Se la paura nasce dalla gentrificazione - Lucy
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Se la paura nasce dalla gentrificazione
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Letto, visto, ascoltato

Irene Graziosi

Se la paura nasce dalla gentrificazione

I racconti di Enriquez hanno il raro dono di terrorizzare. Ci riescono grazie a delle paure contemporanee, una prosa levigata, una scrittrice che sembra sadicamente divertirsi a mantenere in sospeso il mistero delle sue storie.

09 Gennaio 2024

Un’amica mi ha consigliato un racconto tratto dalla raccolta I pericoli di fumare a letto della scrittrice argentina Mariana Enriquez, uscito questo autunno per Marsilio. Il racconto a cui l’amica si riferiva era La vergine della cava, e così ho iniziato da quello senza sapere nulla della raccolta o dell’autrice.

L’io narrante è una prima persona plurale femminile, che corrisponde a un gruppetto di ragazze più o meno indistinto e che evoca, naturalmente, Le vergini suicide di Eugenides.

Queste ragazze, malgrado siano bellissime (abbronzate, ventre piatto, culo sodo), sono invidiose della loro amica più grande Silvia, che vive in un appartamento con una pianta di mariuana e un materasso a terra e pare sapere già tutto della vita.

Le ragazze un giorno incontrano Diego e se ne innamorano, soprattutto Natalia, che non ci può credere quando Diego mostra interesse solo per Silvia (che è nera, ha il culone piatto e i peli sulle gambe). Ciononostante le ragazze sopportano, e progettano con la coppia di andare alla cava, dove c’è una spiaggia di ciottoli e la statua di una vergine. Le ragazze sono costrette ad assistere alle smancerie dei due, che le trattano da bimbette facendole infuriare. Finché un bel giorno Natalia chiede alla statua della Vergine di intervenire e vendicarle.

Fino al momento dell’incontro tra Natalia e la vergine, tutto era molto realistico. Poi, quando l’elemento magico è piombato tra le pagine, ci ho messo qualche istante a raccapezzarmi. Così ho iniziato il libro dal principio, dal primo racconto, l’ho terminato dopo un’ora e mezza e, non paga, sono uscita e ho comprato anche la raccolta di racconti precedenti che si intitola Quello che abbiamo perduto nel fuoco (altrettanto incredibile) e La nostra parte di notte (non ancora iniziato). 

Dopo un po’ che li si legge, i racconti di Enriquez costruiscono attorno al lettore un mondo fantastico in cui alcuni elementi tornano e si ricombinano di volta in volta fino a creare storie diverse eppure accomunate dallo stesso sentimento di terrore e mistero insondabile.

Le protagoniste sono sempre donne, spesso hanno lo stesso nome, e si muovono tra i quartieri argentini, attraversano il confine brasiliano, qualche volta toccano la Spagna.

Se per alcuni l’orrore si annida in luoghi antichi e bui, per Enriquez nasce da oggetti moderni e dalle ingiustizie sociali – i barboni a cui non si è prestato soccorso, i bambini, i tossici, la gentrificazione, i desaparecidos, la salute mentale e le puzze e le popstar (Enriquez è specializzata in giornalismo musicale) – e infatti in alcune interviste racconta di quanto le notizie che legge sui giornali siano la culla dei suoi racconti, come accaduto con Il bambino sporco, un racconto piuttosto cruento che origina da un articolo di cronaca nera.

“Dopo un po’ che li si legge, i racconti di Enriquez costruiscono attorno al lettore un mondo fantastico in cui alcuni elementi tornano e si ricombinano di volta in volta fino a creare storie diverse eppure accomunate dallo stesso sentimento di terrore”.

La cosa buffa è che chi legge, pur essendo interessato a sapere perché a un certo punto tutti i ragazzi scomparsi a Buenos Aires ricompaiono tali e quali all’ultima volta in cui sono stati visti è ancora più interessato a sapere cosa ne sarà di Mechi, che lavora all’archivio ragazzi scomparsi e ha un flirt con Pedro, giornalista ambizioso con cui ha condiviso una notte gradevole ma non travolgente. 

