L'involuzione russa - Lucy
articolo

Serena Vitale

L’involuzione russa

La fine di una storia può assumere molte forme, anche quella di una lettera d’amore e odio per una nazione, la Russia, che con Putin ha cambiato volto tradendo chi l’ha amata per una vita intera.

1939 o ’40. In un teatro di provincia va in scena un pot-pourri di famose arie d’opera. Arrivati alla Bohème, Rodolfo canta: “Che gelida manina/Se la lasci riscaldar”. Dal loggione qualcuno urla: “E che succede se la lascia riscaldare? S’incendia la mano e lui si brucia?” Risate del pubblico. Inviperito, Rodolfo urla: “Ignorante!”

Il fascismo, è noto, proibiva l’uso del “lei”: per il giovane e screanzato spettatore quel “la” poteva riferirsi soltanto alla “manina”. Il fascismo proibiva anche l’uso delle parole straniere.  

Ottobre 2022, Mosca. Alla Duma russa viene presentata una proposta di legge: vietare ai funzionari pubblici – per il momento soltanto loro – l’uso di parole straniere. Che diamine! Occorre preservare anche la purezza della lingua patria dalle insidie del corrotto Occidente. Chissà, prima o poi al di là degli Urali arriveranno a tradurre in russo anche il francese di Tolstoj in Guerra (Operazione speciale, chiedo scusa) e pace, fin dalla prima frase: “Eh bien, mon prince, Gênes et Lucques ne sont plus que des apanages, dei dominî de la famille Buonaparte”.

L’involuzione russa -

Quello che colpì la mia attenzione quando arrivai per la prima volta nella Mosca di Brežnev erano i tanti portacenere per le strade. Scoprii ben presto che erano sputacchiere – luride, ricolme, sgocciolanti. Non ne avevo mai viste. Quello che colpì la mia attenzione quando per l’ultima volta andai nella Mosca di Putin fu l’enorme quantità di lussuose fashion car che peraltro restavano bloccate nel traffico infernale della città esattamente come i lumpen-taxi di cui mi servivo per spostarmi nei 2000 e più chilometri quadri della capitale.

Soffro di acrofobia, e le interminabili scale a picco della metropolitana mi terrorizzano. Ferma accanto al mio attempato veicolo, un giorno, c’era una Ferrari. Ebbi tutto il tempo di ammirarla: la carrozzeria era ricoperta da coloratissimi adesivi. Alcuni raffiguravano due bambini – evidentemente i figli del proprietario, che a un certo punto abbassò il finestrino. Ne approfittai per urlargli: “Dovrebbe vergognarsi a deturpare in questo modo una delle più belle macchine che esistano!” Non mi guardò neanche, e aprì la bocca solo per sputare in terra, quindi richiuse il finestrino. Ci sono abitudini dure a morire. 

A proposito della mia acrofobia: il 7 gennaio 1981 (vigilia del Natale ortodosso) ero in visita da amici quando mi resi conto che era ormai mezzanotte. “Chiamatemi un taxi, per piacere”, chiesi ai miei ospiti. Venti minuti più tardi: “Macché, non rispondono. Sicuramente festeggiano. E saranno ormai tutti ubriachi. Per una volta prendi il metrò! Oppure fermati a dormire da noi, in cucina!”

Declinai l’invito. Speravo che prima o poi sarebbe passato un taxi vuoto e con autista astemio… macché: neanche uno libero, quella notte, né si commosse uno dei guidatori di macchine private che allora potevano fermarsi per offrire – a pagamento – un passaggio. 

Quindici gradi sottozero. Non avevo scelta. Entrai nella stazione Čechovskaja e aspettai che arrivasse qualcuno alto e robusto per scendere a occhi chiusi rannicchiata alle sue spalle. Dovetti però contentarmi – ormai era quasi l’una – di un anziano e poco aitante signore che si affrettò verso le scale. Lo seguii e aggrappata alle maniche del suo cappotto arrivai nelle viscere della terra. A quel punto il signore si voltò, mi diede un’occhiata omicida, poi si rivolse al poliziotto di turno: “Occupatevi voi di quest’ubriaca. Voleva infilarmi le mani nelle tasche, delinquente!”.

In breve: finii in un vystrezvitel. “Cella per ubriachi”, dice il dizionario. “Piccolo inferno”, dico io: un angusto stanzino che puzzava di vomito e altre lordure, come la brandina su cui avrei dovuto sdraiarmi in attesa del medico. Restai un’ora e mezza in piedi – e in lacrime. Arrivò finalmente, con l’etilometro, un giovanissimo, improbabile medico, forse un inserviente. Mi liberò. Mi chiese anche se gli vendevo l’orologio…

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  «Ogonëk», una rivista molto popolare, alcuni anni fa annunciò che secondo alcuni studiosi il DNA di Vladimir Putin rivelava una lontana “parentela” con quello di Pietro I. Oggi non rido più di quella fandonia, così come non sopporto più che i media occidentali definiscano Putin “zar”, quasi che fino al 1917 la Russia sia stata governata unicamente da psicopatici tiranni “che dier nel sangue e ne l’aver di piglio”, ancora immersi nelle acque bollenti del Flegetonte.

