Il dibattito su Tony Effe è un’occasione mancata - Lucy
articolo

Martina Lodi

Il dibattito su Tony Effe è un’occasione mancata

20 Dicembre 2024

L’esclusione del rapper dalla lineup del Concerto di Capodanno organizzato dal Comune di Roma ha suscitato boicottaggi, indignazione e polemiche, legate soprattutto al sessismo dei suoi testi. Ma perché la politica pretende che siano gli artisti a educare i giovani?

La notizia dell’esclusione del rapper Tony Effe dal Concerto di Capodanno organizzato dal Comune di Roma è arrivata dopo le proteste dell’associazione femminista Differenza Donna e del Codacons, che l’hanno chiesta a gran voce ritenendola offensiva in ragione delle sua canzoni, considerate misogine e violente. Un’operazione di questo tipo suscita inevitabilmente dibattiti e perplessità: chi ha invitato Tony Effe lo ha fatto senza avere mai ascoltato le sue canzoni? In ragione di quali inediti testi edificanti il rapper è stato invitato a esibirsi?

Le perplessità aumentano, poi, con la defezione di massa che ne è seguita: hanno finora annunciato che non si esibiranno gli altri due grandi nomi della serata, Mahmood e la cantante Mara Sattei, e molti artisti e personaggi dello spettacolo hanno pubblicato sui social dichiarazioni in favore del rapper – adducendo princìpi nobili quanto estremamente vaghi, che vanno dalla “necessità di non censurare” alla “libertà di espressione” al sempreverde bisogno di “separare l’arte dall’artista”. 

Attorno a questa vicenda si intrecciano questioni con cui l’etica e la politica si confrontano da secoli: chi decide cosa sia legittimo dire in pubblico e cosa no? E in quali contesti? E chi deve essere responsabile di educare i giovani? 

È difficile sostenere in totale buona fede che i testi di Tony Effe non esprimano una struttura di pensiero sessista, tanto quanto è difficile considerare Tony Effe l’unico a dire certe cose nelle sue canzoni: il linguaggio del rap non è quello del cantautorato intimista, e le logiche di funzionamento interne ai suoi testi vanno riconosciute e comprese, potremmo dire con Wittgenstein, per poterne comprendere i giochi linguistici. Tutto quel che diciamo (o scriviamo) ha senso soltanto nel contesto in cui viene pronunciato: quello del rap è la competizione, spesso violenta, tra uomini che esprimono, prima ancora del loro (forse anche del nostro) sessismo, una idea di mascolinità legata al dominio e alla forza, all’accumulazione di beni materiali. I testi spesso inneggiano a un’idea di successo valutata sulla base della quantità di belle donne sottratte agli altri uomini, di immaginarie sparatorie, di droghe pesanti e di discriminazione razziale.

“Attorno a questa vicenda si intrecciano questioni con cui l’etica e la politica si confrontano da secoli: chi decide cosa sia legittimo dire in pubblico e cosa no? E in quali contesti? E chi deve essere responsabile di educare i giovani?”

Il rap ha un problema con la misoginia, certo, ed è un problema che è radicato nelle circostanze in cui esso è nato: il rap americano, ha scritto il giornalista Mitchell S. Jackson su «Esquire»,
“è nato come forma di risposta all’oppressione sistemica, ed è parte di una cultura che ancora prende forma da quei sistemi. […] E per quanto brutta sia la natura della misoginia nel rap – ed è quasi impossibile immaginarne una peggiore – so che è il riflesso di una mentalità di me contro di te e di sopravvivenza del più adatto che innerva  gli oppressi, e si tratta di regole che sono sempre, anche, quelle di una battaglia tra i sessi”. La trap italiana, che la Dark Polo Gang e altri artisti hanno portato e reso mainstream anche nel nostro paese, viene da qui, ma è anche una sua versione artefatta e depotenziata: è diventata virale pochi mesi fa un’intervista nella quale Tony racconta, con tono sommesso e l’aria contrita, di esser stato povero da ragazzino perché suo padre gli concedeva soltanto centocinquanta euro di paghetta alla settimana, una condizione ben lontana da quella di molti trapper statunitensi. Ed è all’interno di questo quadro – di ragazzi borghesi annoiati che provano a rifare la musica americana che hanno sempre ascoltato – che si può interpretare la violenza di certi testi: non c’è niente di vero, è tutta finzione, di cattivo gusto e diseducativa forse, ma nessuno di questi ragazzi vuole davvero farsi promotore di un’ideologia violenta contro le donne. 

E del resto, non è necessario avere l’intenzione di offendere le donne per scrivere dei testi sessisti: basta essere, come recita un celebre slogan femminista “Figli sani del patriarcato”. Il discorso del rap sulla donna si svolge all’interno di questo contesto, ed è giusto riconoscerlo come sessista: non è, su questo, possibile avere dei dubbi. 

