Diana Ligorio
Attraverso un gruppo Facebook, una madre si addentra alla scoperta del suo quartiere, di chi lo abita, e del linguaggio di suo figlio autistico.
“Qualcuno sa se stanno innaffiando i nuovi alberi piantati su via Corrado Alvaro al posto di quelli abbattuti?”, scrive MB. “Vado a dare l’acqua circa due volte a settimana. Però, tra un po’ parto e mi dispiacerebbe se quegli alberi dovessero seccarsi”.
Il municipio dove vivo nella periferia di Roma conta circa duecentomila abitanti. C’è una piazza, c’è un treno che ferma in tre stazioni. E c’è un gruppo Facebook di quartiere dove in molti chiedono aiuto e si scambiano consigli. È come un grande condominio silenzioso dove a volte vado a scrollare i post per sapere qualcosa sulla gente che incrocio per strada senza mai scambiarci una parola.
“Perché a via Capraia hanno tagliato tutti gli alberi in fiore?”, si domanda CC. SC, invece, chiede: “Gli alberi di via Spluga si sono riempiti di stormi. Cosa possiamo fare?” Tra i commenti: “Lasciarli in pace”. “Cambia strada per un mese”. Nel gruppo gli alberi sono un assillo costante, una geografia urbana che il condominio liquido vorrebbe restasse sempre com’è. Pioppi, pini, platani da sottrarre al mutamento della natura e all’intervento umano. Pali fissi in un tempo senza stagioni. Non è quindi solo mio figlio a desiderare che le cose non cambino, se cambiano si rompe l’ordine del mondo, se cambiano devono tornare come prima: le foglie cadute riattaccarsi ai rami; un bastoncino spezzato ricomporsi senza lasciare il segno; l’acqua rovesciata sulla tavola va rimessa nel bicchiere.
CC scrive: “Sapete cos’è questo rumore che viene da via Ugo Ojetti? Sembra stiano tagliando degli alberi”. EB risponde: “Sono i molti ciclisti che usano la pista ciclabile”. Vado sul profilo di EB. È una signora sulla settantina. Vorrei sapere cosa ha prodotto in lei questa allucinazione uditiva per cui l’incedere di ruote e pedali sull’asfalto drenante rievoca il frizionare metallico di motoseghe in azione. Cerco EB tra i commenti a un altro post, questa volta di GA: “Ma Ultimo sta facendo il concerto a Talenti stasera?”. Come vive EB questo riverbero? Sente la musica rimbalzare sui palazzi del centro e arrivare con l’eco alle sue finestre? Ha sentito anche lei le canzoni di Ultimo? Ma EB non è tra i commenti. Anche a casa nostra si è sentito qualcosa del concerto, mischiato alle frasi ripetute da mio figlio. Il suo linguaggio è un tamburo a due membrane. Una sensibile al contatto con il fuori, l’altra, dentro di lui, più intima. Tra loro una corda tesa che crea, con l’eco delle ripetizioni, un tempo. Qualcuno nel condominio reale potrebbe lamentarsi e scriverne sul gruppo? Le parole di mio figlio vibrano per risonanza, come le finestre del quartiere che riflettono una musica proveniente da lontano. Se potesse leggere i post del gruppo, quale cadenza darebbe il bambino al loro fraseggio? Quale canto per gli aedi del quartiere?
Il nostro municipio è un quartiere, una zona o una piccola città? La parola quartiere non compare quasi mai. Vado su “cerca” e mi accorgo che “quartiere” appare nei post solo fino a due anni fa e sempre con minore frequenza. Cosa è accaduto? La parola quartiere viene sostituita da “zona”. Uno spazio più limitato, circoscritto, che nella mia mente richiama un’idea di controllo. Zona Città Giardino, zona Tufello, zona Bufalotta. In un post dove compare “zona Bufalotta” una donna non cerca consigli. Racconta una storia: “Sabato pomeriggio abbiamo avuto una delle esperienze più brutte della nostra vita. Sono entrati i ladri in casa quando i miei due figli erano da soli. In pieno giorno, zona Bufalotta. Il più grande ha gestito la situazione per proteggere suo fratello, un ragazzo autistico di 20 anni. Sono stati minacciati con un cacciavite. Il più grande è stato legato mani e piedi ma ha convinto i ladri a non fare nulla al fratello: ha spiegato che lui non avrebbe dato problemi se lo avessero lasciato sul divano con il suo iPad. Quando siamo rientrati io e mio marito, questi maledetti sono scappati. Grazie a Dio, loro stanno bene. Le cose materiali non contano nulla. Ma noi non saremo più sereni a casa nostra”.
