Nelle carceri italiane non si respira - Lucy
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Luigi Mastrodonato

Nelle carceri italiane non si respira

Il sistema penitenziario è in grave sofferenza per il sovraffollamento. La crisi climatica – tra estati sempre più torride ed eventi estremi, come la siccità in Sicilia, sempre più comuni – rischia di dargli il colpo di grazia. Un motivo in più per tornare a parlare di amnistia.

Negli ultimi mesi c’è stato un gran via vai di camion dal carcere “Di Lorenzo” di Agrigento. La struttura si trova a una manciata di chilometri dal centro storico, lontana dalle case e persa nel nulla, come previsto dal codice non scritto della topografia penitenziaria. Le carceri sono isole invisibili; per coloro che non le abitano sono solo concetti. Non bisogna vederle.  

È così, dunque, anche per la casa circondariale di Agrigento, ma chi percorre abitualmente la strada statale 122 non ha potuto non notare il nuovo traffico di camion e il loro stazionamento davanti alla struttura. La Sicilia sta vivendo la più grave crisi idrica dell’ultimo mezzo secolo. Il 2023 ha fatto registrare per il quarto anno di seguito una precipitazione media annuale ben al di sotto della media storica e le cose nel 2024 non hanno fatto che peggiorare, al punto che il governo regionale a febbraio ha dichiarato lo stato di calamità naturale. In Sicilia manca l’acqua per l’agricoltura, manca l’acqua per la popolazione. E quindi manca l’acqua anche e soprattutto per i detenuti, la prima voce civile da sacrificare quando c’è un’emergenza.

I camion che negli ultimi mesi hanno fatto la spola dal carcere di Agrigento sono autobotti. La struttura è una polveriera: ci sono cento detenuti in più di quelli previsti, si verificano costantemente aggressioni e tentativi di suicidio, si sta male come si sta male in tutte le carceri italiane, ma un po’ di più. La crisi idrica, ha costretto a razionare l’apertura dei rubinetti e a organizzare turni settimanali per le docce, mettendo in discussione perfino il diritto all’igiene personale. Il carcere come istituzione vive in un contesto di perenne emergenza, ma la siccità che sta colpendo gli istituti siciliani, e il conseguente malessere delle  migliaia di detenuti già stremati dal caldo di questi mesi estivi e dall’apatia della detenzione, potrebbe aprire a  un nuovo capitolo di una crisi già in atto. 

A dire il vero non è la prima volta che il sistema penitenziario italiano si trova alle prese con l’emergenza idrica. Come sottolinea l’ultimo rapporto dell’associazione Antigone, nella metà degli istituti visitati nel 2024 manca l’acqua calda, non ci sono le docce in cella e le interruzioni nella fornitura appartengono più all’ordinario che allo straordinario. Le strutture carcerarie italiane sono vecchie e fatiscenti e questo vale anche per gli impianti di distribuzione dell’acqua, che richiederebbero costante manutenzione ma che sono lasciati così perché i soldi per intervenire non ci sono mai e se ci sono vengono veicolati altrove.

Nelle carceri italiane non si respira -

In alcuni istituti penitenziari le persone recluse sono costrette a lavarsi con l’acqua delle bottiglie, perché dai rubinetti non esce niente. Ad agosto è successo nel carcere di Busto Arsizio, dove si sono rotte le vetuste condutture dell’acqua, ma notizie simili sono arrivate dal carcere di Brescia, da quello di Vibo Valentia, dagli istituti campani e da molti altri. La siccità che sta piegando in due la Sicilia, quella siccità che va ormai avanti da diversi anni e che la scienza ci dice essere la nuova normalità, sta costringendo la popolazione locale a cambiare le sue abitudini, a elaborare strategie di adattamento per far fronte all’emergenza. Nelle carceri locali però l’emergenza idrica c’era già prima, sconnessa dalla siccità. Le abitudini sono già state cambiate, le bottiglie erano già troppo spesso l’unico modo per avere accesso all’acqua. La crisi idrica regionale è arrivata nelle carceri come un tornado in un’isola già di fatto rasa al suolo.

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Intermezzo 1*

Fa caldo, il sudore scivola sulla pelle, e si appiccica con i vestiti addosso, sono madido, e si sono ormai impregnati lenzuola e materasso, anch’essi di sudore come i miei panni e le nostre membra. Si boccheggia, in cella, e l’acqua che ci trasciniamo dietro, dopo la tanto sofferta e agognata doccia, evaporando riempie d’umidità l’angusto luogo.