Mi sono sempre chiesta, soprattutto da bambina, se gli autori di storie misteriose siano al corrente di come vanno davvero le cose al di là degli enigmi che lasciano insoluti nei propri libri o film. Cioè, in questo caso specifico, se Mariana Enriquez sa come farà la protagonista di L’angioletta disseppellita a liberarsi del neonato fantasma della sua prozia anche se non lo vuole dire ai lettori, o perché alcune persone sono in grado di vedere il fantasma e altre no. Sospetto che, se glielo domandassi, mi direbbe che naturalmente non ne ha idea.

Il fatto è che questi interrogativi nella sua scrittura non sono mai posti al lettore come enigmi da risolvere o come elementi che davvero irrompono nella realtà: alcuni vedono il fantasma e altri no, e nessuno lo trova strano. Del resto, lasciando da parte spettri e spiriti, non è ovvio che alcuni siano in grado di vedere oltre le cose terrene e altri no? 

In un’intervista Enriquez racconta come leviga i suoi racconti per arrivare al nocciolo delle sue paure. Dice che l’obiettivo principale è raggiungere un equilibrio per ciò che concerne l’inspiegabile: troppa spiegazione annoia, troppo poca è indice di pigrizia.

C’è un racconto dal titolo Rambla triste in cui una coppia di argentini che vive a Barcellona viene visitata da un’amica che ancora abita in Argentina ed Enriquez dice: “ciò che mi spaventa del racconto è che si svolge in questo quartiere che ha una storia che nessuno conosce, soprattutto i turisti, perché è stato gentrificato fino all’esasperazione. Mi spaventava che molti miei amici che ci abitavano mi pareva mentissero, nel senso che mentivano dicendo di vivere una vita splendida a Barcellona e non era vero. Così, consapevole di tutti questi elementi, ho iniziato a spogliare il racconto seguendo tre strade: non doveva diventare una metafora di gentrificazione; non doveva raccontare la mia paura della migrazione di persone della mia età; non doveva parlare di fantasmi di Barcellona. Alla fine di questo processo avevo raggiunto l’equilibrio tra queste tre componenti che mi terrorizzavano e che probabilmente terrorizzeranno il lettore”. 

“Mi sono sempre chiesta, soprattutto da bambina, se gli autori di storie misteriose siano al corrente di come vanno davvero le cose al di là degli enigmi che lasciano insoluti nei propri libri o film”.

Alla fine della raccolta si rimane un po’ spaesati, pare quasi che la realtà per Enriquez, sia il mondo soprannaturale abitato dai suoi spiriti, che per errore ospita anche la specie umana con i suoi relativi impegni terreni. La scrittura è limpida, la voce è scanzonata – quasi me la immagino Enriquez che se la spassa mentre mi lascia piena di dubbi sulla natura del mondo. 

Era da molto tempo che non trovavo qualcosa di horror che mi facesse davvero paura. Forse dall’onda giapponese della tecnologia malefica che ha raggiunto il suo apice di popolarità con The Ring, ormai vent’anni fa. Ci sono stati alcuni casi isolati, come The Follower, dove la paura nasce dai rapporti sessuali promiscui, o The Witch, che vede nell’ultima ondata di femminismo un’occasione per far tornare in auge le streghe; ma il panorama horror recente è piuttosto deludente.

Chi l’avrebbe detto che sarebbe stata una raccolta di racconti così eleganti a farmi rabbrividire passando accanto all’ennesima Pokeria dalle pareti rosa di fianco a un palazzo popolare irrimediabilmente ammalorato. 

Irene Graziosi

Irene Graziosi è autrice, scrittrice e responsabile editoriale di Lucy. Il suo ultimo romanzo è Il profilo dell’altra (Edizioni E/O, 2022).

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