Basta, me ne vado in montagna! - Lucy
articolo

Sarah Gainsforth

Basta, me ne vado in montagna!

22 Settembre 2023

Le città, invase dai turisti e sature di Airbnb, sono sempre più inaccessibili per giovani e studenti. Al momento, per molti di loro, la soluzione sembra essere la montagna: almeno fino a quando le metropoli non l'avranno inglobata.

È agosto, a Bologna fa caldo e Fabio è malato. Fabio è un nome di fantasia, non vuole essere citato. Deve chiudere un testo per un convegno e sta organizzando una serie di incontri di antropologia. Impreca, mentre cerca un forno aperto. “Ci sono solo turisti in giro”, dice. “Sono arrivato fino al forno in via San Felice. Per carità il pane è buonissimo, è fatto con farine fighe e lievitato con pasta madre, ma costa otto euro e cinquanta al chilo”. 

Le cose ordinarie, quelle della vita quotidiana, a Bologna sono diventate sempre più costose. Tutto è iniziato nel 2014 con la presentazione del piano di marketing territoriale Bologna city of food. Nel 2015 il brand bolognese era in mostra all’Expo di Milano. Nel 2016 le presenze turistiche sono aumentate del 18 per cento. Nel 2018 la Lonely Planet ha pubblicato la sua prima guida su Bologna. I prezzi delle case – convertite in Airbnb – sono saliti alle stelle.

Ad agosto Bologna ha superato Roma per il canone di locazione medio per una stanza (482 euro al mese) e la domanda da parte degli studenti a Bologna sarebbe calata del 14 per cento secondo Immobiliare.it. La giunta ha presentato un ambizioso piano per la casa: uno stanziamento di 200 milioni di euro per realizzare tremila alloggi nei prossimi tre anni, duemila case per i lavoratori del Tecnopolo e alloggi di edilizia privata. Oggi la vicesindaca Emily Clancy è in prima linea in uno sforzo di coordinamento di diverse città per l’approvazione di una legge nazionale che consenta ai comuni di regolare e limitare gli affitti brevi turistici. Ma il danno  ormai è fatto.

“Molti giovani si stanno spostando verso la montagna” racconta Fabio. “I collegamenti qui sono buoni e la zona, tra Bologna, Prato e Firenze, è raggiungibile in 40 minuti dalla città”. Negli ultimi anni diversi centri sociali a Bologna sono stati sgomberati con la forza. Il 6 agosto 2019 è toccato a XM24, uno spazio occupato nel 2001 nel quartiere Bolognina, un quartiere storicamente popolare. Gli spazi di socialità e cultura fuori mercato sono stati cancellati per far posto a una nuova idea di città scintillante, più costosa, e decisamente più noiosa. Nella stessa via dell’XM24 nel 2020 ha aperto uno studentato di lusso della catena The Student Hotel (oggi ribattezzata Social Hub). “Hanno smantellato gli spazi sociali in città, non è rimasto più niente. Così adesso chiamano antropologi e sociologi per ‘fare comunità’, così l’accademia si ritrova compromessa”, dice Fabio. Secondo il ricercatore Andrea Chiloro molti attivisti degli spazi sgomberati a Bologna hanno lasciato la città. “Alcuni si sono spostati nell’Appennino per ritrovare uno spazio di azione sociale, perché appena ti sposti fuori dalla città si respira un’aria diversa, ci sono nuove possibilità”. 

Nel 2022 la città e l’area metropolitana di Bologna hanno perso popolazione. Sono cresciuti i piccoli comuni di collina e di montagna come San Giorgio di Piano, Monghidoro e Marzabotto. Anche a livello provinciale, in Emilia Romagna, i piccoli comuni con meno di cinquemila abitanti hanno guadagnato popolazione, “invertendo una tendenza decennale” secondo l’ufficio statistico regionale. Si tratta di piccoli comuni di pianura. In tutta la regione la popolazione è diminuita nei grandi comuni ed è aumentata soprattutto in quelli con meno di ventimila abitanti; secondo l’ufficio statistico questa tendenza è particolarmente accentuata nel territorio della città metropolitana di Bologna. Qui l’area montana ha registrato il maggiore incremento di compravendite di case nel 2022 secondo l’Agenzia delle entrate: con 1.150 transazioni (contro le 6.787 di Bologna), c’è stato un aumento di compravendite del 12 percento. 

