Valentina Pigmei e Lorenza Pieri
11 Marzo 2025
Mentre in altre parti del mondo ci si impegna molto a raccontarla e a onorarla, in quanto momento di rinascita per la singola donna ma anche per il gruppo sociale di cui fa parte e di cui diventa guida.
In un articolo apparso sul «New Yorker» nel 2019, dal titolo Where are All the Books About Menopause, la scrittrice statunitense Sarah Manguso si chiedeva, dopo aver subito un intervento di isterectomia e affrontato le conseguenze fisiche del climaterio, come mai non trovasse risposte da nessuna parte – né dai medici e meno che mai nei libri – su quel periodo della vita delle donne che dura per almeno il 40% della loro vita. Manguso, facendo risalire questo silenzio al disinteresse per l’invecchiamento femminile, da sempre ritenuto non degno di attenzione quando non oggetto di aperto disgusto (cita il fatto che nel XVI e XVII secolo, rughe, capelli bianchi, escrescenze sulla pelle, rossore e sudorazione nelle donne erano considerati segni di stregoneria), lamentava una lacuna sulle questioni dei cambiamenti ormonali e delle loro conseguenze fisiche e psichiche sui corpi femminili. Di fronte a questa totale assenza di narrazioni, Manguso auspicava l’arrivo di un’ondata di racconti su questa fase della vita “in cui la fine della fertilità corrisponde a una rinascita dell’agency”, per colmare il vuoto e far sì che l’interesse culturale stimolasse anche l’interesse medico-scientifico.
Ebbene, l’augurio di Manguso sembra essersi avverato negli ultimi due anni. Specialmente negli Stati Uniti abbiamo assistito a un’impennata dell’attenzione nei confronti di questo tema. Attrici, modelle, scrittrici e registe hanno cominciato a esplorare con più vigore questa fase della vita attraverso le loro opere, inondando il mercato mainstream – un tempo quasi impermeabile a certe narrazioni – di corpi e riflessioni di donne oltre i quarantacinque anni. Tanto che la mezza età delle donne sembra diventata il nuovo “coming of age”, che ha sostituito il racconto dell’adolescenza.
In Italia invece, silenzio totale. Il tema della crisi di mezza età femminile, o meglio della “rinascita di mezz’età” è quasi del tutto assente dal dibattito culturale e, tranne qualche rara eccezione, questa complessa (e lunga!) fase di passaggio del pre e post menopausa sembra essere ancora rappresentata in maniera stereotipata e dimenticabile, tenuto conto per esempio che uno dei pochi prodotti italiani di successo degli ultimi anni in cui si parla della sessualità di una donna over 50 è la serie Inganno.
Forse è l’Italia a non essere pronta, dato che neanche un romanzo geniale e divertentissimo, che racconta le esilaranti avventure sessuali, sentimentali, familiari di un’artista alle prese con il calo degli estrogeni, e cioè A quattro zampe di Miranda July (Feltrinelli), ha avuto nel nostro Paese l’accoglienza che avrebbe meritato.
D’altro canto la stampa anglosassone non ha esitato a parlare con entusiasmo di “Perimenopause literature”; sia il «Guardian», sia il «New Yorker», sia il «Times Magazine» hanno usato questa definizione, forse frutto di una scelta di marketing che speriamo ci venga risparmiata, pronti come siamo in Italia a incasellare le opere delle donne dentro controproducenti etichette “al femminile”.
“In Italia invece, silenzio totale. Il tema della crisi di mezza età femminile, o meglio della ‘rinascita di mezz’età’ è quasi del tutto assente dal dibattito culturale e, tranne qualche rara eccezione”.
Naturalmente prima di July ci sono state diverse scrittrici, spesso molto letterarie, che hanno raccontato magnificamente la libertà conquistata o recuperata nella mezz’età, da Virginia Woolf a Doris Lessing, autrice di Se gioventù sapesse in cui una donna di 55 anni si innamora (Lessing era del 1919!). Oggi ci sono Deborah Levy e soprattutto Annie Ernaux, che racconta in diversi libri la sua passione per un uomo più giovane, non per spiegarla né tantomeno per giustificarsi, ma per descrivere cosa le è accaduto.
