Nicola Lagioia
Il “mondo infero” del nuovo film di Tim Burton – seguito del film del 1988 – ha colonizzato il Lido, in un primo giorno di Venezia 81 che, fra l’acclamazione per Winona Ryder, il premio alla carriera per Sigourney Weaver e Amandoti dei CCCP, è stato all’insegna della nostalgia.
Lido di Venezia, martedì sera. Alla vigilia dell’inaugurazione, nel ristorante sulla spiaggia dell’Excelsior, una scena significativa. Il maître gira tra i tavoli, saluta gli ospiti. Sono arrivati i produttori, qualche regista, qualche addetto ai lavori, pochi attori. Il bello sarà domani, quando l’hotel sarà invaso da grandi star, registi, presidenti, ministri, direttori, e tutti (qualche centinaio) si trasferiranno nella terrazza al primo piano, dove c’è la Sala degli Stucchi. Lì Sergio Leone girò una scena celebre di C’era una volta in America (l’ultima cena tra Noodles e Deborah) e da anni viene allestito il party inaugurale della Mostra del cinema dopo il film d’apertura, che quest’anno è Beetlejuice Beetlejuice di Tim Burton.
Il maître è al tavolo di una coppia, prende l’ordinazione. All’improvviso aggrotta le sopracciglia. Il suo sguardo si fa cupo, poi minaccioso. Non ce l’ha con la coppia (un uomo e una donna, che tuttavia non possono non notare il crollo del sorriso sulla faccia dell’altro, preoccupandosi a loro volta), ha notato qualcosa che non è dove dovrebbe essere, che sta accadendo mentre non dovrebbe accadere, almeno qui all’Excelsior. Di qua dal pianoforte, di là dalle costosissime capanne sulla spiaggia che i veneziani ricchi (e gli americani, e i giapponesi) posseggono per tuffarsi l’estate nel grigio Adriatico, è comparsa una homeless.
La donna entra nel campo visivo dei presenti. Avanza tra i tavoli del più lussuoso hotel del Lido (almeno fino a quando non riaprirà il Des Bains, che sta all’Excelsior quanto La morte a Venezia a C’era una volta in America), e inizia pericolosamente a barcollare tra i tavoli, contaminando agli occhi del maître i pochi presenti, che, d’accordo, non saranno Tim Burton (arriva domani con Monica Bellucci) né Sigourney Weaver (arriva anche lei domani), ma se sono lì pagano anche per non vedere certe scene.
Il maître (un uomo sui cinquantacinque anni, capelli a spazzola, mani grandi) questo non può permetterlo. Fa per scattare in avanti, vuole fermare la barbona. Ma ecco, accade l’impensabile. Accanto alla donna (un metro e cinquanta) compare un altro personaggio più che eccentrico. Un uomo alto più di due metri, magrissimo, vestito da scheletro. Il maître trasecola. Dopo lo scheletro e la homeless, arriva l’agente di entrambi. I tre parlano in inglese. Ridono. In pochi istanti gli schemi semantici si capovolgono, diventa chiaro che i tre stanno scendendo all’Excelsior dalle scale dello showbiz, e hanno una capacità di spesa (loro, o chi per loro) pari a tutti i clienti del ristorante messi insieme.
La barbona non è insomma una barbona, indossa un vestito molto bizzarro confezionato da uno stilista di Los Angeles. L’uomo scheletro è adorabile. I tre, probabilmente della produzione di Tim Burton, sono travestiti da personaggi del “mondo infero”, omaggiano Beetlejuice Beetlejuice. Il maître tira un sospiro di sollievo. Riconquista il sorriso. Torna alla sua coppia. “Dove eravamo rimasti?”, chiede, “cosa prendono i signori di secondo?”.
Dura la vita per i maître. Nessuno è quel che sembra. O forse vogliamo illuderci che il “sottomondo” di Tim Burton sia ancora in grado di minacciare la sconfinata aridità del mondo di sopra? C’è ancora, nel 2024, una differenza tra “mondo di sotto” e “mondo di sopra”?
Lido di Venezia. Mercoledì sera. In sala grande c’è la serata inaugurale. La scena si apre con una tastiera e una voce. Sul palco c’è Clara, pseudonimo di Clara Soccini, cantautrice e attrice di Varese (interpreta Crazy J in Mare fuori). Piuttosto imprevedibilmente (o molto prevedibilmente, fedele alla nuova linea governativa) Clara canta Amandoti dei CCCP. Devo dire, lo fa molto bene. Clara scompare, arriva Sveva Alviti, madrina di questa edizione, dovrà dare il benvenuto a tutti, presentare le giurie, dettare i tempi tra la consegna del Leone d’Oro alla carriera e la proiezione del film d’apertura. La presidente di giuria del Concorso principale di quest’anno è Isabelle Huppert. Vicini a lei, seduti in platea, ci sono gli altri presidenti: Debra Granik per Orizzonti, Gianni Canova per Venezia Opera Prima, Renato De Maria per Venezia Classici.