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A metà luglio all’interno del carcere di Cagliari, dove il sovraffollamento ha costretto a stipare fino a quattro persone in celle da sei metri quadri, la temperatura ha raggiunto i 43 gradi centigradi. L’ondata di calore che ha attanagliato l’Italia nella seconda metà del mese ha soffocato le giornate dei detenuti. Ci sono state rivolte per il caldo nel carcere romano di Regina Coeli, a Torino, a Firenze e Trieste, dove un detenuto è morto per probabile overdose di metadone (un flashback della peggiore strage delle carceri italiane di marzo 2020: 13 morti durante due giorni di rivolte a Modena, Rieti e Bologna). Ad agosto alcuni deputati di “Sud chiama nord” hanno regalato 130 ventilatori al carcere dell’Ucciardone di Palermo, una misura tampone che come sempre arriva da iniziative personali, perché per chi gestisce le carceri l’afa è parte integrante della pena e predisporre soluzioni non è nell’ordine delle possibilità. Nel carcere di Venezia i ventilatori sono invece disponibili solo per chi può comprarseli: un bene di lusso in un luogo  dove la gran parte della popolazione viene da contesti di povertà e marginalità. Se in Italia le estati saranno sempre più torride e lunghe, per i detenuti la pena sarà sempre più gravosa.

“A metà luglio all’interno del carcere di Cagliari, dove il sovraffollamento ha costretto a stipare fino a quattro persone in celle da sei metri quadri, la temperatura ha raggiunto i 43 gradi centigradi”.

Un gruppo di ricercatori degli Stati Uniti, guidato dall’epidemiologa Julianne Skarha, ha condotto uno studio sulla mortalità nelle carceri statunitensi associata alle ondate di calore. Quello che hanno scoperto è che per ogni giornata di caldo estremo in cella si verifica un aumento del 3,5 per cento di decessi per cause naturali, mentre i suicidi aumentano del 23 per cento nei tre giorni successivi. Il caldo estremo non solo impatta sulla salute di una popolazione già fragile, un luogo dove due persone su tre hanno una qualche patologia, ma travolge anche la mente in uno spazio dove – dati italiani – ci si suicida tredici volte più che nel mondo di fuori. Di carcere si muore tanto, ma si morirà ancora di più nel momento in cui le ondate di calore saranno più lunghe e frequenti. Questo è il futuro a cui i detenuti vanno incontro. In certi casi, è già il presente.

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Intermezzo 2*

L’aria satura d’umidità, sudore, miasmi, la puoi tagliare con un coltello, in verità, farlo è impossibile, i coltelli sono di plastica riciclata, e si rompono anche solo a guardarli. Devo andare in bagno, ma è occupato, altri quindici sono in fila davanti a me”.

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A inizio agosto nelle campagne di Velletri, in provincia di Roma, è divampato un vasto incendio. La città nel corso dell’estate è stata tormentata dalle fiamme, con episodi che si sono ripetuti a cadenza quasi settimanale, favoriti dal caldo torrido e dalla vegetazione molto secca a causa della siccità. L’incendio di inizio agosto si è però propagato in un’area sensibile del Comune, quella dove si trova il carcere. I vigili del fuoco e la protezione civile hanno lavorato tutto il giorno per evitare che le fiamme arrivassero all’istituto, caratterizzato da un alto tasso di sovraffollamento e interessato nelle settimane precedenti da sommosse. Più o meno in quegli stessi istanti un altro incendio si è sviluppato nelle campagne di Castrovillari, in provincia di Cosenza, arrivando fino all’istituto penitenziario locale. Anche qui c’è mancato poco che le fiamme divorassero la struttura.

Nel 2023 gli incendi in Italia hanno colpito 1.073 chilometri quadrati, una superficie pari a un terzo della Valle d’Aosta. L’anno precedente erano stati il 36 per cento in meno. La scienza mette in guardia che quella degli incendi è un’altra delle nuove normalità a cui dovremo abituarci nella tragedia della crisi climatica, perché ondate di calore sempre più lunghe e frequenti e la siccità dilagante sono una tavola apparecchiata per il fuoco. Le aree più a rischio sono le campagne, dove spesso si trovano le carceri. 

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Intermezzo 3*

Quindici e un solo bagno, un vero e proprio stabilimento balneare per germi e batteri, per loro è la condizione migliore, una festa, per noi, forse un po’ meno. Il cesso è una vecchia turca fatiscente con sopra un tubo dell’acqua per farsi la doccia, che d’estate scotta dannatamente, e d’inverno è maledettamente fredda. A pochi centimetri, sempre nel bagno, cuciniamo i nostri pasti, e se è vero che quando tiri lo sciacquone le feci nebulizzate schizzano fino a due metri, allora cosa stiamo mangiando da anni?

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A metà luglio scorso la provincia di Vercelli è stata colpita da un violento nubifragio. A Borgo Vercelli sono crollate parti delle mura del castello, nelle strade si sono aperte voragini, la grandine si è accumulata come fosse neve. Chi abita in zona giura di non aver mai visto niente di simile, una frase che ormai sentiamo sempre più frequentemente dal momento che in Italia gli eventi meteorologici estremi si susseguono a intervalli strettissimi. A livello microlocale regna ancora l’effetto sorpresa, ma se si ragiona su scala nazionale è questa la nuova normalità.

