Valentina Pigmei
"La ragazza eterna" di Andrea Piva, edito da Bompiani, è un romanzo che solleva temi importanti e attualissimi intessendoli in una storia di amore, morte e liberazione animata dal protagonista, Giorgio Boccia, alle prese con il mistero del sacro e le ombre benevole della fine.
31 Gennaio 2024
“Le notizie luttuose ci colpiscono due volte”. L’incipit de La ragazza eterna di Andrea Piva contiene già in nuce molti dei temi, e delle sorprese, di questo sfolgorante romanzo: in questa frase c’è il senso della storia di uno psichiatra quarantacinquenne che si troverà poi, nel corso della narrazione, ad avere a che fare con il lutto e alcuni modi non proprio canonici per affrontarlo.
Dopo aver vissuto e lavorato a Roma, Giorgio Boccia decide di tornare a Bari, grazie un’offerta di lavoro all’ospedale psichiatrico di Monopoli. In una notte di pioggia però la sua tranquillità pugliese termina quando si presenta alla sua porta Renata, la donna con cui ha avuto una relazione lunga e tormentata. Renata è dirompente e autodistruttiva, “indossa bellezza e intelligenza con la grazia di una farfalla tropicale”. Qualche mese prima si è sposata, fatto che sembra aver messo fine per sempre alla relazione mai veramente conclusa con Boccia. Quella notte Renata porta con sé la notizia di una diagnosi che non lascia scampo. Tra i due si apre un nuovo complicato capitolo.
Boccia prova a convincere la donna a sottoporsi alla somministrazione di sostanze psichedeliche sotto assistenza medica. Gli psichedelici sono una soluzione per capire o vivere più serenamente questo passaggio? Ed esiste un modo migliore di altri per affrontare la morte?
Andrea Piva riesce nell’obiettivo per niente facile di scrivere un’indagine romanzata – o un romanzo a tesi – sull’uso a scopo medico di sostanze psichedeliche, tema che negli ultimi anni è tornato di attualità (l’ultima notizia è proprio di pochi giorni fa: in Australia lo psichiatra Ted Cassidy ha emesso la prima prescrizione medica di MDMA per uso terapeutico al di fuori di una sperimentazione clinica). Timidamente, dopo che le sostanze psichedeliche sono state demonizzate negli anni Settanta, oggi si stanno a poco a poco riavviando studi clinici sull’uso di queste sostanze, soprattutto per la cura degli stati ansiosi nei malati terminali e delle dipendenze. Non in Italia, dove queste sostanze sono ancora vietatissime.
La ragazza eterna non è solo questo, però: è anche una storia d’amore “fuori tempo massimo”, che si interseca senza attrito a una ironica sottotrama noir dove incontriamo ricchissimi finanzieri in preda al pentimento cristiano, filibustieri dalla dubbia moralità e dediti alla cocaina, ragazze bellissime e inermi che si aggirano per una Bari notturna e lussuriosa.
“Andrea Piva riesce nell’obiettivo per niente facile di scrivere un’indagine romanzata – o un romanzo a tesi – sull’uso a scopo medico di sostanze psichedeliche, tema che negli ultimi anni è tornato di attualità”.
Il cuore del romanzo è il racconto dell’esperienza psichedelica che Boccia e un amico e collega psichiatra, Giangi, decideranno di fare per sperimentare su loro stessi le sostanze. Partono alla volta della Toscana per provare l’ayahuasca, sostanza su cui la comunità scientifica non ha idee molto chiare, soprattutto perché a differenza dell’LSD e della psilocibina, ha una composizione incerta e assai variabile. Durante il trip, il protagonista rivive e in parte rielabora la morte del fratello avvenuta anni prima in un incidente stradale:
Che ogni morte ci ricordi la nostra non lo scoprivo allora, e anzi da psichiatra lo sapevo bene, ma in quel momento lo sentivo e lo capivo a un livello nuovo. Mi ritrovai così al cospetto della più profonda consapevolezza della mortalità che avessi mai affrontato, mentre il cuore nero dell’assenza iniziava a battere davanti a me in maniera tanto concreta che mi sentivo prossimo all’ultimo respiro, consapevole della morte che arrivava, ed ebbi la certezza, vidi che un attimo prima di morire, fosse stato tra un minuto o tra cent’anni, avrei senz’altro pensato alla convincente anteprima che ne vivevo adesso.
