Luce d’Eramo: un’extraterrestre tra noi - Lucy sulla cultura
articolo

Barbara Alberti

Luce d’Eramo: un’extraterrestre tra noi

20 Giugno 2025

Nel centenario della nascita e in occasione della ripubblicazione di “Io sono un’aliena” per Feltrinelli, vale la pena riscoprire Luce d’Eramo, una scrittrice unica sia per la sua produzione letteraria, sia per la vita che ha vissuto.

Pensando a Luce, rivedo il nostro primo incontro, dove lei corre sfrenata in carrozzella nel corridoio di casa, inseguendo il gatto. Alla fine lo acchiappa con un grido di trionfo, e si permette di avere cinque anni. Non è un eroe solenne, Luce. Nella tragedia  emerge la santità dello humour – in questo vicina a Francesco d’Assisi, del quale con grande divertimento racconta in Io sono un’aliena l’incontro fra il poverello di Assisi e il Soldano:

Francesco fu così persuasivo nei suoi argomenti, che il Soldano volle promulgare nuove leggi in base a una visione cristiana, e disse che avrebbe annunciato ai sudditi che era stato Francesco a suggerirgliela. “No” gli rispose Francesco, “per carità, tutti sarebbero contro. Cristo non ci tiene alla firma”.

(Luce è entusiasta di San Francesco, che prima di morire mangia i dolcetti che gli ha portato una sua devota).

La sera di Natale del 1979 fui sorda al tacchino, ai doni, ai parenti, e non mi presentai a cena: Alcide Paolini, direttore editoriale della Mondadori, mi aveva mandato un libro appena stampato, Deviazione di Luce D’Eramo. Ebbi l’imprudenza di cominciare a leggerlo, e fu impossibile staccarsi. I bambini vennero a chiedermi: ma non lo puoi leggere dopo? 

Risposi – No. E’ un’emergenza.  

Una volta che avevi cominciato, non potevi più lasciare questa liceale appassionata della Grecia e di Roma la quale, infatuata della propaganda nazifascista, crede di riconoscervi i suoi ideali eroici. Luce ragazzina è sdegnata dalle voci sui nazisti, che prende per calunnie: è certa, fideisticamente certa che quelle accuse siano false.  Non è possibile che i nazisti siano assassini, che abbiano creato dei lager per internare ebrei e dissidenti, che abbiano un piano sanguinoso di sterminio.

Si rifiuta di crederlo. E per provare la falsità delle voci, a diciotto anni scappa di casa per offrirsi come operaia volontaria in un campo di lavoro in Germania. Nella sacca porta una foto di Mussolini e una di Hitler. Attraversa clandestinamente, avventurosamente le Alpi, animata dallo spirito dell’impresa.

Ed eccola a destinazione. Il risveglio è tremendo. Luce si rende conto che i nazisti non sono eroi omerici, e capisce con orrore  che si è messa dalla parte degli aguzzini. Guarisce di colpo da ogni retorica. Ora sa che i suoi fratelli sono gli ebrei, i comunisti, gli zingari i dissidenti. Il suo ruolo la rende odiosa a tutti, ma soprattutto a se stessa. Non può perdonarsi  l’abbaglio.

I tedeschi diffidano di lei – che vuole questa pazza? E ancora di più la sospettano le vittime. Quando cerca di fraternizzare con loro, la credono una spia. 

Una sera, i due odi si congiungono. Le SS le lanciano contro un cane lupo feroce addestrato a uccidere, e i suoi compagni le sbarrano la porta della baracca. Non le rimane che sfidare la bestia furiosa, cercare di dominarla.

Luce ragazzina rimane lì,  davanti alla belva che schiuma, immobile. È energia contro energia. È tale la sua intensità che vince. Il cane non la azzanna. Quando finalmente i compagni le aprono la porta della baracca, si accorge di essersi pisciata addosso. E lo racconta. Nulla ci nega della sua umanità, Luce.

Il piccolo don Chisciotte che è in lei ebolle. Non può non rischiare la vita. Organizza una rivolta tra i prigionieri, che fallisce. Viene arrestata e rimandata in Italia. I tedeschi non vedono l’ora di liberarsi di quella piccola idealista molesta.

