Giuliano Battiston
A lungo associato a degrado e delinquenza, il serpentone di Corviale – gigantesca unità abitativa popolare degli anni Ottanta – è oggi oggetto di piani di riqualificazione, che però sono ancora confusi. Di fronte a un futuro incerto, artisti e attivisti lanciano il “corvialismo”, manifesto di rivendicazione del quartiere, e organizzano picnic per mantenere unita la comunità.
“Ma arrivate a quest’ora? Forza, le alici stanno finendo. Sono fresche, vengono da Gaeta”. Chi lo conosce come artista, scenografo teatrale e creatore di icone sulle “vie del sacro” potrebbe sorprendersene, ma Giulio Ceraldi, sguardo sornione e sorriso sbarazzino, è anche un ottimo cuoco. È mercoledì, ora di pranzo. Una padella su una cucinetta improvvisata, le alici impanate avvolte nella carta da pane, in attesa di sfrigolare nell’olio bollente.
Da alcune settimane i pranzi conviviali del mercoledì sono un rito, qui alla piazzetta delle Arti e dell’Artigianato, il luogo più creativo del “serpentone”: il parallelepipedo di acciaio, cemento armato e pareti vetrate lungo un chilometro progettato dall’architetto Mario Fiorentino ammiccando all’Unité d’habitation di Le Corbusier. Costruito tra il 1975 e i primi anni Ottanta a Corviale, quartiere della periferia sud-ovest di Roma, adagiato su un crinale come passaggio tra la città e la campagna, è il frutto di una stagione fortunata dell’intervento pubblico per la casa inaugurata nel 1962 con l’approvazione della legge 167 sull’edilizia agevolata e rafforzata dai Piani per l’edilizia economica popolare (Peep) del febbraio 1964. Al tempo di Airbnb e della rendita immobiliare speculativa, la lungimiranza politica di allora è stupefacente: settecentomila abitazioni popolari suddivise in 72 piani di zona. Piano di zona numero numero 61: Nuovo Corviale. Per tutti sarebbe diventato il serpentone.
Nel maggio 1975, quando sono iniziati i lavori di un complesso pensato da Fiorentino per contenere ed esprimere “anche nella sua architettura la complessità e la ricchezza di relazioni propria della città”, alcuni dei commensali di oggi non erano nati. Formaggi, fave fresche, una pagnotta di pane, una grande pentola con le polpette, “quelle romane al sugo”, e tutti gli ingredienti per il koshari. Emmanuele Del Gatto, 45 anni, cresciuto a due passi dal serpentone, assembla riso, ceci, lenticchie, pasta corta, aglio e sugo su una ciotola tonda. La rovescia sul piatto e poi aggiunge una manciata di scalogno fritto. “È un piatto egiziano favoloso, l’ho scoperto al Cairo”. Più che pranzi, spiega, “i nostri sono picnic”. Anzi picchenicche. Come recita il titolo della fanzine in bianco e nero dai contenuti ironici autoprodotta da Del Gatto con l’aiuto della fotografa Emanuela Rizzo, in arte Eraray, classe 1984.
1. Dallo stigma alla rivendicazione: il corvialismo
Eraray non vive al serpentone, ma è stata attratta dall’atmosfera speciale della piazzetta delle Arti. “Abito nel quartiere Portuense. Il serpentone in passato per noi era un luogo da evitare. Per questo la piazzetta è stata una scoperta ancora più grande. Artisti come Giulio e Giancarlo hanno un’energia enorme. La loro idea che il lavoro creativo non si esaurisca nelle opere, ma sia un dialogo costante con gli altri, è preziosa”. Si riferisce a Giulio Ceraldi e a Giancarlo Savino, animatori a Napoli e a Roma negli anni Ottanta e Novanta dell’iniziativa Studi aperti, del gruppo Virus Art e poi della Comunità X, l’associazione culturale di cui fanno parte anche Stefano De Santis, residente-occupante a Corviale dal 1982, e Consuelo Chierici, che viene qui per lavorare alle sue sculture. Nel 2008 hanno sgombrato dalla spazzatura un ampio edificio con due ingressi: uno su via Mazzacurati, la via che corre parallela al serpentone, l’altro su un piazzale interno su cui si affacciano i locali che secondo l’equipe dell’architetto Fiorentino avrebbero dovuto essere botteghe di prossimità, ma che sono rimaste abbandonate. Prendendosi cura di ciò che era trascurato – “liberando dunque, non occupando!” tiene a precisare Savino – hanno ricavato uno studio artistico e poi una sala espositiva intitolata al drammaturgo napoletano Antonio Neiwiller. Sullo stesso piazzale interno si affacciano anche la Stamperia del Tevere, il laboratorio sperimentale di incisione e stampa d’arte fondato da Alessandro Fornaci, e Piacca, l’associazione creata da Massimiliano Lustri, che ha vissuto a lungo al sesto lotto del serpentone e che usa le pratiche del restauro per il reinserimento sociale di detenuti ed ex detenuti.
