Le spese destinate alle forze di polizia sono generalmente troppo alte in Occidente, a scapito di sanità pubblica e altri settori fondamentali per il buon funzionamento di una società. Soprattutto, più polizia non significa più sicurezza, anzi. Ma si può immaginare di fare a meno della polizia? Sì, e con un po’ di sforzi si può cercare di mettere in pratica questo proposito.
Quando lo scorso luglio sono state diffuse le locandine per la presentazione del libro Police Abolition al centro sociale Foa Boccaccio di Monza, in città è scoppiato il putiferio. A partire dagli spunti offerti dal testo – una traduzione da una fanzine statunitense arricchita dalla postfazione di Italo di Sabato, coordinatore di Osservatorio repressione, e Salvatore Palidda, docente esperto di sicurezze e polizie all’università di Genova – il piano della serata era quello di provare a immaginare con gli autori percorsi a lungo termine per un ripensamento delle forze dell’ordine e iniziative a breve termine con cui replicare sperimentazioni già in corso altrove.
Nel giro di poche ore tutti in città parlavano dell’evento. Un gruppo di consiglieri comunali ha sottoposto un’interrogazione al sindaco; il sindacato Fsp polizia di Stato ha attaccato gli organizzatori dell’evento e il Partito Democratico per aver messo a disposizione la sala di un suo circolo; il Partito Democratico si è difeso prendendo le distanze dalll’evento. Una contestazione bipartisan che ha confermato quanto sia difficile mettere in discussione l’operato dei corpi di polizia in Italia. E se è difficile parlarne, figurarsi immaginare un loro superamento. Eppure quella della trasformazione delle forze dell’ordine, fin verso l’abolizionismo, non è una tesi strampalata che circola nei corridoi dei centri anarchici o professata da “odiatori di professione”, per usare un linguaggio tanto caro ai supporter del securitarismo. Si tratta, piuttosto, di un filone di studi sempre più prospero a livello accademico e che in alcuni paesi, ad esempio gli Stati Uniti, sta conoscendo i suoi primi campi di applicazione.
Prima della polizia
Per quanto la polizia moderna centralizzata sia un’invenzione diffusasi a partire dall’Ottocento, questo non significa che le esperienze premoderne non abbiano in qualche modo tracciato il percorso. Dalla Mesopotamia all’antico Egitto, passando per i Romani e il Giappone dei samurai, prima dei sistemi di polizia moderni sono esistiti corpi chiamati a svolgere compiti di mantenimento dell’ordine pubblico. Le polizie moderne di oggi sono figlie di quelle meno organizzate di ieri. Entrambe hanno inteso la sicurezza come strumento di mantenimento del potere costituito, agendo di conseguenza. La modernizzazione delle polizie c’è stata, ma soprattutto in chiave organizzativa.
Le rivolte degli schiavi nel Settecento, durante le traversate verso il continente americano, così come poi le insurrezioni contro i proprietari terrieri, ispirarono forme di pattuglia, sorveglianza e repressione utili ai primi capitalisti per mantenere in piedi il loro sistema di sfruttamento. “Sebbene non fossero degli ufficiali di polizia, questi sorveglianti e slave patrol ne furono i predecessori e ispirarono il formarsi di una cultura poliziesca”, scrive Derecka Purnell in Come sono diventata abolizionista (Fandango Libri). Quelle forme rudimentali di polizia servivano per imporre l’ordine, inteso come tutela della proprietà privata e mantenimento di un sistema di sfruttamento lavorativo che garantiva il profitto di pochi, normalizzando e amplificando le diseguaglianze. Ben Brucato nel suo libro Race and Police: The Origin of Our Peculiar Institutions (Rutgers University Press) sottolinea che “il concetto di razza e di polizia sono stati creati di pari passo per risolvere le stesse crisi economiche e che questa fase primitiva non è stata superata nel corso della storia”.
Tutto questo continuiamo a vederlo ancora oggi. La profilazione razziale delle forze dell’ordine è una delle più lampanti evoluzioni di quei semi di sorveglianza e repressione piantati ai tempi della tratta degli schiavi. Come sottolinea ancora Derecka Purnell, a influenzare la polizia odierna statunitense ci sono “secoli di abitudine a vigilare, controllare e catturare persone, soprattutto neri e nativi, che attualmente patiscono un numero sproporzionato di arresti, uccisioni e incarcerazioni per mano delle forze dell’ordine”. Una ricerca del 2024 della Cornell University, che prende in considerazione la città di Chicago, ha rivelato che in una strada dove il 50 per cento delle persone al volante è nero, questi rappresentano in media circa il 70 per cento dei controlli della polizia. Dove la metà degli automobilisti è bianca invece, meno del 20 per cento dei controlli coinvolge conducenti bianchi. Un altro report del 2024 ha rivelato che in California i fermi di persone nere rappresentano più del 12 per cento del totale, nonostante costituiscano il 5 per cento della popolazione. Allargando lo sguardo a tutto il paese, Mapping violence che i neri rischiano di morire durante un controllo di polizia 2,8 volte più dei bianchi.
