La moda ai tempi del termine "virale" - Lucy
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Iconografie XXI

La moda ai tempi del termine “virale”

Dieci immagini che catturano i trend che hanno attirato l'attenzione globale negli ultimi anni.

La moda gioca un ruolo fondamentale della contemporaneità: è un termine che, a seconda di come viene declinato, può significare consumo, identità, tendenze culturali. Viene facile notare come questi siano i capisaldi delle nostre società per come le conosciamo – insieme a speculazione finanziaria e industria degli armamenti, ma questo è un altro discorso.

Oltre a ciò, la moda si nutre di estetiche ed è proprio nella dimensione visiva che dà il meglio di sé. . Abbiamo raccolto dieci momenti recenti nei quali la moda – e i suoi feticci – sono assurti a simbolo dello zeitgeist. 

Stati Uniti d’America, aprile 2025.

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    La politica statunitense è sempre stata soggetta al fascino dei gadget, in un curioso mescolio di comunicazione politica e moda. Un esempio su tutti è il “MAGA hat” di Trump, l’iconico cappellino con la scritta Make America Great Again. Il capo diventa un oggetto di simil-culto per la base repubblicana già durante le elezioni presidenziali del 2016, quando il  diventa simbolo globale del trumpismo e viene eletto “simbolo dell’anno” nel 2016 dalla Stanford University. Come ha scritto il giornalista Jean-Michel Normand su «Le Monde», “per decenni, i cappelli con la visiera sono stati un omaggio alla visione stereotipata dello stile di vita americano – quello tanto rimpianto dai lavoratori delle regioni deindustrializzate e dalla classe media convinta di essere in declino, che costituiscono la base sociale dell’elettorato di Donald Trump. Si indossa aderente alla testa, con la visiera rivolta in avanti, in contrasto con la moda della cultura rap popolare tra le minoranze”. In foto Eric Trump, figlio di Donald Trump, con la variante “TRUMP 2028”, in riferimento a un (illegale) terzo mandato presidenziale del padre.

    Internet, dicembre 2024.

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      Una delle mode più popolari degli ultimi anni sui social network è l’ormai tradizionale pubblicazione dello Spotify Wrapped, ovvero l’annuale resoconto di Spotify con le canzoni, gli artisti e i podcast più apprezzati. Quella che nei fatti è una straordinaria operazione commerciale (a costo zero, per di più) della piattaforma di streaming svedese, con il tempo è diventata una  moda: con lo  Spotify Wrapped  si fanno storie Instagram, meme, parodie… e propaganda politica. È del dicembre 2024 il post ispirato allo Spotify Wrapped delle forze armate israeliane, dove tra le canzoni più ascoltate del 2024 appare “Dead” di Hassan Nasrallah (nell’album “Terroristi di Hezbollah morti”), “19.000+” di “Terroristi eliminati” (album: “Ciao ciao”) e “Demoliti” di Infrastrutture di Hezbollah in “Minacce neutralizzate”.

      Russia, settembre 2024

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        Il legame tra moda e propaganda è spesso viscerale proprio perché, alla fine dei conti, fanno  la stessa cosa: comunicano un’identità collettiva (imposta ora da un governo, ora da una multinazionale). Uno degli esempi più fortunati in questo senso degli ultimi anni è la Z (zet) utilizzata come simbolo delle operazioni militari in Ucraina da parte del Cremlino. In Russia il simbolo ha assunto un significato nazionalistico al pari di “colleghi” come il nastro di San Giorgio, venendo poi utilizzato anche in contesti civili ben lontani dalle campagne ucraine dove si spara. In foto, una scolaresca russa con gli zaini brandizzati zet.

        Internet, settembre 2024.

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          Nella contemporaneità, la moda è anche un trend sui social media. Un argomento o un filtro o una challenge, quindi, che si diffonde velocemente conquistando un numero importante di utenti e diventando, infine, virale. Uno dei più fortunati ultimamente è stato quello di brat, originariamente nome di un album dell’artista Charli XCX e presto diventato sinonimo di “ragazzaccia”. Soprattutto l’iconica copertina dell’album con sfondo verde e scritta nera è stata reinterpretata in mille modi diversi: il meno riuscito è senza ombra di dubbio opera dell’account ufficiale della NATO, che l’ha pubblicato sostituendo “peace” a “brat”.

          Tbilisi, Georgia, maggio 2024.

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            Nella maggior parte dei casi, le mode non sono altro che elementi evolutisi dal bagaglio culturale collettivo, codificati e riconoscibili e quindi utilizzabili nella vita pubblica.  Nel contesto delle manifestazioni di piazza che si sono opposte a regimi autoritari o tendenti all’autoritarismo, ad esempio, il caso più adatto ad illustrare questa dinamica è quello del “saluto a tre dita” della serie di libri e film Hunger Games, dove è il simbolo di riconoscimento dei ribelli, e che anche nella realtà ha finito per diventare un simbolo di solidarietà, rispetto per i caduti e ribellione al potere. Il gesto è stato adottato da vari movimenti di protesta in giro per il mondo: in Thailandia, Myanmar, Georgia, Indonesia, Cambogia e Filippine.