Vivere “una convincente anteprima” della propria dipartita è quello che succede a Boccia e che succederà poi a Renata: una sorta di educazione alla morte, per quanto questa espressione ci suoni spaventosa o inverosimile. In realtà, è durante la lettura stessa del romanzo che noi lettori e lettrici viviamo, anche se in minimissima parte, questo processo doloroso e liberatorio. Difficile raccontarlo in una recensione, ma quello che accade leggendo è precisamente questo: un’esperienza vertiginosa che ci trascina dentro alle nostre zone oscure, i nostri fantasmi, le ansie, le paranoie, le ipocondrie. E così a un senso di angoscia profonda, ai limiti della tachicardia, può seguire una grande commozione e infine una strana sensazione di pace interiore.
Il fatto è che La ragazza eterna è un libro che affronta il tema della morte da un punto di vista inaudito: quello di chi la sta affrontando e quello di chi accompagna chi la sta affrontando. Prova a farlo con una forma di speranza laica, anzi “medica”. Il protagonista, d’altra parte, ricorda che il culto dell’esperienza psichedelica in molte culture non è stato altro che “la prima medicina psichiatrica con cui l’uomo abbia mai provato a sperimentare”. Si tratta di riti di passaggio che hanno al centro una cerimonia, a partire, molto probabilmente, dai misteri eleusini nell’Antica Grecia: a Eleusi per onorare il culto di Demetra e Persefone si beveva a digiuno il ciceone, una bevanda che si pensa contenesse sostanze psicoattive.
“E se ci pensi anche il cristianesimo”, dice Boccia, “ha al centro del proprio rito una sostanza psicotropa. Diversa, ma insomma: bella potente anche lei. Non credo proprio sia un caso. Cioè, il vino rappresenta addirittura il sangue di Cristo, rendiamoci conto”. Rimane il fatto che oggi l’Occidente ha paura degli stati alterati, anche e soprattutto perché le sue religioni principali vedono queste esperienze come una pericolosa disintermediazione verso il sacro. “Se esiste una molecola che il sacro te lo fa sentire nelle viscere e toccare con mano, perché questo ti fanno gli psichedelici, a cosa cazzo serve più un ministro del culto? Capisci? E metti poi che il sacro che vedi coi tuoi occhi non è quello che dicono loro?”.
Andrea Piva, classe 1971, oggi al terzo romanzo dopo Apocalisse da camera (Einaudi, 2006) e L’animale notturno (Giunti, 2017) e autore delle sceneggiature di due film premiatissimi, La capa gira e Mio cognato, è capace di scrivere libri molto lavorati nella scrittura e che allo stesso tempo sono scorrevolissimi page-turner con dialoghi perfetti.
Nell’editoria italiana si è soliti sminuire libri con queste caratteristiche, per pregiudizio, come se un romanzo molto appassionante e avventuroso non potesse essere anche un grande libro. Ebbe una sorte bizzarra, ad esempio, il primo romanzo di Donna Tartt, Dio di illusioni, colpevole di somigliare a un thriller, nella trama. In Italia ci siamo accorti tardi del vero valore di quel romanzo. Piva condivide con Tartt la cura delle frasi, oltre che la cadenza decennale delle pubblicazioni. Non credo sia un caso, dato che per scrivere libri come La ragazza eterna ci vuole tanto – mentre è sufficiente una notte insonne per finirlo.
Valentina Pigmei
Valentina Pigmei è giornalista e consulente editoriale. Ha fondato l’associazione femminista “La città delle donne” e collabora con diverse testate.
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