Defund the police
Quando il 25 maggio 2020 il poliziotto Derek Chauvin ha ucciso il 46enne nero George Floyd, a Minneapolis, gli Stati Uniti sono stati attraversati da profonde proteste guidate dal movimento Black Lives Matter. Le rivendicazioni dei manifestanti miravano soprattutto a una riforma strutturale della polizia e, nel giro di poche settimane un disegno di legge federale, il George Floyd Justice in Policing Act, è effettivamente arrivato in parlamento, anche se poi non è mai stato approvato. Tra le disposizioni previste dal testo c’erano, tra le altre, lo stop al ‘chokehold’, cioè la stretta al collo che ha ucciso Floyd e centinaia di altre persone, l’implementazione di un registro nazionale dei poliziotti che si dal profilo e dai precedenti problematici, una limitazione alle perquisizioni in casa senza preavviso, una riduzione dell’immunità penale degli agenti, corsi contro la profilazione razziale e tante altre misure volte a introdurre buone pratiche nel modus operandi della polizia statunitense.
Quello che mancava nel testo era una misura che, diventata slogan, da qualche anno si può ascoltare nelle manifestazioni contro la violenza e il razzismo delle forze dell’ordine, e che proprio a seguito dell’uccisione di Floyd aveva ricevuto una nuova grande eco nazionale: defund the police, tagliare i fondi alla polizia. La richiesta nasce dalla considerazione cheche la spesa pubblica destinata alle forze dell’ordine sia eccessiva Questi investimenti nella militarizzazione portano a un aumento della conflittualità e delle diseguaglianze, soprattutto nei quartieri più fragili e, di conseguenza, a una riduzione della sensazione reale di sicurezza collettiva. Destinare tutti quei soldi alle forze di polizia garantisce poi meno risorse a comparti chiave per il sano funzionamento di una società, come la sanità, l’istruzione o le politiche abitative, aumentando sperequazione e diseguaglianze sociali. Dagli anni Ottanta a oggi gli Stati Uniti hanno triplicato il budget destinato alle forze di polizia; più di 100 miliardi di dollari all’anno, oltre dieci volte il budget che viene destinato per esempio alla salute pubblica. Questa generosità nell’erogazione dei fondi non ha avuto effetti diretti positivi sulla riduzione della criminalità e sul miglioramento della vita delle persone più marginalizzate, anzi. “Se investire nella polizia fosse un modo efficace per scoraggiare la criminalità, allora gli Stati Uniti sarebbero il paese più sicuro del pianeta, ma non è nemmeno lontanamente vicino ad esserlo”, ha commentato Marcus Board, professore associato di scienze politiche alla Howard University.
Se a livello federale e nazionale negli Stati Uniti non solo non si è fatto niente in chiave di defund the police e anzi, sono state introdotte misure volte a penalizzare riforme di questo tipo e rafforzare gli investimenti nelle forze dell’ordine, a livello locale è andata diversamente. Metropoli come Seattle, Milwaukee o Austin hanno tagliato radicalmente i fondi destinati alla polizia, che in alcuni casi raggiungevano fin quasi il 50 per cento del budget annuale cittadino. Quei soldi sono stati reinvestiti in servizi sociali come l’assistenza salariale per i più giovani, il sostegno alle persone senza dimora, le campagne di prevenzione contro la violenza e i dati hanno effettivamente mostrato una riduzione delle persone in situazioni di indigenza, che significa una riduzione della conflittualità sociale, che significa una riduzione della necessità della militarizzazione urbana.
Oltre la polizia
In alcune località come Eugene o Seattle negli ultimi anni sono stati creati corpi non polizieschi pensati per scardinare il monopolio delle forze dell’ordine nella gestione delle emergenze. In altri casi, come a Oakland, sono state smantellate alcune missioni, come quelle operanti nelle università. La polizia viene chiamata nella quasi totalità dei casi per questioni banali, per esempio la porta di una casa che non si apre o un incidente stradale, o per questioni che un team sanitario o degli assistenti sociali potrebbero affrontare meglio, per esempio una persona in overdose o uno sfratto. I dati statunitensi dicono che a New York solo il 4 per cento delle chiamate al centralino riguarda effettivamente infrazioni gravi e in altre città si scende sotto al 2 per cento. “Il motivo per cui la gente ha bisogno della polizia spesso è collegato al perché la gente crede di averne bisogno”, sottolinea Derecka Purnell. Se il 911 è considerato la soluzione a tutti i problemi è solo perché culturalmente ci siamo abituati così.