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Desiderio di montagna

“C’è stata un’esplosione nella domanda di case da affittare anche solo per pochi mesi, dopo la pandemia. C’è una pressione immobiliare importante che non riesce a fermare lo spopolamento di alcuni territori, ma segna un cambiamento”, commenta Chiloro. L’anno scorso Chiloro si è trasferito a Castiglione di Pepoli, un piccolo comune nell’Appennino al confine con la Toscana, dove ha fatto domanda per insegnare al liceo. Per errore il Ministero lo ha inserito in una scuola di un altro paese.

Chiloro frequenta la montagna da anni. Con tre amici ha fondato il collettivo Boschilla, un progetto di ricerca e produzione multimediale sulle aree interne e le montagne. “Anni fa, abbiamo iniziato a fare lunghi viaggi a piedi attraversando le montagne italiane. Così è nata l’idea di studiare come raccontarle”. Il collettivo ha realizzato articoli, ricerche, video e audio documentari. Cinque anni fa ha dato vita a una scuola di ecologia politica in montagna che si svolge ogni anno in autunno. “Volevamo far incontrare due mondi: quello dell’ecologia politica e quello che studia l’Appennino e le aree interne”. 

Boschilla ha avviato un’indagine etnografica su un campione di persone che si è trasferito nell’Appennino bolognese negli ultimi dieci anni. Si tratta di giovani, ma a parte questo il ‘desiderio di montagna’ è variegato, spiega Chiloro. “C’è chi ha ereditato una casa, chi neanche conosceva la zona, chi ha vinto un bando della Regione”. Dal 2020 la Regione finanzia contributi a fondo perduto per giovani coppie che vogliono andare a vivere in montagna. “C’è una crisi del modello urbano molto sentita: la maggior parte delle scelte di chi si sposta deriva da questo” afferma Chiloro. “Si tratta di scelte radicali. Si rinuncia a impieghi più redditizi per accrescere il proprio benessere. Questa è la principale motivazione che stiamo riscontrando”. 

Il turismo traina un’altra parte di domanda di case. “La promozione turistica dell’Appennino bolognese, ormai un brand, è una novità degli ultimi anni” spiega Chiloro. “Ma anche il turismo raccontato come slow, ovvero ‘lento’, ha un impatto negativo, come tutti i processi che hanno a che fare con il capitale, per quanto celati da retoriche sulla sostenibilità”. L’offerta di case infatti è scarsa. “Alcune sono abbandonate e inabitabili, molte sono seconde case, e a questo si aggiunge una nuova domanda di case per brevi periodi” spiega Fabio, che sta collaborando alla ricerca etnografica. Con la crescita del turismo in montagna le case disponibili sono diminuite. “La questione della casa è centrale nel determinare le nuove traiettorie abitative, e anche in montagna c’è un problema di accesso. Non è facile affittare o comprare,  anche quando hai un lavoro stabile”. 

Se l’Appennino tosco-emiliano offre nuove possibilità, non tutti coloro che vorrebbero spostarsi ci riescono, e il progetto dei neo-abitanti della montagna è spesso complesso. “Chi si trasferisce mantiene relazioni stabili con la città, o perché vi lavora, o perché produce prodotti agricoli che vende lì” sostiene Fabio. Molti dei nuovi abitanti intervistati da Chiloro sono pendolari. “Il trasferimento non è mai un ritiro totale”, spiega. La realtà contraddice la visione standardizzata, tipica di un immaginario urbano contemporaneo, della montagna come luogo separato e isolato. È un’idea falsa.  

“Per secoli, se non per millenni, l’economia rurale, diversamente da quanto a lungo si è immaginato, è stata caratterizzata dalla mobilità degli uomini entro un raggio spaziale molto vario” scrive Piero Bevilacqua in Riabitare l’Italia (Donzelli, 2018). Fino agli anni Trenta del Novecento questa mobilità ha tenuto in piedi un “frammentato mosaico di economie in grado di sostenere e addirittura far crescere la popolazione montana”. Gli uomini svolgevano diverse attività, in diversi luoghi, in diversi periodi dell’anno. E la montagna, scrive Bevilacqua, era solo una delle tessere del mosaico economico tenuto insieme dalla capacità del lavoratore di trasferirsi “dalla montagna alle valli e alle pianure”. L’emigrazione temporanea era il motore di quelle economie. Questo assetto è cambiato quando gli uomini non sono più tornati e l’emigrazione è diventata permanente. 

