’incirca la direzione. M’incammino. Una lepre dagli occhietti furbi scatta rapida fra graniti e ciuffetti d’erba e poi si paralizza. Ci metto un po’, ma finalmente arrivo di fronte alla lastra con la tomba di Giuni Russo. È in perfetto ordine.

Qualcuno deve aver portato piante e fiori freschi. Mi trattengo il giusto. Per quanto mi riguarda, il rituale di una visita a una tomba si esaurisce sempre in brevissimo tempo. Non è che ci sia molto da vedere, in fondo. Consumo quel che c’è da guardare e da sapere in poche occhiate voraci. L’occhio agisce un po’ come l’obiettivo di una telecamera. Stacca da un’inquadratura all’altra e sceglie le immagini da archiviare. Voglio liquidare in fretta il momento. Contano di più la preparazione, l’avvicinamento. Metto nel conto anche il lungo attraversamento della città.

È lì che si comincia a meditare la persona scomparsa, in mezzo  ad altri stimoli e pensieri che sfrecciano, si accavallano, distraggono. Rifaccio il percorso a ritroso in un grande silenzio. Non c’è più nessuno. Quando arrivo nel vasto piazzale di fronte all’uscita, mi accorgo che tutti e tre i cancelli del cimitero, con le loro guglie in ferro battuto, sono bloccati da lucchetti e catene. Non c’è anima viva. Il cimitero è chiuso. “C’è nessuno?”, chiedo a voce alta. No, non c’è nessuno. Sono rimasto chiuso in un cimitero. Non mi era mai successo. Niente paura. Più o meno me la cavo, scavalco il cancello e sono fuori, di nuovo tra i vivi, in un giorno d’estate.     

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è giornalista, scrittore e autore tv. Ha curato la raccolta Che traccia hai scelto? (Utet, 2023).

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