Mostre, laboratori, camminate esplorative, incontri pubblici, pranzi, discussioni, festival di giornalismo, musica, playground per bambini, proiezioni di film e documentari. È così che uno spiazzo prima anonimo e deserto, disertato dalle istituzioni e la cui responsabilità è stata a lungo rimpallata tra il Comune e l’Ater, l’azienda per l’edilizia residenziale locale, ha acquisito una fisionomia precisa. E un nome: piazzetta delle Arti e dell’Artigianato. “Qui non ci passava nessuno, era considerato una via buia e poco sicura verso le case”, spiega De Santis. “Poi piano piano le cose sono cambiate. Anche il rapporto con i residenti è migliorato, anche se non è ancora come vorremmo. Oggi c’è chi viene a curiosare, chi si propone di collaborare”.
Il cambiamento è stato graduale, ma netto. Proprio qui, meno di tre anni fa, è nato un movimento di rivendicazione: il corvialismo. Uno slogan-manifesto pensato, facendo sintesi di un’energia e un sentimento diffusi, da Emmanuele Del Gatto, che allora ci spiegava: “è un progetto grafico, un logo, ma è soprattutto una rivendicazione. Non è più tempo di vergognarsi del serpentone”. Quella rivendicazione è poi passata di bocca in bocca, è stata stampata su t-shirt e borse di tela, è finita su agendine e quaderni autoprodotti. E sta per tradursi nella prima fanzine corvialista, anche questa autoprodottta, pensata, illustrata e stampata da chi risiede o frequenta il serpentone. Per Del Gatto, l’edificio che svetta di fronte a noi è un tentativo architettonico e urbanistico complesso, audace, “un simbolo potente, che rimanda alla fantascienza degli anni Settanta e Ottanta, all’astronave del film Solaris di Tarkovskij”. Altro che mostro architettonico.
2. La “rigenerazione” svuota la piazzetta
Ora quella stagione è a rischio. Gli “astronauti” paventano il pericolo di un atterraggio d’emergenza: poche settimane fa la piazzetta delle Arti e dell’Artigianato è stata svuotata. “Io lo sapevo che non sarebbe potuta durà pe’ sempre. E a dirla tutta delle promesse non mi fido del tutto”. Barba brizzolata, corporatura massiccia, 48 anni, Massimiliano Lustri si guarda intorno, rabbuiato: la piazzetta è irriconoscibile. Distribuita su più piani, la sede della sua associazione, Piacca, straboccava di mobili, credenze, lampadari, sedie, tavoli, comodini. Ora è vuota. “Grazie al restauro di mobili antichi abbiamo dato un lavoro a tanti ragazzi che come me sono finiti in galera per sbagli e ingenuità. Ora tutto sarà più difficile”. La saracinesca di Piacca, al cui interno nell’ultimo periodo ha preso piede anche lo studio creativo Hausbruthaus, è abbassata. Di fronte, sull’altro lato, la Stamperia del Tevere è vuota: Alessandro Fornaci, Nicolas, Angelica, Alessio e gli altri collaboratori l’hanno faticosamente liberata da bromografi, presse tipografiche, rastrelliere porta colori, torchi a stella calcografica. Vuoti anche gli spazi della Comunità X: “è così che va la rigenerazione, come la chiamano tecnici e politici”, commenta Giancarlo Savino.
A lungo penalizzato dall’immobilismo e dall’inerzia delle istituzioni, oggi il serpentone è al centro di importanti progetti di riqualificazione. Dall’inizio del 2019, il “chilometro verde”, un progetto da 10,5 milioni di euro finanziato dalla regione Lazio e ideato dal T-Studio di Guendalina Salimei, per ristrutturare gli appartamenti del “piano libero”, quello che corre orizzontalmente lungo tutto il parallelepipedo di cemento, per molti anni occupati abusivamente e ora riassegnati. I lavori sono ancora in corso, ma la striscia verde che contrassegna gli appartamenti già ristrutturati e che convergono verso l’interno dai lotti esterni del serpentone – il primo e il quinto – certifica che le cose procedono.