“La realtà contraddice la visione standardizzata, tipica di un immaginario urbano contemporaneo, della montagna come luogo separato e isolato. È un’idea falsa”.  

Ma ancora oggi, scrive Giuseppe Dematteis in un altro saggio nello stesso volume, “specialmente in quei due terzi dell’Italia dove montagna e città sono molto vicine tra loro, è sempre più difficile pensarle come due realtà separate e contrapposte. Di fatto non c’è più una distinzione tra ‘cittadini’ e ‘montanari’ perché tra queste due figure astratte si è ormai  venuta formando una continuità di figure concrete intermedie”: l’escursionista, il villeggiante, il telelavoratore bi-residente, “senza contare il lavoratore e lo studente pendolare che passano buona parte del loro tempo in città”.

Secondo la ricercatrice Giulia Sonzogno, che ha intervistato circa mille giovani nelle aree interne italiane, la maggior parte di loro vorrebbe restare. Lo studio ricorda come in un mondo sempre più connesso e mobile “gli atteggiamenti di permanenza/migrazione sono processi estremamente sfumati e dinamici”. La migrazione non è una decisione una tantum, le persone vivono sempre più spesso tra aree. Inoltre, sebbene il lavoro resti centrale, fattori non economici giocano un ruolo fondamentale nelle scelte di vita e di migrazione dei giovani. 

“Bisogna ragionare sulla creazione di una relazione virtuosa tra città e montagna,  questi spazi non sono mai del tutto ‘montagna’ e mai totalmente ‘città’, perché continuamente si creano spazi di collegamento. La montagna ha bisogno di vivere in relazione agli spazi urbani, anche per come questi stanno cambiando, allungandosi verso spazi rurali. È l’idea della ‘metromontagna’” commenta Chiloro. “Certo, quella del rapporto tra città e montagna è una questione scivolosa”. Il rischio è che anche l’alta montagna diventi uno spazio verso  cui la città semplicemente si espande, anche solo simbolicamente. 

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Tra i borghi del passato e i paesi del futuro

La retorica dei borghi, esplosa durante il lockdown, è un esempio di quella logica urbano-centrica, speculativa e coloniale che minaccia le aree interne e montane.

Come spesso succede, il significato della parola ‘borgo’ ha subìto una metamorfosi. Usata dapprima in un contesto di riscoperta delle aree interne e montane, la parola è diventata in anni recenti il sinonimo di contesti territoriali idealizzati, che rischiano di essere trasformati per rispondere al canone estetico di una cartolina turistica. Con la crisi di identità delle città, il ‘borgo’ è  assurto a modello e paradigma dell’autenticità, del piccolo, del tipico e del pittoresco. È il ‘borgo-merce’.

Di fatto i ‘borghi’ in Italia sono pochissimi. Semmai esistono i paesi, evidenziano gli autori dei saggi contenuti in Contro i borghi (Donzelli, 2022), paesi che scompaiono dalla scena con la “musealizzazione patrimonialista” dei ‘borghi’, e la “calcificazione della comunità locale”, rappresentata come “priva di conflitti e differenze sociali e culturali”, scrive Antonio De Rossi. Ma, tanto per cominciare, ci ricorda Rossano Pazzagli, borgo è ‘borghese’ e paese è ‘popolare’. Se il ‘borgo’ è espressione di un immaginario turistico in cui l’abitare si è ridotto a fatto individuale, isolato e autosufficiente, il paese è prima di tutto una comunità, scrive Pazzagli. L’abitare, nota Arturo Lanzani, è un fatto corale, a partire dalla disposizione degli edifici. È la nostalgia di una dimensione dell’abitare corale, connessa e interdipendente, che muove i processi di stereotipizzazione del ‘borgo’ e di romanticizzazione della marginalità, per dirla con Pier Luigi Sacco. È la stessa nostalgia che muove l’industria turistica, fondata sulla conservazione se non sull’invenzione del passato.

