Alessandro De Angelis
La NASA, dopo aver mappato per due anni Bennu, uno degli asteroidi più interessanti tra i molti che orbitano attorno alla Terra, ne ha prelevato un campione. La composizione e le molecole del prelievo possono dirci molto del brodo primordiale da cui proveniamo.
La sonda spaziale OSIRIS-REx della NASA, lanciata da Cape Canaveral nel settembre 2016, ha raggiunto l’asteroide 101955 Bennu (da ora in poi lo chiameremo semplicemente Bennu; il numero indica il numero sequenziale con cui l’asteroide è stato catalogato) nel 2018. Dopo averlo mappato per due anni ne ha prelevato nell’ottobre 2020 un campione. Lo ha sigillato in una capsula, e dodici mesi dopo lo ha riportato sulla Terra. L’analisi del materiale raccolto ha richiesto più di un anno. I risultati pubblicati il 29 gennaio scorso sulle riviste «Nature» e «Nature Astronomy» hanno suscitato molto scalpore: mostravano la presenza in notevole quantità di varie forme di composti organici.
Bennu contiene elementi fondamentali per la biologia, in particolare aminoacidi, che costituiscono le proteine, e tutte e cinque le basi azotate (adenina, guanina, citosina e timina, uracile) che costituiscono gli elementi essenziali del DNA e dell’RNA. In sintesi, gli ingredienti del “brodo primordiale” da cui si può sviluppare, in appropriate condizioni, la vita.
Scoperto nel settembre 1999, Bennu, il cui nome deriva da un uccello della mitologia egizia associato al Sole, alla creazione e alla rinascita, è un asteroide con un diametro di circa 500 metri e una densità di poco superiore a quella dell’acqua (è fatto prevalentemente di carbonio). Gli asteroidi, corpi celesti più piccoli dei pianeti, hanno dimensioni variabili: da piccoli sassi spaziali di pochi metri fino a oggetti di centinaia di chilometri di diametro. Ultimamente le agenzie spaziali stanno compiendo importanti studi sugli asteroidi, da quelli metallici (alla ricerca di minerali rari) a quelli carbonacei come Bennu (alla ricerca di materiale organico).
Con la sua massa di circa ottanta milioni di tonnellate (circa 300 volte il Duomo di Milano), Bennu non è tra gli asteroidi più massivi. Però fa parte degli oggetti potenzialmente più pericolosi in relazione a un possibile impatto sulla Terra, e viene costantemente monitorato perché estrapolando l’orbita attuale ha una probabilità di circa 1 su 2000 di collidere con il nostro pianeta tra il 2178 e il 2290, con il rischio maggiore oggi stimato per il 24 settembre 2182 (lo scriviamo per i futuri frequentatori del web).
L’impatto di Bennu con la Terra produrrebbe probabilmente effetti estremamente distruttivi su scala continentale e, potenzialmente, conseguenze climatiche significative. Per fare un esempio, la collisione di Tunguska in Siberia nel 1908 fu causata da un oggetto mille volte più leggero di Bennu ma con un’energia mille volte superiore a quella della bomba sganciata su Hiroshima: distrusse oltre 2000 chilometri quadrati di foresta. Si stima che l’asteroide la cui collisione fu probabilmente responsabile dell’estinzione dei dinosauri fosse diecimila volte più pesante di Bennu.
Come altri asteroidi vicini, Bennu è quasi un compagno di viaggio del nostro pianeta: orbita attorno al Sole a una distanza circa uguale alla nostra e quindi ha un periodo orbitale simile, di circa 14 mesi, e ogni tanto passa vicino all’orbita terrestre – la maggior parte degli asteroidi del Sistema Solare è più lontana, trovandosi nella fascia tra Marte e Giove. L’evoluzione temporale dell’orbita di Bennu, tuttavia, non è facile da prevedere: le perturbazioni gravitazionali dovute alla Terra e altri fattori influiscono sulla sua traiettoria.
“Bennu contiene elementi fondamentali per la biologia, in particolare aminoacidi, che costituiscono le proteine, e tutte e cinque le basi azotate (adenina, guanina, citosina e timina, uracile) che costituiscono gli elementi essenziali del DNA e dell’RNA”.
Come detto all’inizio, Bennu è ricco di molecole organiche e di acqua legata nei minerali, supportando il potenziale ruolo di asteroidi primitivi nel fornire i “mattoni” chimici necessari all’origine e allo sviluppo della vita. Non è però la prima volta che si trovano molecole organiche sugli asteroidi. Che cosa hanno di nuovo i risultati ottenuti dalle analisi dei campioni prelevati da Bennu rispetto ai precedenti ritrovamenti di materia organica nei meteoriti (frammenti di asteroidi caduti sulla Terra)?
In primo luogo, i frammenti di Bennu sono stati raccolti direttamente sulla superficie dell’asteroide in un ambiente incontaminato e sigillati immediatamente, e quindi non possono essere stati contaminati da materiale organico terrestre durante l’attraversamento dell’atmosfera o l’impatto al suolo che, nel caso dei meteoriti, aggiunge un’altra possibile fonte di contaminazione.