Dovranno procedere più in fretta i lavori del Piano urbano integrato (Pui), il programma di rigenerazione urbana del Comune di Roma che, con fondi del PNRR, prevede 50 milioni di euro circa per le cinque linee d’azione del Polo solidarietà Corviale. Il secondo dei cinque cantieri riguarda proprio la piazzetta delle Arti e dell’Artigianato e la testata della cosiddetta trancia H, la parte iniziale dell’edificio che dalla piazzetta si inoltra verso il centro commerciale Casetta Mattei. Sulla carta, il Pui “mira al rilancio e all’incremento del ruolo sociale e culturale della zona centrale e al ridisegno complessivo degli spazi pubblici e dei percorsi della fascia dei servizi”. E include “il riconoscimento del ruolo di presidio delle associazioni attive da anni”. Ma su quest’ultimo punto non c’è alcuna garanzia, notano i nostri commensali.
I lavori vanno conclusi entro l’estate 2026, pena il decadimento del finanziamento del PNRR. Intorno alla nostra tavola nessuno può dirsi certo che, dopo quella data, artisti e artigiani torneranno come legittimi assegnatari nei loro studi e laboratori, ora allestiti in miniatura, in due locali da 60 e 30 metri quadrati l’uno, di fronte agli uffici del Municipio, a due passi dall’ex mercato. “Fino a quando non ci sarà una risposta ufficiale la preoccupazione è legittima”, spiega Sara Braschi. “Non c’è ancora la sicurezza che, una volta conclusi i lavori, le sistemazioni vengano assegnate alle comunità di artisti, come ci auguriamo”, conferma Sofia Sebastinelli. Entrambe architette, esperte di edilizia pubblica e progettazione partecipata, sanno probabilmente meglio di chiunque altro di cosa si parla, quando si cita la rigenerazione di Corviale.
3. Le architette del Laboratorio di Città Corviale
Sebastianelli e Braschi, per tutti Sara e Sofia, sono le colonne del Laboratorio di Città Corviale, un progetto di ricerca che dal settembre 2023 è sostenuto da Roma Capitale, ma iniziato nel 2018 con un protocollo d’intesa tra la direzione per l’inclusione sociale della Regione Lazio e il dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Roma Tre, di cui fanno parte. La loro equipe di lavoro, coordinata dai docenti universitari Francesco Careri e Giovanni Caudo, è formata da una decina di ricercatrici, giovani, in gamba e con la voglia di fare, ma qui le “architette” sono soprattutto loro due. Dall’agosto 2018, i circa cinquemila residenti del serpentone, come gli artisti, sanno di poterle trovare nel loro ufficio, all’ingresso della piazzetta.
Tessitrici, fanno da membrana tra la forma, il progetto architettonico, la pianificazione territoriale, le istituzioni da una parte, e la sostanza, i residenti, le relazioni umane, i cittadini dall’altra. A cui spiegano i cambiamenti in corso. E da cui raccolgono lamentele e proposte per l’amministrazione. L’elenco delle lamentele è infinito. Ma anche quello delle proposte non è male: hanno sollecitato le istituzioni affinché si risolvesse il rimpallo tra Comune e Ater sulla responsabilità del piazzale, ora di proprietà di Roma capitale; hanno insistito perché venisse riconosciuto nella toponomastica, battezzandolo appunto piazzetta delle Arti e dell’Artigianato; hanno contribuito allo studio di fattibilità tecnico economica del Pui, suggerendo di inserire anche la rigenerazione della piazzetta. Ma forma e sostanza non sempre coincidono: neanche loro hanno certezze sull’assegnazione degli spazi. Per ottenerne la concessione, artisti e artigiani hanno consegnato le istanze di parte al dipartimento Valorizzazione del patrimonio e politiche abitative di Roma capitale. Ma l’approvazione del comitato tecnico non è arrivata. “La situazione è complicata. Gli artisti, in pratica, si stanno affidando alla rigenerazione. È una grande scommessa”, sintetizza Sofia prima di tornare agli scatoloni: anche l’ufficio del Laboratorio di Città Corviale si trasferisce. In un container che diventerà un info-point sul Pui.