Caterina la Grande, è noto, leggeva gli illuministi francesi; nel 1773 ospitò Diderot, comprò la sua biblioteca, lo sostenne economicamente… Quali libri, mi chiedo, leggerà Putin nel suo segretissimo bunker? A giudicare dalle frequenti citazioni nei discorsi pubblici, il suo autore preferito è Ivan Il’in, un filosofo poco o forse per nulla conosciuto dagli italiani.

Nel 1922 Il’in fu espulso dalla Russia dei Soviet insieme con un centinaio di altri controrivoluzionari (la crème dell’intelligencija russa) ostili al bolscevismo, e sulla nave dei filosofi raggiunse la Germania. Stabilitosi a Berlino, insegnò all’Istituto di ricerca russa del Ministero degli Affari Esteri tedesco – un think tank sull’URSS che nella primavera del 1934 passò alle dipendenze di Joseph Goebbels. Nel ’38 si trasferì in Svizzera, dove morì sedici anni più tardi.

Il 22 agosto 2005 le sue ceneri, insieme a quelle del generale Denikin, leader dell’Armata Bianca, vennero riportate a Mosca e sepolte nel Monastero Donskoj con una solenne cerimonia cui partecipò anche il regista di Oči ciornie Nikita Michalkov – fu lui, un giorno, che consigliò a Putin di leggere l’opera del pensatore émigré

Quali libri, mi chiedo, leggerà Putin nel suo segretissimo bunker?

È lecito credere che i libri (quaranta) scritti dal non eccelso filosofo siano stati letti soltanto dallo staff di Putin, che ne ha tratto pagine scelte per i discorsi del Presidente.

Pagine molto scelte. Nel florilegio non compaiono, ad esempio, perle come: “Che cosa ha fatto Hitler? Ha arrestato il processo di bolscevizzazione in Germania rendendo un grande servigio a tutta l’Europa”, “Finché Mussolini è alla guida dell’Italia e Hitler della Germania, la cultura europea può godere di una tregua”, “L’opinione pubblica ha ripetutamente affermato che in Germania sono saliti al potere accaniti razzisti e antisemiti che non rispettano i diritti umani, che non rispettano la libertà … Sono giudizi superficiali, o miopi e di parte”, “Lo spirito del nazionalsocialismo non si riduce unicamente al razzismo”.

Di recente, il 30 ottobre, nella sala di San Giorgio del Cremlino, dopo la firma degli accordi sull’annessione di quattro territori ucraini, Putin ha concluso il suo lungo discorso con le parole di un vero patriota, Ivan Il’ič Il’in:

Se credo che la Russia sia la mia patria, significa che amo, guardo alle cose e penso da russo, che canto e parlo da russo; che credo nelle forze spirituali del popolo russo. Il suo spirito è il mio spirito, il suo destino è il mio destino; le sue sofferenze sono il mio dolore, la sua prosperità è la mia gioia…

Commovente, davvero. E se un russo, oltre ad amare la patria, ama persone dello stesso sesso? Bel problema.

Il 22 ottobre i deputati della Duma di Stato hanno esaminato un pacchetto di leggi volte a inasprire le sanzioni (non solo pecuniarie) per “la propaganda dell’omosessualità”, ora equiparata a quella della pedofilia. Le leggi sono state approvate all’unanimità. Il presidente Volodin ha dichiarato: “Dobbiamo fare di tutto per proteggere i nostri figli e coloro che vogliono vivere una vita normale. Tutto il resto è peccato, sodomia, tenebra, e il nostro Paese combatte contro tutto questo”. Ha aggiunto che non escludeva un inasprimento del disegno di legge.

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 Non ha bisogno di citare Il’in Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’, Kirill, al secolo Vladimir Michajlovič Gundjaev (nato a Leningrado nel 1946), tra l’altro coautore di una trilogia sul judoka cui si deve la diffusione delle arti marziali in Russia. Il 22 settembre ha voluto infondere coraggio ai russi mobilitati per la guerra contro l’Ucraina nella predica seguita al servizio divino:

Sappiamo che oggi molte persone muoiono sul campo di lotte intestine. La Chiesa prega perché abbiano fine il più rapidamente possibile, perché il minor numero possibile di fratelli si uccida a vicenda in questa guerra fratricida. Аl tempo stesso, la Chiesa comprende che se qualcuno, spinto dal senso del dovere, dalla necessità di adempiere a un giuramento, rimane fedele alla propria vocazione e muore mentre compie il proprio dovere di militare, commette indubitabilmente un atto che equivale al sacrificio. Si sacrifica per gli altri. Per questo crediamо che questo sacrificio lavi tutti i peccati commessi dall’uomo… Cristo è risorto e noi tutti risorgeremo con lui! La vita è eterna, quindi andate senza esitare a compiere il vostro dovere di militari.