Negli Usa e in Gran Bretagna questi temi ormai sono entrati a pieno titolo nella cultura pop, sui social e anche le star di Hollywood ne parlano sui loro canali (spesso anche capitalizzando sull’argomento con linee di prodotti, diete, e così via). Kim Cattrall, la Samantha di Sex and the city è stata una delle prime in assoluto a impegnarsi nel racconto della menopausa nel 2014 con la campagna In Tune With Menopause. Poi è stata la volta di Oprah Winfrey nel 2017 con un articolo che divenne virale, eloquentemente intitolato The New Midlife Crisis. Ma oggi anche Gwyneth Paltrow, Michelle Obama, Jennifer Lopez, Drew Barrymore, Gillian Anderson (che ha raccolto in un best seller i segreti sui desideri sessuali delle donne). Naomi Campbell si sventola come un’ossessa durante una vampata di calore nella docuserie The Super Model. Halle Berry ne ha parlato in una masterclass e addirittura in Campidoglio, un po’ come se qui da noi Paola Cortellesi andasse in Quirinale a parlare del suo climaterio (sarebbe meraviglioso, peraltro il successo del suo ultimo film dimostra da solo quanta creatività ci sia nella mezza età). Se la serie tv irlandese Bad Sisters fosse stata scritta da un uomo e non da Sharon Horgan, non avremmo visto nella seconda stagione una “menopause doula” che accompagna il personaggio di Eva (interpretata dalla stessa Horgan).
E chi si dimentica del monologo di Kristin Scott Thomas nella serie tv Fleabag quando dice a Phoebe Waller-Bridge che la menopausa è “la cazzo di cosa più bella del mondo”? “E sì, ti cede tutto il pavimento pelvico, senti delle orrende vampate di caldo e non gliene frega niente a nessuno. In compenso sei libera. Non sei più schiava. […] Sei solo una persona. In carriera. […] È orrendo. Ma poi, accidenti, è magnifico”. Liberatori sono anche un film come Babygirl uscito da poco nelle sale, dove una donna senior mette a repentaglio la sua carriera perché si innamora di un ragazzo giovane, o The Substance che racconta di una donna di 50 anni alla ricerca della giovinezza eterna in una satira che è stata vista da alcuni come una metafora della “disorientante carneficina emotiva che è la menopausa”.
Nel nostro Paese non solo nessuna star famosa o semi famosa parla di crisi di mezza età, ma non esiste una narrazione dell’impatto della menopausa sulla società, fatta salva qualche rara eccezione, come certi romanzi di Elena Ferrante, che da soli faticano a costituirsi parte di un sistema più ampio. Difficile non credere che il motivo di questa astensione non sia da ricercare nella paura dell’invecchiamento, del “precipizio”, per usare un termine caro a Miranda July.
Ma che cosa succede davvero con il calo degli estrogeni? Transizione, “shift”, come la chiama Sam Baker nel best-seller omonimo, o “Koneki”, dicono in Giappone. Anche il termine “climaterio”, che in greco significa “gradino” suggerisce proprio un passaggio, uno stacco. Che cosa accade nel corpo di una donna – di tutte le donne e dunque di metà della popolazione del pianeta – quando vivono questa fase? Semplificando moltissimo: le nostre ovaie diminuiscono – gradualmente – la loro produzione di ormoni (in particolare di estrogeni e progesterone, ma anche di testosterone) stimolando così l’ipofisi a produrre maggiore quantità di ormone follicolare (FSH) e l’ormone luteinizzante (LH). Questo “cambio di passo” provoca uno sconvolgimento nel corpo e nella mente, che tuttavia non dura qualche mese ma qualche anno, a seconda dei casi. Se per “menopausa” s’intende, per definizione dell’OMS, la cessazione del flusso mestruale per più di 12 mesi, il periodo di cambiamento che la precede dura ben di più e molte donne avvertono questi mutamenti anche dieci anni prima dell’interruzione.
In Occidente questo “passaggio” è stato prima largamente ignorato, poi troppo medicalizzato, in generale sempre stigmatizzato: nel 1966 Robert A. Wilson, nel suo libro Feminine Forever, considerava la menopausa come una malattia da curare per ristabilire la perduta femminilità. Al contrario, in altre culture e perfino nel mondo animale, il passaggio è visto come un momento di crescita o un guadagno di stato sociale per l’individuo, che contribuisce a favorire anche il branco o il gruppo sociale di appartenenza.
Sappiamo ad esempio che secondo uno studio di «Nature» alcune balene vanno in menopausa. Lo stesso vale per alcuni scimpanzé che, per «Science», hanno un climaterio simile agli esseri umani. Questi studi rinforzano l’ipotesi che ci sia un vantaggio di specie per le femmine: si riduce la competizione (tra madri e figlie) e la “nonna” diventa una “guida educativa”, facilitando la vita quotidiana dei branchi.