“Le architette? Sono delle caronti, delle traghettatrici”, nota De Santis. “Hanno avuto tenacia e capacità di ascolto. All’inizio le vedevamo come quelle che volevano costringerci alle vie legali, poi abbiamo capito il senso del loro lavoro. Sono fondamentali perché fanno mediazione umana, prima che professionale”. Un portierato sociale, appunto. Per il progetto del “chilometro verde” svolgono accompagnamento sociale delle famiglie del Piano libero, persuase a lasciare gli appartamenti occupati e poi trasferite nelle case ristrutturate, se ne avevano diritto. Delle vecchie case, hanno tenuto traccia. Le soluzioni architettoniche trovate da alcune famiglie per rimodulare gli appartamenti in base alle proprie esigenze sono state raccolte nella “mostra delle memorie”, con le immagini dei fotografi Claudia Consorti, Mykolas Juodele, Roberta Marsigli, Giovanni Stalloni e Aldo Feroce, l’autore delle foto che accompagnano questo testo, oltre che del libro Il Palazzo dei destini incrociati. “È un modo per restituire pubblicamente il lavoro di documentazione delle case occupate del piano libero, un’estensione del lavoro di accompagnamento sociale”, ci spiega Maria Rocco, altro riferimento del Laboratorio di Città Corviale. In questi 4 anni la mostra è stata ospitata nella sala condominiale del primo lotto, che sta per essere ristrutturata. “Abbiamo dovuto disallestirla. Ora è in viaggio. Un primo allestimento temporaneo è avvenuto per Open House. La mostra avrà natura itinerante durante i lavori del Pui”.
Itinerante è la mostra. E itinerante è la tavolata del mercoledì. Il “picchenicche” non ha un luogo fisso, è mobile. Nelle scorse settimane ci siamo uniti più volte alla tavolata. Anch’essa ha lasciato una traccia, disegnando una linea zigzagante tra la vecchia piazzetta e la nuova sistemazione provvisoria. Oggi qui intorno al cibo si celebra il rituale per esorcizzare timori e aprirsi al nuovo. “Di fronte all’incertezza del futuro, istintivamente abbiamo risposto con il desiderio di non perderci. Così, tutti i santi mercoledì mangiamo insieme intorno a un tavolo”, nota Giancarlo Savino. ”È nei momenti di difficoltà che ci si ritrova, scoprendosi vicini, nella comunione degli intenti e del modo di guardare alle cose importanti”, aggiunge Ceraldi. La piazzetta è in movimento e continuare le attività è cruciale, insiste Alessandro Fornaci, che ha ricreato la stamperia su scala ridotta. Arriva di corsa al picchenicche, le mani ancora impiastrate di inchiostro, alle prese con un progetto per contaminare i metodi d’incisione tradizionale con il videomapping. Fornaci sottolinea l’importanza della sponda del Municipio XI. Si dice ottimista, ma c’è chi rimane dubbioso.
Intorno alla tavola ci si chiede infatti se i tecnici, da lontano, sapranno valutare il lavoro svolto, la cura degli spazi abbandonati, l’uso della piazzetta come palestra civica e luogo di apprendimento sociale. Ci si chiede se le istituzioni sapranno mantenere gli impegni presi, rispettare i tempi previsti, concludere veramente i lavori, evitando il solito taglio del nastro”. Ci si chiede anche se le associazioni sapranno fare la loro parte. “Corviale è un Giano bifronte, pieno di problemi e di potenzialità. Anni fa si parlava di riqualificazione, ma è mancato il tema della gestione di ciò che veniva riqualificato. Oggi si parla di rigenerazione, ma la questione rimane. Molto dipende dalla capacità delle associazioni di incidere sul processo decisionale”, spiega Tommaso Capezzone, il presidente della cooperativa di comunità urbana EUDEcoop, fondata un anno fa, già attivo con l’associazione Corviale domani.
