Il presente è strano e parla una lingua che gli somiglia - Lucy sulla cultura
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Iconografie XXI

Il presente è strano e parla una lingua che gli somiglia

Quella spesso assurda dei meme, dell'AI, o dei post social dei politici.

Tempi nuovi, difficili e inesplorati come quelli che viviamo oggi hanno bisogno di un linguaggio all’altezza. Un linguaggio che, proprio come ogni aspetto delle nostre società, venga costantemente modellato, trasformato, adattato. La lingua che parliamo oggi ci parla di censura, oppressione, assurdità, immaginazione e tanto altro; ci parla di come vediamo il mondo e di come, in realtà, questo ci appaia però sempre più sfocato.

Abbiamo scelto 10 immagini in grado di raccontare 10 linguaggi. Anche se, qui lo ammettiamo, a volte le parole mancano anche a noi.

Internet cinese, luglio 2023.

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I meme sono a tutti gli effetti un nuovo linguaggio: insieme formano un sistema semiotico fatto di segni condivisi, combinano immagini e testi, riferimenti culturali con codici visivi. I meme hanno una sintassi estremamente riconoscibile, una semantica come pure una pragmatica. Come tutte le lingue, all’inizio non erano accessibili a chi non li padroneggiava ma anche grazie alla forte icasticità dei suoi simboli, le sue regole e i suoi significati condivisi sono diventati presto orizzontali. E del resto sono arrivati anche ben oltre ciò che ci si sarebbe aspettati: nel luglio 2023, infatti, il media di stato cinese «Global Times» ha pubblicato un’infografica con i due Wojak che rappresentano i doppi standard dei media occidentali.

Striscia di Gaza, Palestina, maggio 2024. 

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La censura è, in definitiva, la soppressione del linguaggio. E quale forma più odiosa di questa, se non il rogo dei libri? La metafora del rogo dei libri è potente nelle società occidentali perché unisce il valore simbolico del libro alla condanna storica. Associata al nazismo e ai Bücherverbrennungen del 1933 organizzati dalle autorità nazionalsocialiste e rafforzata sul piano simbolico da opere ormai classiche come Fahrenheit 451, il rogo rappresenta la distruzione delle idee. Anche la contemporaneità, come ogni epoca, ha i suoi libri che bruciano. Lo abbiamo visto, ad esempio, a Gaza.

Twitter, maggio 2017.

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Il linguaggio è in continuo movimento. Qualche volta, però, si fa davvero fatica a seguirlo e si finisce per trovarci di fronte a qualcosa di inspiegabile. È il caso, ad esempio, del famoso covfefe. Il riferimento è al tweet di Donald Trump del 30 maggio 2017 che recitava “Despite the constant negative press covfefe” e che è diventato subito un meme e insieme un simbolo dell’assurdità del trumpismo al potere. Verosimilmente, covfefe è stata una storpiatura della parola “coverage” (‘copertura’, da intendere come ‘copertura della stampa’), ma molto più interessante dell’effettiva ricostruzione del significato sono le varie interpretazioni che sono state fornite su internet. Tra queste, la più riuscita è probabilmente quella riportata da Urban Dictionary: “Quando fai un errore, ma ti comporti come se sapessi quello che stai facendo”. Esempio: “L’intera presidenza Trump è stata un vero covfefe”.

Stati Uniti d’America, febbraio 2025. 

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Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali promettendo una serie di battaglie all’immigrazione illegale, alle tasse, alla droga e… alle parole. Alcuni tra i suoi primi interventi, una volta insediatosi alla Casa Bianca, hanno infatti riguardato una serie di termini che, secondo il parere della nuova amministrazione, erano sintomi della cosiddetta ideologia “woke”. Ad esempio, «NPR» ha riportato un’email interna al Dipartimento dell’Energia nella quale si invitano i dipendenti a evitare di usare alcune parole tra cui “cambiamento climatico”, “verde”, “sostenibile”. Nel febbraio 2025, inoltre, il presidente Trump ha firmato un ordine esecutivo con il quale ha ufficialmente rinominato il golfo del Messico in “golfo dell’America”.

Reggenza di Bogor, Indonesia, agosto 2025.

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Recentemente, una serie di movimenti di protesta in giro per il mondo – slegati tra loro ma con delle similarità – sta adottando un linguaggio comune: quello di One Piece. Dalle proteste in Indonesia contro la situazione economica del paese, a quelle giovanili scoppiate in Nepal, fino a quelle in solidarietà con il popolo palestinese che hanno paralizzato l’Italia. In particolare, sono state aizzate bandiere con il tipico teschio con il cappello di paglia del notissimo manga (poi divenuto anime) di Oda. Il riuso della bandiera in un contesto di protesta è da ricondurre al parallelismo tra le lotte politiche attuali e quelle della ciurma di pirati dell’anime contro il Governo Mondiale.