Il nubifragio di luglio non ha risparmiato il carcere di Vercelli, che si è completamente allagato a causa delle infiltrazioni dal tetto. I detenuti sono stati evacuati dalle celle ma una volta rientrata l’emergenza si sono rifiutati di farvi ritorno e hanno dato vita a una sommossa, prendendo il controllo di due piani dell’edificio. La condizione del carcere è da tempo precaria, il sovraffollamento è del 150 per cento e basterebbe questo per spiegare il malessere dei detenuti. Anche nel carcere l’alluvione è stata una sorpresa, aggravata dal contesto già molto difficile, dove non c’è modo di fare spazio anche a problematiche di tipo meteorologico.

Di storie simili è piena la cronaca, soprattutto se si allarga lo sguardo oltreoceano. Il caso più eclatante è quello dell’uragano Katrina, quando la devastazione portò alla fuga del personale penitenziario della prigione parrocchiale di New Orleans e 600 detenuti vennero abbandonati nelle loro celle per giorni, senza corrente elettrica e con l’acqua che saliva sempre di più. “Di tutte le tragedie legate all’uragano Katrina, questa è stata la peggiore”, ha sottolineato Corinne Carey, ricercatrice dell’organizzazione governativa Human Rights Watch. Quello del 2005 poteva sembrare un episodio isolato, ma nel corso degli anni successivi si è trasformato nella consuetudine. La scienza ha confermato che il record di uragani atlantici a cui stiamo assistendo è dovuto al riscaldamento globale e in alcune aree degli Stati Uniti le carceri sono diventate luoghi vulnerabili più di quanto non lo fossero prima. Quando nel 2021 l’uragano Elsa ha impattato sulla Florida, il carcere della contea di Dixie si è allagato in modo lento ma costante per settimane, costringendo l’amministrazione penitenziaria ad annullare colloqui e attività e a chiudere alcuni padiglioni e aree esterne. Episodi simili si sono verificati negli ultimi anni anche in altri stati americani, dal South Carolina al Texas, fino a Porto Rico. Mentre lo scorso anno la tracimazione di un lago a Corcoran, in California, ha rischiato di trasformarsi in tragedia per l’istituto penitenziario locale.

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Intermezzo 4*

In quindici è pressoché impossibile permanere in piedi in cella, figuriamoci seduti tutti al piccolo tavolino per mangiare, quindi facciamo a turno. Nei turni con noi, si accodano cimici, scarafaggi e altre bestiacce, che non ne vogliono sapere di rispettare la fila. Ben pensandoci però, più che mancanza d’intimità, non stiamo forse parlando di una vera e propria violenza?

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Uragani, alluvioni, ondate di calore, siccità, incendi. Se gli effetti dei cambiamenti climatici costringeranno il mondo di fuori a esistenze sempre più difficili, per chi ha già ne conduce una tragica come i detenuti la situazione potrebbe degenerare una volta per tutte. Osservare la crisi climatica dal carcere è allora un monito a ripensare l’idea stessa della detenzione. “Tutti i segnali indicano che le carceri non funzionano più”, ha sottolineato a commento di uno dei tanti eventi meteorologici estremi un attivista della Californians United for a Responsible Budget. “Serve trovare un’altra soluzione, perché questa è semplicemente insostenibile”.

Nelle carceri italiane non si respira -

Come scrive Leah Wang, ricercatrice del think tank Prison Policy Initiative, “i luoghi di confinamento e le persone al loro interno devono essere tenute a mente e incluse negli  sforzi per ridurre i danni del cambiamento climatico. Mantenere lo status quo non significa altro che trascurare la crisi”. Se le soluzioni più maneggevoli sono quelle che hanno a che fare con lo sviluppo di piani di evacuazione e di gestione dell’emergenza – oggi per la maggior parte dei casi deficitari o inesistenti – la soluzione a lungo termine può essere più ambiziosa. La crisi climatica, il suo impatto su luoghi chiusi, sigillati, come le carceri, sono nuove forme di vulnerabilità per questi istituti, buchi neri della democrazia dove si fa tutto tranne che rieducazione e reinserimento sociale. Il dramma dei cambiamenti climatici può trasformarsi nell’opportunità di intervenire sulle prigioni, per svuotarle. Un’amnistia climatica è la nuova voce da inserire nel dibattito sulle carceri.

*Tutti gli intermezzi sono estratti da una lettera inviata a inizio agosto 2024 dai detenuti nel carcere di Brescia Nerio Fischione – Canton Mombello, uno degli istituti penitenziari più sovraffollati d’Italia, al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e ai deputati bresciani.

Luigi Mastrodonato

Luigi Mastrodonato è un giornalista freelance. Collabora con testate come Internazionale, Domani, LifeGate e si occupa di temi sociali e marginalità, con un focus particolare su carceri e abusi di potere. È autore e voce del podcast “TREDICI”, uscito nel 2023 per «Il Post».

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