4. Non se ne abbia la destra post-fascista: il serpentone non si abbatte
I timori sono legittimi, ma il cambiamento è reale. Al serpentone si investe (si vedrà se correttamente o meno). Il serpentone non viene abbattuto, né svuotato dei suoi residenti. Politicamente è il punto più importante. Lo è ancora di più in una chiave storica, alla luce dell’aspra contesa giocata intorno a questo simbolo dell’intervento pubblico dell’edilizia popolare romana. La vicenda è lunga. Bruno Bonomo, docente di Storia contemporanea, ne fornisce una versione sintetica ma accurata ne Il serpentone conteso. Breve storia politica di un simbolo dell’edilizia popolare romana, un saggio incluso nel numero 27 dei Quaderni di Urbanistica Tre, Corviale, Laboratorio di Città, volume curato da Sara Braschi e Sofia Sebastianelli. Bonomo ricorda che la destra sociale post-fascista ne ha invocato l’abbattimento più volte, a partire dalla metà degli anni Novanta, quando al Campidoglio sedeva Francesco Rutelli. Il serpentone veniva bollato “come emblema di una perniciosa visione ideologica dell’architettura e dell’urbanistica coltivata dalle giunte rosse capitoline”. Denigrato come simbolo dell’ideologia collettivistica-marxista, per la destra il serpentone è stato all’occorrenza anche un importante bacino per reclutare voti. E, per i partiti di qualunque orientamento politico, un palcoscenico elettorale.
La foto più iconica è forse quella scattata da Alessandra Benedetti il 15 marzo 2008. Da un podio su cui domina la scritta “Alemanno sindaco, Antoniozzi presidente” (di provincia, ndr), spunta il sorriso protesico di Silvio Berlusconi. Alla sua sinistra, con fare rigidamente composto, Gianfranco Fini, la cui sagoma emerge sullo sfondo dell’edificio. È qui al Serpentone che il Popolo della Libertà inaugura la campagna elettorale. Berlusconi, Fini, Antoniozzi e Gianni Alemanno firmano “il Patto per Roma”, uno dei tanti esempi della visione della politica come contrattualistica privata tipica degli integralisti del mercato e dei neoliberisti.
Non è storia d’archivio. Anche di recente, c’è chi ha continuato a chiedere la demolizione dell’edificio, in certi casi immaginando di costruire al suo posto un borgo tradizionale, ispirato al quartiere della Garbatella. Tante belle casette a due o tre piani, finestre aperte sui cortili condivisi su cui sventolano panni stesi al vento, al posto di questo ambizioso, mastodontico, seducente simbolo del moderno architettonico, che non maschera ma esibisce la propria ispirazione di town design. Ma il serpentone non verrà demolito. E con buona pace della destra sociale post-fascista è proprio per questo che sta diventando un modello.
Lo è per Simon Robinson, un australiano ospite abituale al tavolo del picchenicche. Direttore dello studio di progettazione e ricerca multidisciplinare senza scopo di lucro Office, è arrivato a Roma lo scorso marzo, tramite l’American Academy, per un progetto dal titolo esplicito: “Learning from Corviale”. Architetto e ricercatore, si occupa di edilizia residenziale pubblica e di come rinnovare gli alloggi pubblici obsoleti. La sua ricerca di lungo periodo si ispira alla triade Retain, Repair, Reinvest (Conservare, riparare, reinvestire). L’opposto di quel che il governo australiano intende fare con le 44 torri di edilizia popolare edificate a Melbourne tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, per le quali il governo di Daniel Andrews prevede la demolizione. “Sono qui per studiare Corviale. Ho incontrato Sara e Sofia e vorrei capire come hanno costruito la relazione con i residenti, guadagnandone la fiducia. L’obiettivo è dimostrare che anche in Australia è possibile seguire un’altra strada. Nelle torri di Melbourne vivono diecimila persone: hanno saputo del piano di demolizione dai media. Nessuno aveva pensato di avvertirli. Davvero sconcertante”. Simon Robinson beve il bicchiere di vino rosso versato da Tommaso, forbito cartomante commensale, insieme al generoso Bruno, di ogni picchenicche, e riprende a chiacchierare. Dice di sentirsi a casa, qui al serpentone, nella periferia sud-ovest di Roma, dove le capre pascolano sui campi. “Come ci sono finito? Un amico mi ha parlato di questi mercoledì così speciali e mi ha detto: ‘prendi una bottiglia di vino e vai tranquillo’. Vedrai che ti accoglieranno”.
Le foto sono di Aldo Feroce che ringraziamo per la gentile concessione.
Giuliano Battiston
Giornalista e ricercatore freelance, direttore dell’associazione di giornalisti indipendenti Lettera22, collabora con quotidiani e riviste. Docente alla Scuola di giornalismo della Fondazione Basso di Roma, per dieci anni ha curato il Salone dell’editoria sociale, ora organizza il festival MIP, il Mondo in periferia. Con Giulio Marcon ha curato La sinistra che verrà. Le parole chiave per cambiare (minimum fax, 2018).
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