Allo stesso tempo, l’immaginario di Tony Effe, e quello della Dark Polo Gang della quale ha fatto parte fino allo scioglimento del gruppo, è sempre stato caricaturale: in una sua canzone del 2019, intitolata Bassotto, il rapper canta “Sono stanco perché scopo troppo / spendo cinquemila per un cazzo di bassotto / della galera me ne fotto / mio fratello ti fa un buco se provi a farmi un torto”. Sembra inutile specificare che, se forse Tony Effe ha realmente speso cinquemila euro per un bassotto, e magari davvero è stanco perché scopa troppo, nessuno dei suoi fratelli ha mai preso una pistola per sparare a chi gli avesse fatto un torto. Una società femminista forse non produrrebbe testi violenti e misogini; ma forse, se non vivessimo in un paese con un femminicidio ogni tre giorni, potremmo avere, come ha giustamente detto Pierluigi Bersani, la pelle “meno sottile” anche sul linguaggio dell’intrattenimento. 

Eppure: la misoginia permea la società italiana in ogni suo meandro – gli stupri di gruppo, gli insulti online, i femminicidi – e viene da dire forse che è tutto sbagliato. La trap violenta, l’invito al concerto, e il tentativo di rimediare che appare ancora più ipocrita della battaglia per la libertà di espressione – che si articola come: libertà di usare la parola “troia”, senza nemmeno doversene servire per la necessità di chiudere una barra. Tony Effe ha annunciato che il 31 dicembre suonerà all’EUR, e che donerà tutti i proventi dei biglietti a un’associazione che si occupa di contrastare la violenza sulle donne. Alcune femministe l’hanno contestato, dicendo che non basta il denaro e servirebbe l’autocritica; eppure, alle volte il denaro serve eccome. Allo stesso tempo, mentre il Comune di Roma disinvita Tony Effe perché farlo suonare a Capodanno è pericoloso per le donne, nella stessa città di Roma il centro antiviolenza transfemminista Lucha y Siesta da anni è sotto minaccia di sgombero da parte della giunta regionale. 

Nello stesso giorno in cui in Francia si conclude il processo di cui è stata protagonista Gisèle Pelicot, la donna francese vittima del caso di stupro più impressionante degli ultimi anni, il discorso pubblico italiano è interamente assorbito dal dibattito che circonda l’annullamento dell’invito di Tony Effe. L’impressione, osservandoci, è che il focus di una riflessione collettiva sulla misoginia e sulla libertà di espressione sia distorto in maniera grottesca: non siamo in grado di parlare in maniera seria e responsabile di cultura dello stupro e di patriarcato, ma solo di prendere o meno le difese di cantanti che dicono cose spesso orribili, e allo stesso tempo tremendamente vicine a quelle che molti degli uomini che ci circondano pensano e si dicono dandosi gomitate ogni giorno. Del caso di Gisèle Pelicot in Italia, a differenza della stampa estera, i giornali si sono occupati pochissimo, e si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un’enorme occasione mancata: allo stesso tempo, trasformare una discussione sulla misoginia pervasiva nella musica mainstream in un dibattito sulla legittimità di cantare barre sulla “tua tipa” non fa altro che trasformare i cittadini in schieramenti di ultrà ai quali interessa urlarsi addosso molto più che provare a indagare le proprie reazioni istintive. 


Quello che l’affaire Tony Effe suggerisce è che ci si trovi davanti a una delle molte occasioni, nel nostro discorso pubblico, in cui anziché guardare alla luna guardiamo al dito; dito che in questo caso, anziché limitarsi a indicarla, porta occhiali da sole e scarpe Balenciaga chiamandola bitch. È difficile, in buona fede, riuscire a indignarsi per l’esclusione di un artista che a febbraio si esibirà a Sanremo, e il cui “Capodanno da Tony” è già sold out: si può parlare a ragione di censura quando un ministro querela gli intellettuali che ne contestano l’operato, ma non, forse, quando a un personaggio pubblico viene tolta  la possibilità esibirsi su un palco pubblico cantando testi che si possono considerare, ragionevolmente, quantomeno controversi, e questo a fronte per altro di preoccupazioni forse mal riposte, ma non per questo meno legittime. Non si tratta, qui, di impedire a un artista di schierarsi contro la guerra o di esprimere rimostranze contro il governo del suo paese, ma di chiedersi se sia davvero una buona idea invitare al Capodanno in piazza l’autore delle barre “Metti un guinzaglio alla tua ragazza, ci vede e si comporta come una troia”. Ci si potrebbe domandare, come ha fatto la scrittrice statunitense Claire Dederer, che cosa possiamo fare di arte splendida creata da uomini orribili: e subito dopo, chiedersi se le canzoni della Dark Polo Gang che per anni abbiamo ascoltato ironicamente meritino di stare sullo stesso scaffale de Les Demoiselles d’Avignon, di Ultimo tango a Parigi (la proiezione del quale, ironicamente, è stata annullata dalla Cinemathèque di Parigi pochi giorni fa) o de Il vecchio e il mare.

Martina Lodi

Martina Lodi è laureata in filosofia morale all’Université Panthéon-Sorbonne di Parigi e scrive per varie testate culturali.

newsletter

Le vite degli altri

Le vite degli altri è una newsletter che racconta di vite che non sono la nostra: vite straordinarie, bizzarre o comunque interessanti.

La scriviamo noi della redazione di Lucy e arriva nella tua mail la domenica, prima di pranzo o dopo il secondo caffè – dipende dalle tue abitudini.

Iscriviti

© Lucy 2024

art direction undesign

web design & development cosmo

sviluppo e sistema di abbonamenti Schiavone & Guga

lucy audio player

00:00

00:00