“‘Beetlejuice Beetlejuice’ è un divertente riassunto della poetica di Burton, con il dialogo continuo tra mondo dei vivi e mondo dei morti, tra ciò che è tristemente normale e ciò che è vitalmente mostruoso”.
Il problema gigantesco, ogni anno, per le madrine, è che devono gestire la consegna del Leone d’Oro alla carriera. Questo significa che tra un discorso e l’altro devono chiamare sul palco il vincitore e chi ne fa la laudatio, e siccome in certi casi sia l’uno che l’altro (quest’anno Sigourney Weaver, introdotta da Camille Cottin) sono dei mostri di bravura, diciamo che la differenza rispetto alla retorica compilativa della madrina si sente. È così anche quest’anno.
Camille Cottin sale sul palco, tiene un discorso appassionato su come Sigourney Weaver sia stata la prima donna a essere diventata una star attraverso film di genere, lottando contro mostri (dall’emblematico 1979 di Alien), fantasmi (Ghostbuster), vivificando mondi fantascientifici (Avatar) e addirittura le loro parodie (Galaxy Quest). Poi sale sul palco la premiata, Susan Alexandra Weaver, che all’età di 14 anni cambiò nome perché “una ragazza di 1 metro e 83 non poteva chiamarsi Suzie”, e scelse Sigourney in omaggio a un personaggio secondario del Grande Gatsby.
Anche il discorso di Sigourney Weaver è molto bello, soprattutto quando, con enorme maestria, l’attrice, emozionata e a proprio agio al tempo stesso, perde il filo o finge di perderlo, e lo riagguanta tra gli applausi.
Cosa ne è stato, dunque, della luce verde?
Entra in sala il cast di Beetlejuice Beetlejuice. Fanno il proprio ingresso Michael Keaton e Jenna Ortega, Willem Dafoe e Winona Ryder (per lei gli applausi più calorosi), e quindi Tim Burton con la sua nuova compagna e attrice Monica Bellucci. Inizia il film. È chiaro sin da subito che con questo ritorno al passato Tim Burton non sta neanche provando a riprendere la vena creativa né l’ispirazione de La sposa cadavere, di Nightmare before Christmas, ma neanche di Sweeney Todd. (Ovviamente non cito Edward mani di forbice o Ed Wood, quei tempi sono finiti per sempre). Al tempo stesso è difficile non volere bene a Tim Burton.
Beetlejuice Beetlejuice è un divertente riassunto della sua poetica, con il dialogo continuo tra mondo dei vivi e mondo dei morti, tra ciò che è tristemente normale e ciò che è vitalmente mostruoso, con delle punte di vera comicità, e delle punte di vera malinconia (quando la madre di Winona Ryder le chiede “cosa ne è di quella ragazzina dark che mi rendeva la vita impossibile?”, può sembrare una domanda che Tim Burton pone a se stesso). Ma “beato chi è diverso essendo egli diverso, guai a chi è diverso essendo egli comune”: cosa separa davvero Beetlejuice Beetlejuice del 2024 dal Beetlejuice del 1988? Probabilmente il fatto che il “mondo infero” raccontato da Burton era nuovo, libero, eversivo allora, mentre adesso, 36 anni dopo (come i tre ectoplasmi vip comparsi all’Excelsior la sera prima dell’inaugurazione) è ormai completamente codificato da Hollywood, dalle piattaforme. Anche “il mondo di sotto” è “il mondo di sopra”. Vivi e morti si confondono, ma hanno vinto i vivi, cioè i morti.
Eppure… eppure le dimensioni messe in scena da Tim Burton (sia nel primo Beetlejuice che in questo) sono tre: il regno dei vivi, il regno dei morti (ormai indistinguibili), e poi il “mondo delle sabbie”, la lontanissima luna di Saturno dove strisciano i grandi serpenti. Ecco, quello è forse un posto ancora non colonizzato. È lì che sono confinate le nostre speranze. Se c’è ancora una forza liberatoria, rivoluzionaria, è nascosta su quella luna. C’è vita laggiù? È quello che proveremo a capire seguendo i film che andranno in scena a Venezia a partire da oggi. Questo era l’antipasto. Adesso si comincia.
Nicola Lagioia
Nicola Lagioia è scrittore, sceneggiatore, conduttore radiofonico e direttore editoriale di Lucy. Il suo ultimo libro è La città dei vivi (Einaudi, 2020).
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