Certo noi, a differenza dei cetacei, abbiamo dalla nostra la medicina. Oggi è possibile avere un figlio quando si è già in menopausa, grazie a cure ormonali, come ha raccontato l’attrice Naomi Watts nel memoir appena uscito in USA Dare I Say It. Everything I Wish I’d Known About Menopause, in cui racconta della sua menopausa precoce, arrivata a soli 36 anni, proprio quando avrebbe desiderato avere dei figli, e il successivo percorso medico e psicologico che le ha permesso di averli. E in ogni caso non c’è mai nulla di assoluto nella vita ormonale di una donna: più di una che credeva di essere in postmenopausa si è ritrovata con un nuovo ciclo mestruale dopo 12-18 mesi. Una situazione analoga avviene in Sex Education quando la ultracinquantenne sessuologa Jean Milbur (interpretata da Gillian Anderson) va dal ginecologo per una visita di controllo, preoccupata per aver saltato un ciclo mestruale. Fatte le dovute analisi il responso del dottore è sconvolgente (almeno per noi coetanee): “Signora, lei è in peri-menopausa ed è anche incinta”.
Ma non è solo il corpo della donna (e delle balene, e delle orche e dei globicefali) a mutare grazie al cambiamento ormonale. Secondo alcuni studi scientifici gli estrogeni “proteggono” in vario modo l’elasticità del nostro cervello, in pratica utilizzando meglio il glucosio che arriva dal sangue: ciò significa che, ad esempio, quando gli ormoni diminuiscono, anche la memoria si appanna e ci troviamo in quello stato chiamato foggy brain. Ma non tutto è perduto: in questo periodo anche il nostro cervello va incontro a cambiamenti tali da potenziare il controllo e la modulazione affettiva. Come a dire: una volta conclusa questa complicata fase in cui si prova tutto e il contrario di tutto, ci si ritrova più calme, più sagge. Forse, più felici.
Nel romanzo di Miranda July a un certo punto la protagonista quarantacinquenne va dalla ginecologa per una visita di controllo. La dottoressa le fa un po’ di domande e poi trae la conclusione che l’insonnia persistente è sicuramente causata da un calo degli estrogeni. Quando la dottoressa mostra alla donna un grafico con i cambiamenti ormonali in premenopausa e le prescrive – forse un po’ precipitosamente – una terapia ormonale, lei esce dallo studio sconvolta e telefona a una sua amica: “Siamo sull’orlo di un precipizio. Tra qualche anno saremo delle persone completamente diverse.”
“Nel nostro Paese non solo nessuna star famosa o semi famosa parla di crisi di mezza età, ma non esiste una narrazione dell’impatto della menopausa sulla società, fatta salva qualche rara eccezione, come certi romanzi di Elena Ferrante”.
Sul «Washington Post» dello scorso novembre è uscito un articolo di Rachelle Bergstein che paragona questo “perimenopause moment” addirittura al MeToo, dimostrando che le donne in questa fase della loro vita sono “affamate di informazioni e bisognose di una comunità che le sostenga”. Certo è che l’età di mezzo delle donne si sta rivelando narrativamente interessantissima, caratterizzata dalla presenza, per citare ancora July, “di desideri contrapposti”, che vanno in direzioni diverse: rabbia e saggezza, eccitazione e calo del desiderio, nebbia mentale e creatività.
Chissà che quest’onda di consapevolezza e curiosità non bagni anche l’Italia, dove forse non siamo ancora pronti e pronte ad accogliere questi racconti scevri da pregiudizi. Senza il disagio che spesso suscitano i discorsi delle donne sulle donne, che hanno avuto senza dubbio meno spazio, nel tempo, per raccontarsi in generale, e in particolare per raccontare la crisi di mezza età e/o le relazioni con partner più giovani – di cui sono piene le opere scritte dagli uomini, senza che nessuno abbia mai messo in dubbio l’universalità delle loro storie. Le donne sono pur sempre la maggioranza della popolazione, il racconto del loro tempo di mezzo riguarda decisamente, e finalmente, tutti.
Valentina Pigmei
Valentina Pigmei è giornalista e consulente editoriale. Ha fondato l’associazione femminista “La città delle donne” e collabora con diverse testate.
Lorenza Pieri
Lorenza Pieri è scrittrice e traduttrice. Il suo ultimo libro è Erosione (E/O, 2022).
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