Ed è qui che Luce compie il gesto incredibile, il gesto infinitamente cristiano, caparbio e romantico. 

Un desiderio la brucia,  essere riconosciuta dalle vittime come uguale, essere accolta da loro. Deve riscattare l’errore, annullare l’equivoco. Si era unita agli aguzzini, si sente addosso una maschera intollerabile.

Rimpatriata di forza, Luce arriva a Verona. È alla stazione. I genitori stanno venendo a prenderla. Ma lei non vuole tornare a casa. Ha mancato la sua impresa, ha fatto quella sbagliata, e una sola cosa ha in mente: tornare in Germania. Rifare il suo viaggio, ma dalla parte giusta. Fra poco tornerà in una casa calda, avrà cibo e amore, fra poco potrebbe dimenticare disagi, pericoli, orrori. Mentre aspetta, vede avvicinarsi una colonna di deportati, minacciati dalle SS col mitra. 

Fulmineamente Luce decide. Butta via i documenti, provoca i soldati tedeschi, si fa catturare. E’ spedita immediatamente con gli altri in Germania. Luce ha perso la sua identità. È rinata.

Durante il viaggio vomiti, diarree, grida, pianti, e la sete, la disperazione, la paura. Finalmente mischiata ai suoi fratelli, e da essi riconosciuta. 

È il suo momento di estasi, come per i santi. Solo che Luce non aspira al martirio, ma alla resistenza. 

In Germania, con altri prigionieri riesce a fuggire, percorre città e campagne compiendo azioni di resistenza spericolata, a volte raccapriccianti, in una libertà selvaggia, e coraggio, coraggio da romanzo, perché Luce è una creatura letteraria, lei è la creatura letteraria, lei è sempre nel romanzo della sua vita. Scrivere lo sguardo di Luce no, mai; bisogna vederlo. Luce non scrive per fare bella figura, Luce ha fatto un patto con la verità, ma di quelli seri. Racconta tutto. Da quando salva le vite a quando per sopravvivere strappa i denti d’oro a un morto. 

C’è il picaro, e c’è l’angelo. Corre, corre Luce.

Ma qualcosa la ferma. A Magonza, dopo il bombardamento , mentre aiuta a scavare fra le macerie di una casa distrutta, un muro le cade addosso. Da quel momento perde l’uso della gambe.

Ha 19 anni. 

Nell’ospedale americano dove la strappano alla morte, e le dicono che non camminerà più, Luce inventa una forma di prostituzione assolutamente inedita: mette un cartello sulla porta: STANZA DEL BUONUMORE. 1 DOLLARO, 15 MINUTI.  

I soldati americani pagano perché lei li faccia ridere, divertiti e incantati  dalla freschezza del suo humour, dalla suo verve di ragazzina geniale senza paura – e poi la parola che viene considerata frivola ed è immensa.

Luce era spaventosamente simpatica. Quel sorriso, quel guizzo da scugnizzo che te la saresti portata a casa. Luce è gentile e spiritosa con tutti, meno che con l’uomo che ama. Con lui è beffarda, durissima, crudele. A lui solo le fa pagare tutte. Tanto che lo rifiuta, per sposarsi con un altro.

Ma presto l’amore del marito diventa odio. Lui non regge la superiorità di quella ragazzina in carrozzella troppo più intelligente, troppo più eroica di lui. E spiritosa, mentre lui non sa ridere. Per sopraffarla, la tradisce sfrontatamente, la umilia, la provoca, portando in casa le sue amanti. E lei, a ruote di lupo, nel corridoio passa davanti alla stanza del tradimento. Nasce il figlio, Marco. Questo non lo placa. Anzi. E la provoca – con la sua ferocia di vigliacco, la sua meschinità di mediocre pieno di complessi e livore – cantandole una canzone allora in voga:

                              

“Saran belli gli occhi neri, / saran belli gli occhi blu / Ma le gambe, ma le gambe, / a me piacciono di più!”

