La redazione di Lucy
03 Marzo 2025
Con il nuovo mese inauguriamo anche un nuovo tema: ve lo presentiamo qui.
La densità della parola “maschera” e di ciò che essa indica si riflette nella sua composita etimologia. Secondo una prima ipotesi, bisognerebbe risalire a un’origine linguistica pre-indoeuropea, in cui la masca indicava un volto nero, uno spettro di fuliggine. È possibile che questo primo significato sia giunto fino al tardo latino, quando con il termine masca si indicavano le streghe. In Piemonte leggenda vuole che le masche siano donne in apparenza normali che hanno poteri speciali, e li tramandano per discendenza femminile. Il termine appare anche nell’antico tedesco e nel provenzale, dove indica, anche qui, lo stregone. Con il tempo questo primo significato si dissipa per lasciare spazio al camuffamento. Il termine comincia a indicare i fantasmi, quindi forse a un morto sotto mentite spoglie. Dalla strega al fantasma. A pensarci bene è curioso. Se la strega si finge normale e nasconde la sua identità soprannaturale, il fantasma si manifesta per incutere timore. C’è dunque chi cerca di passare inosservato e chi invece vuole essere visto per ciò che non è. L’aspetto goliardico delle maschere, invece, pare derivare dalla tradizione araba, dove con maschara si indicava la burla. E così significati oscuri e accezioni scherzose si sono addensate, e ora la maschera suscita inquietudini sinistre da una parte, mentre dall’altra evoca feste e riti in cui la realtà è qualcosa di flessibile, che può essere capovolta per puro divertimento o per ragioni più profonde: è grazie alle maschere che l’uomo ha potuto trascendere la propria mortalità e i confini fisici per congiungersi con il divino immanente.
“Questa monografia di Lucy si intitola “Maschere e volti”. I volti si sono aggiunti dopo, parlandone in redazione. Le maschere da sole ci sembravano allo stesso tempo ambigue e definitive”.
Una piccola parentesi: è da questo stesso coacervo di significati che discende il più fatuo “mascara”, per infoltirsi lo sguardo e… truccarsi, cioè ingannare il prossimo camuffandosi – ancora – da ciò che non si è.
Questa monografia di Lucy si intitola “Maschere e volti”. I volti si sono aggiunti dopo, parlandone in redazione. Le maschere da sole ci sembravano allo stesso tempo ambigue e definitive. Se diciamo di qualcuno che indossa una maschera, stiamo dicendo che quel qualcuno sta celando la propria identità. Ma non siamo sicuri che questo sia sempre il caso. Talvolta è proprio la maschera, con la sua pretesa di finzione, di gioco, a permettere di svelare il volto più intimo di chi la indossa. È il caso dell’arte, della letteratura, del teatro, del cinema, persino (e soprattutto) della politica: l’utilizzo dell’artificio per confezionare la verità. E ancora, le maschere e i volti si confondono nella nostra vita quotidiana quando scivoliamo da un contesto all’altro, mostrando parti di noi diverse a seconda di chi è di fronte. È una maschera quella che indossiamo quando parliamo con i nostri capi? E che ci protegge quando parliamo a in pubblico, quando ci relazioniamo agli altri? O si tratta invece del nostro volto scomposto in tanti frammenti, che solo chi ci conosce davvero può ricomporre?
È questa complessità che vorremmo provare a restituire in questo mese carnevalesco, una festa che alle sue origini era tesa a sovvertire l’ordine costituito e a fomentare il caos, da cui far risorgere un rinnovato equilibrio cosmico, con le sue gerarchie e i suoi ruoli. Un momento in cui la barriera che separa i vivi dai i morti si indebolisce, lo spirito di Dioniso si aggira tra gli uomini assieme ai più antichi Marduk e Tiamat, e l’individualità di ciascuno si squaglia in una collettività indistinta, ancestrale, orgiastica: il preludio della primavera, del mondo nuovo.
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