In secondo luogo, la gamma di molecole scoperte su Bennu è molto più ampia rispetto ai precedenti ritrovamenti ad opera di sonde giapponesi.
In terzo luogo, molti composti trovati nei campioni di Bennu contengono gruppi idrossilici (ossigeno e idrogeno) e acqua “legata” nei minerali, un aspetto cruciale per comprendere come l’acqua (e i materiali che l’hanno trasportata) possa aver influenzato la Terra primordiale e la comparsa della vita. Non è un mistero che la maggior parte degli astrofisici sia convinta che il materiale da cui ha preso origine la vita sulla Terra venga in gran parte da oggetti celesti (meteoriti o comete) che hanno colpito il nostro pianeta miliardi di anni fa, anche se resta misteriosa la “scintilla” che ha provocato la biogenesi che ha trasformato gli ingredienti di base in forme evolventi.
Un risultato interessante riguarda la cosiddetta chiralità delle molecole organiche rinvenute su Bennu. La chiralità è una proprietà fondamentale di alcune molecole organiche, in particolare quelle coinvolte nei processi biologici. Una molecola chirale può esistere in due forme speculari che hanno le stesse proprietà ma non sono fra loro sovrapponibili, proprio come la mano destra e la sinistra. Gli aminoacidi utilizzati dagli organismi viventi (compresi quelli umani) sono quasi esclusivamente in una particolare forma chirale (quella cosiddetta “sinistrorsa”). Nella materia organica trovata su Bennu non sembrano esserci preferenze chirali. Il mistero di perché una sola delle due possibili forme chirali sia divenuta dominante sulla Terra si infittisce. Non c’è alcun principio fisico che vieti la possibilità di forme di vita basate su molecole chirali di tipo opposto a quelle che conosciamo sulla Terra.
Magari la nostra specializzazione è solo un caso: una rottura spontanea di simmetria, il “parvum clinamen” di cui parlava Lucrezio. Una volta che, a causa di una fluttuazione casuale, una chiralità abbia preso il sopravvento, quest’ultima si riprodurrebbe sui suoi eredi.
Per fare un’incursione nella fantascienza, in un ipotetico ambiente extraterrestre la selezione iniziale potrebbe aver favorito la chiralità opposta, dando origine a esseri viventi “a specchio” rispetto alle nostre biomolecole (una curiosità per chi volesse scrivere un romanzo sull’argomento: anche nell’improbabile ipotesi che queste forme di vita fossero simili alla nostra, il nostro accoppiamento con esse sarebbe sterile). Comunque siamo lontani da ogni comprensione: la verità è che non sappiamo neanche perché nella vita embrionale una rotazione delle strutture che poi formeranno gli organi porti il nostro cuore prevalentemente a sinistra e il fegato a destra!
Le analisi su Bennu confermano che i composti organici e i mattoni chimici della vita sono presenti nello spazio e possono essere trasportati fino a pianeti come la Terra. Questa evidenza, unita alla capacità di alcuni microrganismi di tollerare ambienti estremi, è anche coerente con la possibilità che un processo di panspermia (il meccanismo per cui la vita o i suoi mattoni fondamentali si diffondono attraverso lo spazio, trasportati da corpi celesti come asteroidi, comete o meteoriti) possa aver contribuito alla comparsa o alla diffusione della vita sul nostro pianeta. E, in ultima analisi, a noi esseri umani. Insieme all’evidenza che i materiali più pesanti del ferro, presenti nel corpo umano, originano presumibilmente dall’esplosione di supernove, stelle massicce alla fine della loro vita, questo nuovo tassello va a sostegno della citazione di Margherita Hack secondo cui noi siamo veramente “figli delle stelle”.
Alessandro De Angelis
Alessandro De Angelis è professore di fisica sperimentale a Padova e a Lisbona. Ha fatto parte dello staff del CERN di Ginevra. Ha concepito e realizzato con la NASA e l’Istituto Max Planck di Monaco importanti esperimenti sui raggi cosmici. Come addetto scientifico della rappresentanza presso le organizzazioni internazionali a Parigi, conduce per l’Italia la discussione sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale all’interno dell’OCSE. Oltre al suo lavoro scientifico, ha pubblicato alcuni testi divulgativi. Il suo ultimo libro è L’universo nascosto (Castelvecchi, 2024).
newsletter
Le vite degli altri
Le vite degli altri è una newsletter che racconta di vite che non sono la nostra: vite straordinarie, bizzarre o comunque interessanti.
La scriviamo noi della redazione di Lucy e arriva nella tua mail la domenica, prima di pranzo o dopo il secondo caffè – dipende dalle tue abitudini.
Contenuti correlati
© Lucy 2025
art direction undesign
web design & development cosmo
sviluppo e sistema di abbonamenti Schiavone & Guga
00:00
00:00