La sconfitta di Chiara Ferragni - Lucy
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Ester Viola

La sconfitta di Chiara Ferragni

Tre milioni di spettatori, più del Papa. L’intervista di Fazio a Chiara Ferragni è stata un successo di ascolti. Difficile però considerarla un trionfo per Ferragni: la sensazione è che il suo racconto si sia usurato, che le persone si sentano prese in giro e si siano stufate di lei. Questo perché non è stata in grado di cambiare, come invece hanno fatto le sorelle Kardashian.

Non me la sono sognata. Nell’intervista che ho visto ieri sera, canale 9, Chiara Ferragni entra in scena con le note di A star is born. Su questo pezzo di ritornello.

Sto precipitando /

In tutti i bei momenti mi ritrovo a desiderare un cambiamento /

E nei momenti bui ho paura di me stessa. /

Ho toccato il fondo.

Un po’ di convenevoli dopo, Fazio la chiama Oppenheimer. Che morì di dilemma etico. Il gran finale è Chiara che dice, con l’apparenza di crederci: “I social possono essere orribili, c’è una vita fuori che va vissuta”. Non c’è stato nemmeno bisogno di decontestualizzare, come non c’è bisogno di fare ironia, è andata proprio così. È ormai un’allucinazione collettiva, lei, noi, tutto. Gli esiti dell’intervista – che ha fatto più ascolti del Papa – sono niente. Niente ha spostato perché niente poteva spostare, gli sponsor resteranno cauti e a distanza, le fitte di antipatia del pubblico sono ancora troppo forti. Il tribunale, che al momento è l’unico oracolo di Delfi, deve ancora dire la sua. Milioni di parole contro una, archiviazione, la formula magica per la crisi di reputation, l’unica strategia che funzionerebbe. 

L’apice del successo

Era due anni fa, più o meno di questi tempi. La Ferragni senior si era recata con la Ferragni junior, Valentina, titolare di piccola azienda fabbricante gioielli, negli Stati Uniti d’America, New York. Ci aspettavano grandi cose, erano grandi per lei e per noi, raccontava nelle storie Instagram.

Le grandi cose non venivano rivelate.

Come sempre si fa nell’economia degli ex influencer, poi creator, ora talent, Chiara in quei giorni dava hints, mollichelle per incuriosire, indizi di grande collaborazione in corso, con super progetto di cui era super orgogliosa ma super blindato e di cui noialtri di qua saremmo stati messi al corrente a breve. Come una piccola alzata di sipario. Restate sintonizzati su questi canali. Si fa così per creare hype d’anticipo, altra invenzione di quest’era, l’hype, il clima di supervalutazione, una nuvola di Fantozzi al contrario. Il consumatore del ventennio, ricordiamo a beneficio di tutti, è il più fesso mai esistito della catena alimentare keynesiana. Si vendono anche i corsi per fare la valigia per un weekend a Londra.

Non ci interrogheremo in questo articolo sul “cosa siamo diventati”. Ormai siamo diventati, è tardi pure per giudicare, figurarsi per fare gli automoralisti.

Torniamo al progetto super segreto in America di Chiara Ferragni, nell’anno 2022. Si scoprì in seguito che si trattava di una lunga intervista per un giornale di lusso. L’intervista più importante di tutte, altro che Fabio Fazio sul Nove. Altro che «Vogue». 

Era il «New York Times». Più su di così, non si può andare. Le rideva tutto, in quei giorni, alla Chiara. Aveva ragione.

Come mai non se la ricorda nessuno, allora, quell’intervista? Perché così ha deciso lei. Perché le celebrations, le congrats ammaestrate degli amici e le ostentazioni furono tenute al minimo? Il motivo fu evidente agli addetti ai lavori: quelli del giornale americano avevano giocato una perfida mano di poker. L’articolo era diventato, nel titolo: Come si dice Kardashian in italiano? 

Si dice Ferragni, appunto. Bastava per far diventare il successo biondo italiano una zozzeria. Le parole sono pietre, spesso in fronte.

Chiara non ci stava, a quell’accostamento. Non era certo come quelle cafone irredimibili, lei. Lei era già una imprenditrice digitale, una diva, una coi milioni di follower ma follower diversi, coinvolti in faccende di più alto sentire. I devoti. Quelli che la capiscono. Lei andava per musei per alzare il Pil dell’arte, faceva beneficenza, sensibilizzava sulla salute mentale o temi di politica e attualità. La sua biografia era stata riscritta, era in the making, il destino diceva: sogna. 

L’economia del nuovo millennio

Chiara Ferragni è una clamorosa storia di momento giusto e architettura della sovraesposizione. Bella e intelligente e capace. Però bella, intelligente e capace come furono altre. È arrivata prima, e non ha mai ringraziato i padri penati. Anzi, li rinnega pure. Come sbarcare prima nel Klondike, e manco dire ciao a chi ha guidato la nave. A star is born ma manco le stelle nascono da sole.

È un mestiere, il suo, che fiorisce per bellezza e accumulo: non conta moltissimo essere qualcosa in particolare, contava, all’epoca, essere più bella delle altre e aver dato tutto gas con le foto all’alba dei social. Ci furono sei mesi cruciali, come un brodo primordiale. Bisognava essere lì, restarci, crescere, fare le cose giuste. Le fece tutte.

Il pubblico decise. Scegliendo lei, assecondando lei, mettendo i like più a lei. E chi ha il pubblico ha tutto. Ogni tipo di consenso. Com’è successo? 

