Corpi in lotta - Lucy
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Iconografie XXI

Corpi in lotta

Corpi che bruciano, corpi che lottano, corpi che desiderano la libertà: negli ultimi decenni alcuni corpi sono stati protagonisti della Storia, talvolta arrivando a sacrificarsi affinché, attraverso la morte terrena, potessero diventare simboli eterni.

Il tema del corpo è stato un tema cardine del secolo scorso. Ai suoi estremi, il corpo nel Novecento è stato bruciato in forni crematori e portato sulla luna, censurato e liberato, annientato e protetto. Su questioni relative ai corpi – alla loro libertà, alla loro autodeterminazione, alle loro trasformazioni, al loro benessere – si sono combattute guerre, sono stati indetti referendum e investite cifre incalcolabili in ambito scientifico.

I corpi si sono presentati all’appuntamento con il nuovo secolo portando con sé una consapevolezza nuova. Oggi i corpi pretendono di essere diversi – maschili, femminili, bianchi, neri e tutto ciò che sta in mezzo – e liberi di abortire, di non vaccinarsi, di non vestirsi, di amare, di trasformarsi. Non occupano  solo uno spazio fisico, ma anche uno spazio intellettuale, animano il dibattito, vogliono essere visti. Abbiamo selezionato dieci corpi che sono stati protagonisti di altrettanti momenti importanti degli ultimi anni. 

Washington D.C., Stati Uniti, febbraio 2024. 

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Un corpo che brucia non è solo un suicidio o una forma di protesta, è qualcosa di molto più grande: dal fuoco nasce un martire, e attorno ai martiri si costruiscono narrazioni nuove. E infatti alcuni dei momenti più cruciali del secolo scorso sono stati scanditi da corpi che si davano fuoco: Jan Palach, Kōstas Geōrgakīs e Thích Quảng Đức sono i nomi di coloro che, attraverso il sacrificio, hanno denunciato l’autoritarismo sovietico, il fascismo greco e il regime sudvietnamita di Ngô Đình Diệm. Nel XXI secolo, i corpi che bruciano non hanno perso la loro potenza trasformativa. Dal 2009 al 2022 sono più di 150 i monaci tibetani che si sono immolati per denunciare quello che il Dalai Lama ha definito il “genocidio culturale” tibetano da parte della Cina; mentre nel 2010, dal suicidio del venditore ambulante Mohamed Bouazizi sono nate le primavere arabe. Il caso più recente, invece, è stato quello di Aaron Bushnell, militare statunitense datosi fuoco di fronte all’ambasciata israeliana a Washington D.C. per protestare contro il genocidio del popolo palestinese.

Tel Aviv, Israele, febbraio 2020.

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Nel conflitto mediorientale non è raro che i corpi vengano utilizzati come armi: gli esempi spaziano da fatti di cronaca – i bus di Be’er Sheva fatti esplodere nel 2004 –, a progetti artistici, come la storia del kamikaze palestinese Ahmid, romanticizzata dal controverso artista francese Dieudonné. A volte però a diventare armi sono corpi inesistenti. Nel corso degli anni, infatti, l’esercito israeliano è stato oggetto di  operazioni di catfishing a opera di Hamas, condotte tramite finti profili social di belle ragazze israeliane, che iniziavano a flirtare con soldati delle IDF chiedendo loro di scaricare alcune app per  scambiarsi foto di nudo. In realtà, le app in questione nascondevano spyware che permettevano ai miliziani di Hamas di avere accesso a fotocamera, localizzazione e file contenuti nei cellulari dei soldati. 

Lima, Perù, aprile 2021.

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Negli ultimi anni OnlyFans è stato al centro di molte polemiche tra progressisti e conservatori che riguardavano il tema della moralità dei costumi contemporanei. C’è chi vede la piattaforma come uno strumento di emancipazione economica (e quindi di autodeterminazione) a disposizione delle donne e chi, per citare un’espressione cara all’alt-right statunitense, non reputa le opinioni di donne che utilizzano OF “degne di essere accolte”. Tra questi due estremi c’è di tutto: da “Presos de CERESO”, profilo di detenuti messicani che producono contenuti porno dal carcere, a Milagros Juárez, politica peruviana ultranazionalista che ha usato OnlyFans per fare campagna elettorale. Il suo contenuto più famoso è un video in cui, vestita da Asuka di Neon Genesis Evangelion, canta una cover della sigla dell’anime con un testo che promette di deportare gli immigrati clandestini. 

Bergamo, Italia, marzo 2020.

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La foto dei camion dell’esercito che trasportano le bare con dentro i corpi morti di COVID-19 a Bergamo nel marzo 2020 è diventata il simbolo della pandemia in Italia e nel mondo: cristallizza un momento tragico, durante il culmine dell’emergenza. Il tessuto sociale era sul punto di disfarsi, gli ospedali erano  al collasso, e persino seppellire o cremare i morti era impossibile. In quella foto gli italiani rinchiusi nelle loro case hanno visto dei corpi nuovi, portatori di una paura che presto sarebbe diventata loro familiare. Corpi che poi sono rimasti impressi nella memoria collettiva – tanto da venire usati a scopi politici, come ha fatto Matteo Renzi invocando le riaperture a fine aprile 2020: “Se i morti di Bergamo e Brescia potessero parlare ci direbbero di ripartire anche per loro”.

Bucha, Ucraina, marzo 2022.