Il meccanismo è sottile: più il rapporto con il mondo ci viene negato, sottratto e precluso, più questo si ripresenta sotto forma di merce. La turistificazione, in questo senso, non è solo un’invasione fisica di turisti, ma un processo che plasma il nostro rapporto con la realtà – prima negato, e poi messo in vendita. Anche la retorica dei borghi e delle eccellenze, scrivono Antonio De Rossi e Laura Mascino, si gioca sulla disgiunzione: dal contesto e dalla storia. È una retorica costruita “sulla estrazione-astrazione di un ritaglio rispetto alla totalità del territorio e sull’omissione di parti di realtà” che rischia di far male alle aree interne e a quelle montane. “Non solo perché determina l’oblio degli spazi vicini, ma perché configura un’idea di sviluppo tutta incentrata sulla patrimonializzazione e la valorizzazione turistica, che ostacola la nascita di altri percorsi di rinascita e rivitalizzazione necessari per una reale costruzione dell’abitabilità dei luoghi”, scrivono sempre De Rossi e Mascino. 

“Il meccanismo è sottile: più il rapporto con il mondo ci viene negato, sottratto e precluso, più questo si ripresenta sotto forma di merce”.

Anche per sfuggire alla retorica dei borghi il Festival Borgofuturo, nato nel 2010 nel piccolo paese di Ripe San Genesio in provincia di Macerata nelle Marche, nel 2020 ha deciso di cambiare format. “Da festival di paese ci siamo trasformati in un festival diffuso nella valle”, racconta Matteo Giacomelli. Con l’avvio di tavoli territoriali, è iniziato un percorso partecipato di costruzione di una strategia di sviluppo della valle, che è proseguito nell’estate del 2021. “A inizio 2022 abbiamo pubblicato le proposte tematiche e progettuali, e un mese dopo è uscito il Bando Borghi”.

La linea A del bando del ministero della cultura per la “rigenerazione culturale, sociale ed economica dei Borghi a rischio abbandono e abbandonati” ha finanziato un borgo per regione: un caso paradigmatico della logica di valorizzazione turistico-identitaria che isola e congela paesi pensati come musei.

La linea B del bando ha invece finanziato progetti in più paesi, come quello di Borgofuturo che prevede la creazione di tre poli in altrettanti paesi della valle: un centro di formazione, un osservatorio sul paesaggio e un centro per nuovi mestieri. “Sono luoghi che dovrebbero generare scintille, attivare processi; in questo progetto il patrimonio naturalistico e culturale è pensato in una chiave propositiva”. 

Ma anche a Ripe San Genesio l’accesso alle case è complicato. “C’è una domanda di chi viene da fuori, soprattutto da Olanda e Belgio, con una grossa disponibilità economica, che seleziona le case migliori, i casali” racconta Giacomelli. “Per il resto il mercato immobiliare non è molto attivo”. Lo stesso gruppo di Borgofuturo ha faticato a trovare un alloggio. “C’è una difficoltà strutturale, in parte legata al sisma del 2016, che ha reso inagibili molte case. Ma non è solo questo. È un fatto culturale, forse legato al modello mezzadrile”. Qui le famiglie avevano il proprio pezzo di terra e la propria casa; adesso che si sono spostate mantengono un attaccamento alle case e resistono all’idea di locarle ad altri. “È difficile criticare questa posizione: l’idea di mettere in affitto la casa è un’idea mercificazione assente nella mentalità contadina, che in questo senso è quasi anti-sistema”. 

Anche a Gagliano Aterno, un paese di circa 200 abitanti nella Valle Subequana, in Abruzzo, molte case sono state danneggiate dal sisma del 2009. Qui la ricostruzione non è solo materiale: è nata una rete di progetti che messi insieme costituiscono la base per un percorso di neo-popolamento.

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Da alcuni anni infatti il paese è diventato il punto di convergenza di persone e relazioni, esperimenti e programmi di rigenerazione economica, sociale e culturale in cui la dimensione materiale intreccia quella funzionale e comunitaria. Nel 2021 il paese, guidato dal giovane sindaco Luca Santilli, ha accolto Montagne in Movimento (MIM), un collettivo di giovani ricercatori nato per accompagnare comunità e amministrazioni locali di paesi di montagna in percorsi di trasformazione radicale, spiega uno dei fondatori, l’antropologo Raffaele Spadano.

Il comune ha attivato una borsa di studio per sostenere MIM e i suoi disegni di attivazione della comunità. È un lavoro lento e complesso. Con Ritornanti al Futuro, MIM ha avviato ragionamenti su temi – come quello del fatalismo, “perché è questo l’atteggiamento che trovi appena arrivi in un paese”, spiega Spadano – e percorsi come quello dell’appalto partecipato, per immaginare il futuro di spazi ed edifici oggetto di ricostruzione. È nata una radio di comunità, si sono mossi i primi passi per la creazione di una comunità energetica. Ritornanti al Futuro si è chiuso con un rito di passaggio: il Gran Galà di Gagliano Aterno che ha sancito un cambio di sguardo, racconta Spadano. 