Pochi sanno dell’iniziativa di sessantacinque teologi ortodossi delle più diverse nazionalità: in una lettera aperta hanno aspramente criticato l’ideologia del Russkij mir (il mondo russo), eretica perché ispirata all’etnofiletismo, “esaltazione della differenza delle razze e delle differenze nazionali nel seno della Chiesa di Cristo” condannata dalla Chiesa ortodossa nel 1872:

L’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, è una minaccia di portata storica per un popolo di tradizione cristiana ortodossa […] Il sostegno di molti membri della gerarchia del Patriarcato di Mosca alla guerra del presidente Vladimir Putin contro l’Ucraina si radica in una forma di fondamentalismo religioso ortodosso etnofiletista di carattere totalitario […] Una falsa dottrina che nella Chiesa ortodossa oggi attira molti […] l’estrema destra e i fondamentalisti cattolici come protestanti […] Contro Il mondo russo, dicono, si schiererebbe l’Occidente corrotto […] succube del liberalismo, della globalizzazione, della cristianofobia, dei diritti degli omosessuali […] Noi condanniamo come non ortodossa e rifiutiamo qualsiasi dottrina che incoraggi la demonizzazione di coloro che lo Stato o la società considerano ‘altri’, compresi gli stranieri, i dissidenti politici o religiosi e le altre minoranze sociali.

Non sembra essersi affatto curato di questa lettera il sacro omone (in realtà è alto solo un metro e settantanove centimetri, ma con il cappuccio sovrastato da una croce e la sfarzosa mantella ricamata in oro e guarnita di pietre preziose ha un’aria maestosa, imponente) dalle guance rosee fino al vermiglio – couperose o troppe bevande alcoliche?

Né il Patriarca si cura di smentire chi, in un paese ormai ricco di nuovi poveri, gli contesta le immense ricchezze personali: un castello (non si può definire altrimenti l’enorme costruzione su cui svetta una enorme cupola, a Gelendžik, sulle coste del Mar Nero), una villa in Svizzera, un palazzo al centro di Mosca, un altro – in costruzione – a Carskoe Selo, e ancora un aereo privato, uno yacht, una sontuosa collezione di orologi. Nel gennaio 2018, in occasione dell’apertura degli incontri “Valori morali e futuro dell’umanità”, Kirill è arrivato al Consiglio della Federazione con un Ulysse Nardin Dual Time (costo: quasi 20.000 euro) al polso. E ancora una collezione di Rolex, molti con diamanti, al cui confronto il nostro calciatore Totti è un barbone. 

La Chiesa esorta le donne russe a partorire, partorire: in questo modo, sostiene, sopporteranno più facilmente il distacco dai figli chiamati alle armi contro gli ucraini. “Il Signore ha permesso a ogni donna di dare alla luce molti figli”, ha spiegato durante una trasmissione televisiva il priore della Chiesa moscovita di santa Barbara, e “quando una madre ha molti figli, per lei non sarà troppo doloroso separarsi da uno di loro”.

La Chiesa esorta le donne russe a partorire, partorire: in questo modo, sostiene, sopporteranno più facilmente il distacco dai figli chiamati alle armi contro gli ucraini.

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   Uno o due mesi fa, in una cittadina della Siberia centrale, al termine delle lezioni alcuni scolari hanno cominciato a cucire passamontagna e felpe calde per i “valorosi combattenti della nostra patria”. Far confezionare capi di vestiario militare a dei bambini (non troppo felici, a giudicare da alcune foto) sta diventando un’abitudine.

Durante il secondo conflitto ceceno un ufficiale russo disse: “Lasciatemi fare un battaglione con i figli della nostra élite, e vedrete che il giorno dopo la guerra finisce”. Oggi non sarebbe possibile: nella nuova Russia cleptocratica i figli studiano a Londra o negli USA, hanno tutti un passaporto straniero…

Mi strazia il pensiero che non tornerò mai più nella mia Mosca. Ho forse nostalgia dell’Unione Sovietica? No, assolutamente no. Mi mancano le biblioteche e gli archivi, i tanti coraggiosi amici, intelligenty in odore di eresia, da cui ho imparato molto – soprattutto a non avere paura (scale mobili a parte). Lottavano, spesso perdevano, subivano persecuzioni e angherie d’ogni sorta. Erano  comunque certi che il soffocante impero fosse gravido della propria morte. Nessuno però avrebbe potuto immaginare una così macabra resurrezione.

Serena Vitale

Serena Vitale è scrittrice, slavista e traduttrice. Il suo ultimo libro è Il defunto odiava i pettegolezzi (Adelphi, 2015).

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