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Nel marzo 2022, quando l’operazione di accerchiamento di Kyiv fallisce definitivamente e l’esercito russo si ritira, emerge la strage più cruenta della guerra russo-ucraina: il massacro di Bucha. Quando le forze ucraine rientrano nella cittadina a quaranta chilometri dalla capitale, trovano centinaia di corpi: civili uccisi con  esecuzioni sommarie, a volte con i polsi legati, abbandonati nelle loro case, negli scantinati o addirittura per strada. Sul massacro di Bucha si gioca anche una battaglia di propaganda: il presidente Zelenskyi e diversi leader occidentali si recano a vedere i corpi esanimi, e i giornali occidentali pubblicano  le foto dei loro visi sconvolti; la propaganda russa, d’altro canto, cerca di negare l’esistenza della strage, accusano quei corpi di essere in realtà attori, e pubblicano fantasiose ricostruzioni basate su immagini di “cadaveri che in realtà si muovono”. Per la propaganda di guerra non c’è niente di più prezioso di un corpo.

Milano, Italia, febbraio 2021. 

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Legato ai concetti di autodeterminazione e libertà di scelta, usato soprattutto per la battaglia sul diritto a un aborto legale e sicuro, lo slogan “my body, my choice” si è affermato come una delle frasi più di successo dei movimenti femministi internazionali, penetrando, infine, nell’immaginario collettivo. Pur avendo le sue radici nei moti femministi statunitensi  del ‘68, è tornato alla ribalta negli ultimi 30 anni: un caso particolarmente iconico è quello della Smadonnina, un fantoccio della Madonnina di Milano apparsa in un flash mob di Non una di meno nel 2021, che portava al collo, per l’appunto, un cartello con lo slogan “my body, my choice”.

Vienna, Austria, novembre 2021.

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Ma lo slogan “my body, my choice” è stato adottato anche in contesti molto diversi da quelli femministi. Durante le proteste contro l’obbligo vaccinale e le misure sanitarie anti-COVID, tale motto è stato risemantizzato: il corpo preso in considerazione non è più quello femminile, e  la “scelta” in questione da privata – come lo è la scelta di una donna di abortire – si fa collettiva, poiché non vaccinarsi durante un’epidemia può avere conseguenze su altre persone. Lo slogan è passato dalle piazze femministe a quelle no vax per arrivare poi a quelle dell’estrema destra: il culmine del paradosso si è visto negli Stati Uniti, dove lo slogan “my body, my choice” è stato documentato in diverse manifestazioni organizzate da gruppi alt-right.

New South Wales, Australia, gennaio 2020.

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Dal giugno 2019 fino all’inizio del 2020 l’Australia è stata funestata da una drammatica serie di incendi boschivi, tanto grave da aver catturato l’attenzione di tutto il mondo per le immagini della devastazione  virate in rosso-arancione per via di un fenomeno ottico prodotto dall’effetto del fumo sulle fotocamere dei cellulari. In una gara di solidarietà internazionale, il caso più curioso è stato quello delle content creator per adulti che hanno regalato i propri nudes a chi dimostrava di aver donato a una serie di organizzazioni che si occupavano dell’emergenza. Iniziatrice del fenomeno è stata la californiana Kaylen Ward, divenuta nota come “naked philanthropist” (‘filantropa nuda’), che è riuscita a raccogliere oltre 700mila dollari in pochi giorni – una delle cifre più cospicue  raccolte tramite donazioni private. La storia ha però un finale amaro: poco dopo il lancio dell’iniziativa, Ward ha scritto: “il mio Instagram è stato disattivato, la mia famiglia mi ha rinnegata, e il ragazzo che mi piace non mi parla più a causa di ciò che sto facendo… Però fanculo, salviamo i koala”.

San Pietroburgo, Russia, dicembre 2020. 

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Nel gennaio 2021, un tribunale di San Pietroburgo ha esaminato diversi anime e hentai giapponesi per deliberare se fossero osceni oppure adatti alla visione del pubblico russo. Alla fine, il tribunale ha deciso di vietare la distribuzione di titoli come Tokyo Ghoul, Inuyashiki e Death Note. Quest’ultimo era al centro di contestazioni in Russia già dal 2015, quando  una ragazzina appassionata della saga si suicidò, e la sua morte venne sfruttata da associazioni genitoriali per chiedere la messa al bando del manga. Ad ogni modo, il video del tribunale russo che guarda gli anime porno per decidere il da farsi è diventato virale in Russia: è l’immagine di corpi che guardano altri corpi, uno scontro tra diverse sensibilità e culture.

Mosca, Russia, marzo 2024.

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La morte in carcere di Alexei Navalny avvenuta il 16 febbraio del 2024 ha messo in luce l’aspetto fondamentale dell’opposizione politica in Russia: la corporeità. Troppo deboli e frammentati per intaccare il sistema di potere di Putin, coloro che combattono per una Russia diversa hanno solo due scelte: rimanere vivi o dare avvio al processo di martirio, cedendo la propria vita in cambio della promessa di diventare simboli. Navalny, dopo essere sopravvissuto addirittura al tentato avvelenamento, ha infine infoltito le file di coloro che, come Boris Nemtsov e Anna Politkovskaja, sono diventati emblema della lotta contro la Russia di Putin. Non è un caso che, subito dopo la sua morte, il Cremlino abbia usato il cadavere di Navalny come strumento di ricatto nei confronti dei suoi familiari anche al fine di impedirne il percorso da martire che prevede il funerale e l’assegnazione di una lapide dove poterne omaggiare lo spirito. 

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