Luce, nel corridoio, in carrozzella, silenziosa, “a ruote di lupospia i convegni notturni. Ma non si scopre. Si vergogna. Per sé e per lui.  Sopravvive all’offesa sguaiata. Va avanti a iniezioni di morfina sulle gambe inerti, sperando di paralizzare anche il cuore. Non ci riesce. Ma ora è molto più forte: è nato Marco. L’odio invidioso del marito non ha più potere su di lei, è stato annientato dall’amore fra madre e figlio, da quell’intesa gioiosa e scapigliata e avventurosa  dal primo istante, Luce e Marco si riconoscono subito. Da subito associati a delinquere cioè liberi, eroi da romanzo, e spiritosi, eleganti, con lo stesso formidabile intelletto rivoluzionario. Hanno gli stessi lineamenti, gli occhioni neri che sono un mondo a parte, l’assoluto spericolato dell’intelligenza, lo slancio, il coraggio, lo humour. Nei libri di Marco c’è lo spirito di Luce.  Finché Luce un giorno, con la macchina dai comandi speciali esce di casa e se ne va all’ospizio dei poveri, portando con sé Marco. Vivono lì finché Marco ha dodici anni. Marco già dipingeva. C’è un ritratto di lei dove Luce è uno scugnizzo scapigliato, lo sguardo ipnotico e bruciante che guarda lontano, sulla riva di chissà quale mare. 

Quando finii di leggere Deviazione era giorno. Mi ritrovai fra le carte vuote del Natale. Dormivano tutti. Avevo letto un testo fondamentale del ‘900. Un testo unico al mondo.

Ma dov’era quella extraterrestre che avrei voluto a ogni costo conoscere? 

Non sapevo ancora che sull’estremamente diverso Luce avrebbe scritto un libro insolente verso gli umani, Partiranno, con l’ineffabile Somniòlo, che per nutrirsi non mangia, dissapisce. (La prova della originalità e inventiva linguistica di Luce: il computer mi segnala il verbo “dissapire” come inesistente). Somniòlo non ha bisogno di masticare e ingollare, e subire la pesantezza della digestione. A Somniolo  basta aspirare l’odore – un tentativo di disincarnazione). 

Dov’era Luce? 

Mi figuravo di scalare i monti, solcare i mari pur di trovarla. Non ci fu bisogno: scoprii – e mi parve magico – che abitava nella mia città, quasi dietro casa, a piazza Bologna. Chiesi il numero di telefono alla casa editrice. La chiamai… rispose con la sua scanzonata erre francese,  e accettò subito di incontrarmi. Amabile dalla prima parola, con qualcosa di pinocchiesco e serio-infantile-incantevole. Puro fascino. Letizia.

Andai a trovarla nel grande appartamento dal pavimento liscio come un biliardo, dove sfrecciava col suo carrettino del sole inseguendo il gatto, come lei disobbediente (lo acchiappò, alla fine, trionfante con quei suoi occhi da ragazzino indiavolato). 

Le dissi: “Lei per me è il simbolo del coraggio”.   

Scoppiò a ridere, e mi offrì un Martini. In quella prima visita e poi sempre, attraverso gli scritti, ho attinto alla sua energia, al suo spirito che travolgeva e accoglieva. E nella sua spietata profondità appena poteva allegra, allegra, allegra.

***

Nel 1995 Luce pubblica un breve romanzo, Si prega di non disturbare.

È la storia di un giovane neonazista italiano che ammazza il suo maestro tedesco perché ha tradito: stava diventando umano. E lui, suo perfetto allievo, lo elimina. Al processo, la difesa sostiene che il ragazzo ha ucciso perché era pentito, e voleva eliminare il mostro. L’imputato accetta la versione farisea, e in quel momento diventa perfettamente cinico, perfettamente nazista. Ora sa che il neonazismo ha vinto, che tutto va verso la crudeltà,  e soprattutto ha vinto il dominio bituminoso dei buoni sentimenti, in nome dei quali la pena dell’assassino sarà lieve.