Vorrei commentare. Scrivo e cancello. Scrivo e cancello. Poi lascio stare. Alla fine sono una che non commenta. Quanti siamo a leggere e a non commentare? Se fossi io ad aver bisogno di aiuto, mi scoccerebbe non ricevere risposte. Ma ho delle risposte a certe domande? Nel post di questa donna sento domande che in realtà non sono state esplicitate.
Scorrendo il feed, DM scrive: “Autista Atac del 344 che guidavi verso le 18.40 in via Gualterio in direzione stazione Nuovo Salario, perché quando mio figlio autistico quindicenne ha iniziato a vomitare copiosamente, nonostante tu avessi visto e nonostante te lo abbia chiesto, non ti sei fermato subito e bofonchiando qualcosa di incomprensibile, hai raggiunto la fermata successiva? Non so chi sei ma spero che la puzza di vomito (che era tanto) di L. ti abbia accompagnato fino al deposito più lontano della città”.
Scrollo a casaccio: DF cerca “un antennista onesto e competente”, AI qualcuno in grado di realizzare “una confezione regalo per oggetto tubolare (una pergamena)”, MM chiede “un ginecologo competente ma dolce”, FN cerca con urgenza per una ragazza in difficoltà, che ha appena partorito, tutto il necessario per vestire una neonata, DL vorrebbe una pensione casalinga per due cani di taglia media, MA una badante per i suoi genitori, FP ha bisogno di un “avvocato divorzista con i controfiocchi: da settembre partirà una guerra preannunciatami oggi”, JV informa di aver appena chiamato il pronto intervento perché “a largo Adriatico c’è un senzatetto in condizioni piuttosto critiche: è sul marciapiede che piange, rivolto su se stesso”, AP segnala “un chihuahua nero che corre disperatamente su via di Casal Boccone, altezza benzinaio Ip”, CA ha trovato “un serpente in giardino”, CC avverte che “nel parco di via Sannazzaro ragazzi maschi adolescenti hanno acceso un fuoco”, AM chiede “che film si gira in via Val Padana?”
VD invece pone al gruppo una questione: “Spesso non so di cosa si occupano amici e conoscenti, e poi esce fuori che il giorno prima avresti avuto bisogno proprio di loro e della loro professione e invece sei andato da uno sconosciuto. Allora mi chiedo…come possiamo risolvere?” Già, VD, come possiamo risolvere? Secondo te, VD, dovremmo pensarci come quartiere, come zona o come comunità? E di cosa abbiamo tutti e tutte bisogno?
Sono io ora a scrivere sul gruppo in cerca di consigli per non far morire due piantine mentre sarò fuori città per un mese. GF mi scrive in privato: posso affidarle a lei che indistintamente per cani, gatti e piante prende dieci euro al giorno. Mi scrive anche AL offrendo posto e acqua nel suo giardino. Vado sul suo profilo: abbiamo un paio di amicizie in comune, insegna italiano per stranieri. Al gruppo ha contribuito con altri quattro post, tra cui uno in cui dice di aver trovato un libro di letteratura latina per terra alla fermata del bus di via Pirandello e un altro in cui ha raccolto al capolinea del 60 una foto di un’anziana signora e vorrebbe restituirla ai suoi cari. Ma io cosa ho scritto nel gruppo in questi anni? Mi cerco. Un post recente in cui presento un corso di scrittura tenuto da me in zona Città Giardino (zona!). Un altro in cui chiedo centri di terapia cognitivo comportamentale per un bambino con autismo. Vedo subito se si può modificare il post che è di due anni fa. Correggo con “bambino autistico”. Al tempo pensavo fosse una condizione da portarsi appresso. Il con autismo poteva forse implicare nella mia testa anche un senza autismo? Un bambino che con le terapie sarebbe diventato senza? Come gli alberi senza stormi nelle loro teste? Correggo con un aggettivo fisso come un pioppo eppure mutevole con stagioni che, il bambino, lo fanno gelare e fiorire e dare frutti, tanti. Un altro post in cui cerco bar, librerie, posti dove poter stare con un pc e lavorare. Quale immagine di me appare da questi post? È una scrittrice, una madre di un bambino autistico, una che non riesce a lavorare a casa, una donna che ama le piante. L’ultimo post forse rivela una persona che non ha nessuno a cui poter lasciare una piantina o forse una che parla con i fiori. Ne Il silenzio delle piante Wistawa Szymborska scrive: “Ho dei nomi da darvi:/acero, bardana, eparica,/erica, ginepro, vischio, nontiscordardimé,/ma voi per me non ne avete nessuno”.