Argentina, agosto 2023. 

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Un cuore, un sorriso, una faccia che ride o un pollice alto come segno di approvazione: se non ve ne foste ancora accorti, oggi una percentuale  fondamentale delle nostre comunicazioni online avviene tramite emoji. Quest’uso delle immagini è una novità nella storia – basti pensare ai geroglifici egiziani – e infatti  il fenomeno è oggi argomento di studi che indagano come questi simboli si relazionano al linguaggio verbale. Certe volte gli emoji lo sostituiscono per esigenze espressive (per evitare la censura, “porn” diventa l’emoji di una pannocchia – “corn” in inglese), mentre altre volte è semplicemente più immediato e comodo (perché scrivere “ahahah” quando puoi inviare un’emoji che ride?), altre volte il loro utilizzo è invece creativo: per dare i risultati degli exit poll delle primarie presidenziali senza violare la legge che ne vieta la pubblicazione, il canale tv argentino Crónica TV ha sfruttato proprio gli emoji in un fittizio “gioco della giungla”. I candidati qui rappresentati sono una tigre, un’anatra, un leone e… un pelato.

Crimea, Ucraina, giugno 2023. 

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Al pari forse di poche altre invenzioni nella storia dell’umanità, l’Intelligenza Artificiale è destinata a rivoluzionare molti aspetti della società contemporanea. Le nostre speranze e ambizioni sono cresciute a dismisura, così come le nostre paure e i nostri dubbi. A tutti gli effetti, l’IA ha già cominciato a cambiare come la realtà si rapporta a noi e comunica. L’ambito più evidente è quello dei Deepfake, video falsi ma estremamente realistici, dove chiunque può far dire o fare cose a chiunque gli passi per la mente. Uno dei casi più celebri è il Deepfake del presidente russo Vladimir Putin, trasmesso da hacker ignoti sui canali televisivi regionali della Crimea, che annuncia l’ingresso dell’esercito ucraino in Russia, la mobilitazione generale e la conseguente evacuazione dei civili dalle regioni di frontiera.

Wellington, Nuova Zelanda, novembre 2019. 

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Quante volte abbiamo sorriso di fronte a una parola detta da una nonna, magari pronunciata in un dialetto che ormai non conosce più nessuno? E quante volte un fratello più piccolo ha usato una parola che non abbiamo mai sentito prima facendoci così sentire incredibilmente vecchi? E d’altronde non è una novità che le evoluzioni e le rivoluzioni, alle quali il linguaggio è costantemente soggetto, generino delle faglie generazionali. Parallelamente a questo fenomeno, il linguaggio deve sempre ideare parole nuove per ricomporre o ampliare questa faglia. È il caso dell’espressione “Ok, Boomer”, creata per deridere le opinioni e gli atteggiamenti superati dal tempo delle generazioni precedenti. L’espressione è entrata anche nel Parlamento neozelandese, quando la deputata dei Verdi Chlöe Swarbrick ha zittito un collega più anziano proprio con un “Ok, Boomer”.

Tel Aviv, Israele, gennaio 2023. 

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Con l’instaurazione di un nuovo governo Netanyahu nel dicembre 2022, la società israeliana ha compiuto un ulteriore passo verso l’estrema destra. Una delle criticità maggiori di questo nuovo governo era (ed è) il Ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, leader del partito estremista Otzma Yehudit. Appena un mese dopo l’assunzione della carica, Ben-Gvir ha fatto parlare di sé vietando l’esposizione delle bandiere palestinesi in Israele. È in quel momento che il linguaggio è diventato un’arma: l’artista israeliano Yossi Zabari, per protestare contro il divieto, è infatti andato in giro per Tel Aviv imbracciando un cartone con su scritto “bandiera palestinese”.

Pechino, Cina, novembre 2022. 

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In un contesto autoritario, certe volte  il linguaggio può metterti in pericolo. L’espressione è limitata, e quindi le parole devono trovare una nuova maniera per venire allo scoperto: si camuffano, si trasformano, si distorcono. Nei casi più estremi possono anche trasformarsi in equazione di Friedman, formule matematiche che spiegano come la gravità e l’energia determinano l’evoluzione cosmica. Queste formule sono infatti apparse sui cartelli tenuti dagli studenti dell’università Tsinghua di Pechino durante una manifestazione. Il motivo? Apparentemente  nessuno, se non che il cognome Friedman suona simile all’espressione “free man”.

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Iconografie XXI è un collettivo e un progetto multimediale di ricerca e analisi su immagini, politica e società nel contemporaneo.

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