Ma soprattutto, come è potuta accadere l’altra cosa? Che a un certo punto dei successivi quasi vent’anni il consumatore non ne abbia mai avuto abbastanza?

Cosa ha permesso all’utilità marginale dell’FF, Fattore Ferragni, di non diventare naturalmente decrescente? Da un certo punto in poi il mercato, a te che imperversi ovunque, reagisce con una risposta precisa: saturazione. Hai stufato. Come il troppo zucchero mescolato nel bicchiere d’acqua non si scioglie più. A Ferragni non è capitato. La risposta me la sono trovata da sola. È la stessa per cui il reality delle Kardashian va in onda dal 2007.

“Chiara Ferragni è una clamorosa storia di momento giusto e architettura della sovraesposizione. Bella e intelligente e capace. Però bella, intelligente e capace come furono altre. È arrivata prima, e non ha mai ringraziato i padri penati”.

Siamo carne debole e spiriti molli. La miseria umana è tutta qui: nell’essere predisposti a certe dipendenze. Anzi tutte le dipendenze. Lo raccontava in un’intervista uno psichiatra eccelso e da allora non mi sono più fatta troppe domande. Fumi? Il problema è essere predisposti alle dipendenze. Ti trovano a correre pure in tangenziale alle sei di mattina sotto la pioggia battente? Il problema è essere predisposti alle dipendenze. Insisti con uno che non ti vuole da tre anni? Il problema è essere predisposti alle dipendenze. Guardi le storie instagram di gente che non ha niente da dirti anzi ti annoia pure? Ut supra. 

Vi sarà capitato di vedere i bambini incantati davanti ai video youtube con lo slime. Il sistema nervoso non è destinato a molti progressi, cambierà solo lo slime. Lo slime per adulti era Chiara Ferragni. Non c’era niente di rilevante, hààài gàààis, fit check, foto in vacanza, i figli, le sfilate, i trucchi coi brillantini. 

Ma noi guardavamo lo stesso. Come lo slime.

Intanto, fiorivano i milioni in banca. Fin qui, proprio come le Kardashian. Solo che le Kardashian sono state più lungimiranti, migliori investitori, hanno più senso della realtà. Da un certo punto in poi, capitesi parecchio miracolate, hanno chiuso i rubinetti social e – incredibile ma ci riescono – non parlano, non fanno le amiche di nessuno, filmano quel che c’è da filmare e si sono chiuse a vita privata, pur fatturando con trecento milioni di follower. Sommate, per numeri social, sono la potenza mediatica più grossa dell’intero creato.

Eppure nessuna condivisione, se non in laboratorio. Il resto è distacco professionale. Il privato finisce – qualche pezzo – nella serie, che è scritta da bravi autori e sa solo di fiction.

La condivisione

Dopo il successo, venne la hybris. Chiara Ferragni si trasformò in media impresa. 

Donna rampante, storia personale di riscatto “quando ero giovane ero tanto tanto snobbata alle sfilate e soffrivo”, rivincita sua e di tutte le donne. Ce la puoi fare anche tu, ragazza dietro lo schermo. Immedesimati, girlpower! Vendita di privacy ai social sempre più spinta. You can have it all. Gli hater ho imparato a considerarli parte del gioco, gli voglio perfino bene.

Tendenza: coraggio-fierezza-donnaincarriera-aspiro a essere un modello per tutte. 

Sembrava che la scalata non dovesse aver mai fine. La massa crea altra massa. Più celebrità genera ancora più celebrità. 

E poi? Come si mantiene l’impero? La risposta divenne: aumentando la condivisione con un’allenata cordialità. Che parola si sono inventati i mercanti dei social, condivisione. Spezzo il mio panino burro e marmellata in due, metà è tua, prendi. È un verbo benintenzionato, supercattolico. Evocativo di qualcosa di buono. Condivido la mia vita con te! Ma che buon cuore.

Condivisione vuol dire smercio. Per quanto ne capisco io, condivisione online della vacanza ai Caraibi significa sempre che uno va al mare e un altro guarda. Tu al massimo puoi mettere un like, condividi così. Ti voglio bene, community! 

E quella confidenza percepita, però, scavava fossi nell’inconscio delle persone. Convinte che Chiara fosse un’amica, una vicina, una che nella sua vita ti voleva. E pure una a cui chiedere: comportati bene.

Io campo  – come tutti quelli della mia età, ma vedo pure certi trentenni – nel terrore di essere reazionaria anzi tempo. Mi costringo a capire e lisciare il nuovo che passa il convento. Per esempio mi ero abituata ad apprezzare forzosamente la Ferragni come facevan tutti – non venditrice ma imprenditore – pur sapendo che la forza economica non è stata d’invenzione o di capacità di lavoro ammirevole, sono stati i numeri sempre in aumento di pubblico possibile pagante che ha accumulato da quando esiste.

Ecco la parte debole dell’impalcatura. Tutta questa vita facile aveva un prezzo, uno inatteso, la vicinanza. La community è ministro della verità e censore, è affamata, sempre affamata. La community se sgarri si sente tradita. L’hai illusa che ti conosce. L’hai plagiata, per farla diventare così.

Niente di peggio di quando devi ammettere che le regole del gioco sono orribili, pericolose. E chi le ha scelte quelle regole, chi lo ha inventato quel gioco sei tu.

Dimmi ragazza /

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Ester Viola

Ester Viola è avvocata, giornalista di costume, scrittrice. Il suo ultimo libro si intitola Voltare pagina. Dieci libri per sopravvivere all’amore (Einaudi, 2023).

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