            New York, Stati Uniti d’America, giugno 2023.

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              La moda può ingannare, come avvenuto con  . L’ondata di adesioni al movimento LGBTQ+ da parte di multinazionali o settori professionali della società di solito estremamente conservatori – polizia ed esercito in primis. Con la sempre maggiore importanza delle identity politics nella società statunitense e con i democratici al potere, c’è stata la fila da parte dei più impensabili per salire sul carro… del Gay Pride. Con la seconda presidenza di Trump i rapporti di potere sono drasticamente cambiati, e le varie bandiere arcobaleno immediatamente ammainate.

              Internet, maggio 2024.

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                Nel maggio 2024, l’esercito israeliano ha lanciato un’offensiva su Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, aggravando ulteriormente la catastrofica situazione umanitaria vissuta dai palestinesi ancora presenti sul territorio. In questa occasione, per la prima volta si assiste ad una mobilitazione omogenea sui social network: in pochi giorni milioni di persone ricondividono un’immagina generata dall’intelligenza artificiale di quello che dovrebbe essere un campo profughi palestinese con alcune delle tende che formano la scritta “All Eyes on Rafah”. Non è il primo caso di un gesto di attivismo che diventa un vero e proprio trend; forse ancora più noto è stato il #BlackOutTuesday, ovvero  la pubblicazione di un quadrato nero su Instagram per protestare contro la violenza della polizia e il razzismo negli Stati Uniti.

                Hong Kong, Repubblica Popolare Cinese, 2020.

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                  Non è un caso se spesso le proteste di piazza si scontrano con i marchi del lusso. Un brand di lusso occupa un ruolo di primo piano nel paesaggio sociale e urbano, sia a livello simbolico che a livello materiale: rappresenta uno status, prestigio e ricchezza, e dunque anche eccesso, consumismo e diseguaglianza. In più, i negozi di lusso si trovano in genere negli edifici più in vista delle vie più centrali delle città – è inevitabile, quindi, che diventino degli obiettivi per i manifestanti. La presa di mira dei negozi di lusso durante le proteste ha in definitiva un doppio significato : da una parte critica le pratiche produttive e commerciali che rendono possibile la filiera, e dall’altro c’è un attacco molto materiale al portato simbolico dei marchi di lusso. In foto, la polizia di Hong Kong schierata in difesa di un negozio Gucci durante le proteste del 2020.

                  Berlino, Germania, maggio 2025.

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                    In questa parte del mondo, uno degli aspetti più interessanti che ha accompagnato le violenze israeliane contro il popolo palestinese è stato senza dubbio la gestione istitutuzionale e civile tedesca, incapace di scindere  l’operato di Israele e dall’identità ebraica. Ancora alle prese con un senso di colpa che fa fatica a svanire, i tedeschi si sono trovati ancora una volta dalla parte sbagliata. . Berlino ha vietato l’uso nelle scuole della kefiah, iconico capo di abbigliamento palestinese, per il rischio che rappresentasse una “minaccia alle pace”; parallelamente, Thomas Haldenwang, capo dell’agenzia di intelligence interna tedesca (BfV), è stato fotografato mentre indossava una cravatta con la Stella di David in riferimento alle critiche emerse sull’appoggio della Germania a politiche genocidiarie israeliane.

                    Herat, Afghanistan, gennaio 2022.

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                      Quando i Talebani hanno riconquistato  il potere in Afghanistan, una delle loro preoccupazioni è stata legata alla moda. Già a settembre 2021, un mese dopo la presa del potere, il governo talebano decide la chiusura del Ministero degli Affari Femminili e la sua sostituzione con il Ministero per la promozione della Virtù e la prevenzione del Vizio – un ministero ripreso dalla precedente esperienza di governo terminata con l’invasione statunitense del 2001, le cui iniziative (fatte applicare da una polizia morale) riguardano gli aspetti più svariati della vita quotidiana, sia personale che sociale. Una delle direttive più note è quella riguardante le indicazioni della legge islamica in materia di raffigurazione umana, che secondo l’interpretazione particolarmente rigida del direttore provinciale del Ministero a Herat, Aziz Rahman, deve essere considerata empia anche in contesti non religiosi. Questo ha portato all’ordine di rimozione dei manichini – in particolare quelli dai tratti femminili – dai negozi di vestiti della città. Alcuni commercianti hanno provato ad aggirare il divieto mettendo dei sacchi di plastica sulla testa, ma il rimedio non è stato ritenuto sufficiente  e in alcuni casi si è arrivati a decapitare i manichini. “Se coprono solo la testa o nascondono l’intero manichino, l’angelo di Allah non entrerà nel loro negozio o nella loro casa per benedirli”, ha dichiarato Rahman.

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                      Iconografie XXI è un collettivo e un progetto multimediale di ricerca e analisi su immagini, politica e società nel contemporaneo.

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