Lo slogan defund the police, e il successo che le sue applicazioni hanno avuto in alcune città statunitensi, hanno dato forza alla sua declinazione più radicale, abolish the police. Il primo è infatti spesso considerato il mezzo per arrivare al secondo. Come sottolinea Valeria Verdolini in Abolire l’impossibile (add editore), “parlare di abolizione della polizia non significa immaginare un vuoto, ma aprire spazi di giustizia comunitaria e di risoluzione dei conflitti che non passano per la militarizzazione del quotidiano”. Significa, di fatto, rendere permanenti le sperimentazioni di definanziamento delle forze dell’ordine e di sostituzione con corpi altri, così che alla violenza sociale si possa rispondere non con la violenza istituzionale, ma con investimenti e forme di mediazione. Decenni di riforme della polizia non hanno permesso di cambiare la natura di quei corpi. La tesi abolizionista sostiene sia arrivato il momento di superarli, impossibili da riformare perché concepiti come strumento di repressione e violenza di classe. “Se le attività di polizia sono uno dei processi di realizzazione dell’ordine capitalista, la sua abolizione sarà la pratica creativa di costruzione di nuove istituzioni comunitarie e non coercitive a tutti i livelli della società”, scrivono Italo Di Sabato e Salvatore Palidda in Police abolition (Momo Edizioni).
Quando si parla di abolizione delle forze dell’ordine il rischio di muoversi nel campo incerto delle utopie è molto alto. La risposta più semplice, forse la più banale, potrebbe essere che lo stesso poteva dirsi per l’abolizione della schiavitù, della pena di morte o dei manicomi. Eppure quelle rivoluzione sono avvenute, a dimostrazione che spesso gli ostacoli ai cambiamenti radicali sono mentali più che materiali. La risposta più complessa obbliga invece a considerare la portata di una tale rivoluzione culturale e tutto quello che determinerebbe. Se spesso la militarizzazione del quotidiano portata dalle forze dell’ordine non fa altro che aumentare conflittualità e insicurezza – avete mai pensato a quanto siano pericolosi per l’incolumità di tutte e tutti gli inseguimenti per le strade cittadine? – il vuoto causato dal loro smantellamento potrebbe sortire gli stessi effetti. Ecco perché bisogna ragionare in termini di gradualità. È quello che sta succedendo negli Stati Uniti, sicuramente l’ultimo paese occidentale da elogiare quando si parla di pratiche di polizia. Ma dove proprio per questo negli ultimi anni, grazie anche alla forza del movimento Black Lives Matter, ha visto imporsi nelle università e nei luoghi di decisione politica un dibattito riformista e abolizionista e, ora, le sue prime forme di sperimentazione locale.
E l’Italia?
Il caos esploso a Monza per la presentazione del libretto Police abolition racconta bene come il paese sia ancora all’età della pietra nell’immaginare modelli alternativi a quelli improntati alle logiche poliziesche. I tentativi del passato di cambiare le cose si sono dimostrati poco incisivi, come mostra anche l’unica grande riforma della polizia in Italia. Approvata nel 1981, non è stata sufficiente per scongiurare quello che è successo dopo, dal G8 di Genova ai grandi scandali per torture nelle carceri italiane, passando per le denunce internazionali di profilazione razziale. In questo la politica sicuramente non aiuta.
Decreti sicurezza, scudi penali, critiche al reato di tortura: la direzione sull’argomento è chiara. Come scrive Michele Di Giorgio in Il braccio armato del potere (Edizioni Nottetempo), “Negli ultimi vent’anni è emerso all’interno delle politiche di sicurezza un fattore che ci riporta al passato dell’Italia liberale. L’attenzione delle forze dell’ordine sembra essersi concentrata di nuovo, come in quel passato, sugli appartenenti alle classi sociali più deboli e su questo hanno avuto un peso enorme le scelte della politica, che ha spinto la polizia a svolgere un lavoro di pulizia sociale”. Anche in Italia le forze dell’ordine in un modo o nell’altro hanno continuato a replicare sempre gli stessi schemi, agendo come strumenti del potere contro le classi subalterne. Un modello che si è dimostrato pieno di storture. Parlare oggi di abolizionismo in Italia non deve significare necessariamente arrivare all’esito finale di un paese senza polizie, ma quantomeno attingere senza paura da quelle teorie per immaginare possibili soluzioni ad alcuni dei bug che caratterizzano il sistema. L’Italia è il paese europeo che, in proporzione, spende più soldi per la sicurezza pubblica e privata ma è anche tra quelli con gli indici di diseguaglianza più elevati. Defund the police, tagliare quei fondi per destinarli a servizi di natura sociale, è la direzione verso cui il paese dovrebbe andare se volesse diminuire la conflittualità e aumentare la sicurezza collettiva. La traiettoria che sta seguendo, però, è quella opposta.