Luce: 

“Una volta stabilito che il male era stato nazista, dopo la guerra, tutti, per sempre, liberatori. Come se il nazismo giustificasse i mali presenti,  per confronto. Il male sempre al passato, in terza persona e all’estero. Mai al presente, in prima persona, a casa tua.  Mi sono documentata su una gran quantità di libri sul neonazismo del quale risultano finanziatori di tutto il mondo: l’apparenza disordinata di questi giovani turbolenti nasconde organizzazioni bene organizzate. Ma sono tutti testi dominati dall’ossessione sociologica, non arrivano mai al cuore. C’è documentazione, non c’è penetrazione. Si parla sempre di fenomeno, stai sempre davanti al fenomeno, mai ti trovi davanti a una persona”.

Invece, cominciando a guardare dentro quei cervelli, vedevo che erano normali. I neonazisti sono i figli della nostra indifferenza. Li vediamo tutti, i migranti che chiedono l’elemosina, ti scansi, non ti viene in mente che stai bene sulla pelle di un altro. Porti avanti la tua indifferenza, poi un giorno ti accorgi che tuo figlio è un neonazista”.

***

In Luce, sempre, c’è un guizzo di divertimento, creatura della vita. Come un ragazzino che disegna la mappa dei suoi giochi. Raro pregio: Luce non ha la vanità del rivoluzionario: “Sono sempre stata in guardia dal nazista che è in me”.

Parlando di sé Luce non si abbellisce, né ha la civetteria di imbruttirsi. Ha l’umiltà dell’eroe, l’umiltà del gioco. Luce è un extraterrestre, è Somniolo di Partiranno, l’animaletto astrale che non mangia, vive di odori, e fa seccare i fiori per aspirarli, e come Somniolo è dotata per la sopravvivenza. 

Parlando della sua disabilità: “Io penso che la moda dell’handicap sia un’altra forma di razzismo che la vittima assume. Tutti si vogliono sentire buoni alla faccia nostra. Quando vado in un negozio, la negoziante mi parla tutta leziosa, e magari mi dà un colpetto alla guancia e una carezza in testa. In carrozzella, coi capelli bianchi, sei un povero scemo. In realtà mi sono giudicata anch’io con occhi nazisti. Non che uno si piace, in carrozzella. È una situazione di partenza, e uno cerca di ridurla al minimo spazio, dandole meno attenzione possibile. Oltre agli occhi degli altri, oltre ai tuoi occhi nazisti, il guaio vero è il tempo che ti prende. Il fastidio dell’handicap è la manuntenzione.

A una giornalista che compativa troppo, quando è venuta ad intervistarmi a casa, ho fatto dire che avrei mandato a farsi intervistare la mia carrozzella”. 

***

Dopo Deviazione, Luce pubblica un turbine di romanzi, Nucleo zero, Ultima luna, Si prega di non disturbare, Racconti quasi di guerra, Un’estate difficile, Una strana fortuna…

Ma se qualcuno fosse impaziente di conoscere Luce prima di leggere i suoi romanzi, ecco che nel 1988 si produce un piccolo sconfinato prodigio: da una conversazione-intervista di Luce a una grande amica e intellettuale preziosa, vivissima e generosa,  Paola Gaglianone, nasce un piccolo libro indispensabile, Io sono un’aliena, dove si sente la voce di Luce come se fosse lì, nella sua grandezza, nella sua ironia, nel suo genio, nella sua umanità che un verso di Sandro Penna definisce:

“Scrivano, annota: la tenerezza”.

In Io sono un’aliena si sente parlare Luce, qui, con noi.                      

Domando che mi si tributino delle lodi, non per ciò che ho scritto, ma perché non ho risparmiato niente al lettore”. 

“Col fatto che la mia immaginazione girava con Alfonsina nella casa di riposo, m’è venuta incontro Silvana Lanzi, anche lei ibernata, anche lei svegliata a mia insaputa dalla ibernazione. È come il ritrovamento di questi personaggi emigrati dalla mia anima, e finalmente di ritorno. Nell’annullarmi per lasciarli liberi, mi limito a trascrivere ciò che pensano e fanno. E qui comincia la vera avventura: mentre si esprimono, scopro procedimenti mentali che non sapevo”.