La vecchia scuola elementare, danneggiata dal sisma, sarà demolita. Qui sarà costruito un Centro operativo comunale: un centro di servizi per tutta la valle, connesso con gli altri spazi pubblici del paese. Alla progettazione hanno partecipato anche Antonio De Rossi, professore di Progettazione architettonica e urbana e direttore dell’Istituto di Architettura Montana del Politecnico di Torino, e Laura Mascino, che è stata docente di Progettazione urbanistica al Politecnico di Milano e che si occupa di edilizia sociale e welfare. Entrambi fanno parte del gruppo promotore dell’associazione Riabitare l’Italia, nata a partire dalla progettazione dell’omonimo libro. Nel 2021 il sindaco Luca Santilli aveva contattato De Rossi dopo aver letto una sua intervista. De Rossi e Mascino sono infatti coinvolti in percorsi di rigenerazione in diverse regioni, dove la trasformazione dello spazio fisico, materiale, contemporaneo perché abitato, è parte attiva di processi sociali ed economici. 

Oggi la ricostruzione a Gagliano è a buon punto ed è partito un altro progetto di MIM: la scuola di neopopolamento, che tutti chiamano semplicemente ‘Neo’. Da due anni il paese seleziona ragazzi che partecipano a un bando per una residenza di sei mesi. I ragazzi scelgono un’attività e partecipano ai corsi tenuti da formatori su vari temi. “Neo è anche un modo per integrare gli arrivi nel paese, per gestire gli equilibri” spiega Spadano. Il processo di costruzione del futuro è delicato e non privo di conflitti. Uno di questi riguarda proprio le case. 

“Quando abbiamo presentato il progetto Neo in una grande assemblea pubblica, il paese si è messo in discussione”, racconta Spadano. “Chi diceva ‘non lo possiamo stravolgere’, chi diceva ‘non possiamo lasciarlo morire’. Ma insomma i ragazzi, i neo-abitanti, si presentano. E la comunità gaglianese chiede loro se trascorsi i sei mesi vorrebbero restare, lavorare e fare figli a Gagliano. I ragazzi di solito rispondono ‘sì certo, ma le case e le terre le avete voi’”. Solo un terzo delle case a Gagliano è abitato, ma di case in affitto non se ne trovano. I ragazzi di Neo hanno convinto un proprietario a locare una casa. “Non abita a Gagliano, non ha piacere a venirci, e come tutti vorrebbe vendere” racconta Spadano.

Allo scadere del primo contratto di affitto, il proprietario ha aumentato il canone. A nulla sono valsi gli appelli dei ragazzi, che hanno iniziato a mappare le case in paese. “La domanda di casa c’è ma la situazione non si sblocca. Faremo una campagna per chiedere tre o quattro case in affitto a prezzi calmierati da mettere a disposizione dei neo-abitanti. Anche perché, intanto, i paesi affianco ce le offrono gratis”. Secondo Spadano l’arrivo di nuovi abitanti, giovani con un alto livello di istruzione, non piace a tutti perché rompe vecchi equilibri di potere fondati, anche, su assetti proprietari. “I giovani portano nuove economie, ma anche nuovi modelli culturali che scalfiscono le vecchie rendite”.

Oltre la retorica sui borghi-cartolina per pochi, in Italia il futuro è schiacciato da patrimoni e rendite ereditarie, anche quando le case hanno perso valore, anche quando sono vuote.

Certo, a volte quando arrivano i giovani mobili e istruiti, espulsi dalle città turistificate, le case si rivalutano. Ma i neo-abitanti hanno le idee chiare.

Oltre la dicotomia urbana turisti/residenti, sperimentano le condizioni di un abitare mobile, impermanente, che mette in discussione la proprietà per rimettere al centro l’accesso alle case. Nelle montagne, qua e là, si fa politica, si cercano nuovi linguaggi, futuri possibili, e le condizioni per una nuova abitabilità dei luoghi.  

Sarah Gainsforth

Sarah Gainsforth è una giornalista e ricercatrice indipendente. Il suo ultimo libro è Abitare stanca (Effequ, 2022).

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