“Vorrei commentare. Scrivo e cancello. Scrivo e cancello. Poi lascio stare. Alla fine sono una che non commenta. Quanti siamo a leggere e a non commentare? Se fossi io ad aver bisogno di aiuto, mi scoccerebbe non ricevere risposte”.
Intanto tra i commenti al mio post arriva quello di RA con un video muto di una bottiglietta d’acqua da capovolgere nel vaso. RA è uno scrittore, ho letto il suo ultimo libro. Quindi vive anche lui in quartiere. RA è l’unico nei commenti a non scrivere nemmeno una parola, solo un link al video. Il linguaggio forse è questo: un liquido rovesciato. Immagini silenziose che non si possono contenere. Davanti al video mio figlio dice: “Le piante impareranno a nuotare”.
In privato mi scrive MB a proposito delle water beads, microperline di plastica che vanno immerse in acqua. Faccio una ricerca e leggo che oltre a funzionare per l’idratazione delle piante vengono usate come esperienze sensoriali per i bambini autistici. Le ordino. Mi arrivano a casa. Io e il bambino mettiamo in una vaschetta centinaia di palline piccole come la punta di uno spillo. Aspettiamo. Le guardiamo, colori diversi, gonfiarsi d’acqua. Mentre prendono forma, penso che forse ho visto una donna innaffiare gli alberi di via Corrado Alvaro, forse ero anche io quel giorno alle 18.40 sul 344, forse sono passata vicino al senzatetto di viale Adriatico e alla signora che ha chiamato il pronto intervento, forse ho incrociato il chihuahua su via di Casal Boccone, forse ho visto ragazzi accendere un fuoco, forse sono finita nel film di via Val Padana. Nelle palline d’acqua vedo uno, nessuno e duecentomila persone del quartiere. Nelle palline d’acqua mio figlio vede i ricordi di Inside out. Biglie di pensiero e inconscio liquido. Affondiamo assieme le mani dentro la vaschetta. Mio figlio tira fuori una pallina, me la mostra tra le piccole dita: più grande, diversa dalle altre, non è tonda. Ha la forma di una goccia solida, di una lacrima gelatinosa. E se ora dovesse avere una crisi e chiedermi di renderla come le altre? E se mi chiede che la perla non cambi e resti perla? Lui invece sorride. Dice: “Un uovo verde!” (Prosciutto e uova verdi, il libro di Dr Seuss, tra i suoi preferiti). Mettiamo la creatura d’acqua verde in una scatolina e riversiamo le altre palline nei vasi. Una, nessuna e duecentomila parole in procinto di rilasciare lentamente il loro linguaggio liquido. Avvicino la testa alla foglie, penso ancora a Szymborska e al suo dialogo con le piante: “Ma come rispondere a domande non fatte, /se per giunta si è qualcuno/che per voi è a tal punto nessuno”.
Diana Ligorio
Diana Ligorio è autrice, showrunner, sceneggiatrice. Il suo ultimo libro è Occhi di lupo, cuore di cane. La vita invisibile di un agente della DIA (Bompiani, 2023).
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