“La mia attenzione di lettrice e scrittrice è portata al sociale. Ho visto i comportamenti dei prigionieri dei lager che riproducevano gli stessi schemi dei dominanti. La cosa più atroce dell’oppressore  è di condizionare il cervello dell’altro, come se glielo rubasse. Ma ho conosciuto anche gli atti di solidarietà del vivere allo sbaraglio, e ho vissuto la capacità di sopportazione dell’essere umano, che pure nelle condizioni più invivibili riesce a ridere e a cantare”. 

“Ho visto i patimenti e le sofferenze dei prigionieri nei lager,  (…) e ho conosciuto gli atti di solidarietà del vivere allo sbaraglio,(…) e la capacità di sopportazione di un essere umano”.

C’erano nei lager 20 milioni fra deportati e lavoratori, non s’è trovato il modo di ribellarsi. E tutti gli altri paesi del mondo che facevano allora? Non erano stati a guardare?”

“Se una persona mi dice qualcosa di ostile, oppure ho una lite, dopo la prima vampata vedo il personaggio”.

“Ci sono personaggi che prendono vita per un po’ poi spariscono. E a volte dopo decenni all’improvviso l’ibernato si risveglia e mi viene a chiamare, anche con una certa insistenza. Prendiamo Bruno Gordini, protagonista de L’ultima luna. Ogni tanto mi chiedevo: che fine ha fatto Bruno Gordini? Cercavo un po’ qua un po’ là, ma non rispuntava. Finché una notte ho scoperto che se ne era andato in Giappone. Ho dovuto cercare di comprendere  il perché e il percome di quella scelta, sono pure andata a Tokyo.(….) Non so dire quello che provo, nel ritrovamento di tutti questi emigranti della mia anima, finalmente di ritorno”. 

“Ho esaminato fino al midollo  cosa fosse possibile ottenere con la sovversione armata: il terrorismo non risolveva nulla. Anzi per esistere aveva bisogno del megafono, di azioni eclatanti, dunque era un prodotto della civiltà pubblicitaria, per cui era necessario che il capitalismo vivesse per farlo vivere. (…) ma continua a esistere la possibilità che insorgano situazioni in cui rivoltarsi sia necessario per non essere ridotti in schiavitù, e la domanda è: Come prevenire la sopraffazione? mi accorgerò in tempo della sua minaccia per disinnescarla prima che esploda? Questa è per me la funzione della cultura: prevenire la necessità di ricorrere alla violenza” 

“Chi crede in Cristo non viene condannato, chi non crede in lui è già condannato.  O mi credi e sei salvo, o non mi credi e sei condannato? Ma questo è un ricatto. E io non ti credo”.

“Dio va contemplato nella sua infinita debolezza”.

“Personalmente non risolvo  il mio sogno di trascendenza in un’ipoteca sull’aldilà. Non rinuncio a vivere la mia morte come l’avventura più totale dell’ignoto. Scriveva Montaigne a 29 anni: ‘Lo scopo della nostra carriera è la morte’”. 

“Forse mi concentro a scrivere perché provo un sollievo straordinario dall’io ingombrante. Quando si scrive si ha la più grande libertà: si è liberi da se stessi”.

“Quanto sto per dire suona di una presunzione inaudita: scrivo per i posteri: a momenti mi pare di leggere con gli occhi del futuro le mie storie trascorse, trapassate, datate, superate”. 

“Scrivo per scomparire. Per accettare la morte.” 

“C’è chi dice che scrive per se stesso.  Per se stesso basta pensare”. 

“Quanto sto per dire suona di una presunzione inaudita: scrivo per i posteri: a momenti mi pare di leggere con gli occhi del futuro le mie storie trascorse, trapassate, datate, superate”. 

(Noticina: ogni frase sua che leggi ti arrabbi e ti duoli che lei non sia qui, per sempre e ora). 

Luce è un eroe antieroico, è rivoluzione permanente. Non un’ombra di retorica, mai, mai, mai. Luce è semplicemente, lietamente, dolorosissimamente e soprattutto, un’eroina francescana.

Barbara Alberti

Barbara Alberti è scrittrice, sceneggiatrice, drammaturga, giornalista, attrice. Il suo ultimo libro è Vangelo secondo Maria (Rizzoli, 2024).

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