Ornella Vanoni, morta il 21 novembre a 91 anni, ha saputo coniugare canto, recitazione e narrazione di sé in un’unica, inconfondibile personalità. La sua voce e i suoi racconti restano indelebili, tra malinconia e leggerezza.
Ornella Vanoni parlava soprattutto d’amore. Le canzoni che l’hanno portata al successo – Senza fine, L’appuntamento, Una ragione di più – parevano una naturale prosecuzione in musica dei suoi discorsi e dei suoi racconti, in cui la recitazione prima e la musica poi sono arrivate un po’ per caso, o meglio per desiderio, sì, ma di altro, dell’armonia con uomini che ha seguito, assecondato, abbandonato, amato ― chi più (Gino Paoli e Giorgio Strehler) chi meno (il marito Lucio Ardenzi). O forse è tutto il contrario, forse l’arte le ha portato degli amori e le canzoni hanno plasmato quei discorsi, ormai è impossibile capirlo (e non perché sia morta ma perché, come diceva Lucio Dalla, ogni cosa era indistinguibile dall’altra, in Vanoni: l’attrice dalla cantante, la persona dall’artista).
Di sicuro aveva due voci, entrambe bellissime, e questa è stata la sua grande fortuna, nonché la ragione per cui il pubblico l’ha molto amata: la prima voce, ovviamente, è quella musicale, che tutti riconosceremmo al volo: suadente, elegante, perfetta per cantare il fatalismo, la rinuncia, una sobria incazzatura, l’attesa fremente, ma anche per raccontare il desiderio con lucidità e ironia; una voce milanese, verrebbe da dire, signorile, un po’ snob, sicura di sé. E poi c’è l’altra voce, quella narrativa, ironica e malinconica insieme, sorretta da aneddoti impareggiabili, tempi comici perfetti, battute efficaci. Solo lei poteva inanellare con naturalezza nella stessa conversazione, e nella stessa vita, la storia del riccio domestico di Giorgio Strehler (è una vicenda lunga e deliziosa che ha raccontato, credo, da Fazio, cercatela su youtube) e il commento-meme “Non arrivo a Natale”, o il modo capriccioso con cui cantava “Ti voglio, ti voglio, mi piaci, ti spoglio” e l’invenzione dell’imperativo di scellofanare, verbo inesistente.
Allo stesso modo, in vecchiaia, lasciava stupefatti come da quel corpo affaticato, che richiedeva spesso sostegno, potesse sprigionarsi, e senza alcuno sforzo apparente, la potenza, la perfezione, la purezza di quella voce miracolosa: lo ha dimostrato, di recente, cantando con Mahmood una versione struggente di Sant’allegria.
“Ha indicato l’intelligenza nell’amore, ma anche la grazia nell’intelligenza”.
C’erano insomma molte Vanoni: quella novantenne e quella per sempre ragazza, nascosta (neanche troppo) nella voce; la Vanoni umorista e quella nostalgica; l’entusiasta e la finto-brontolona; quella che andò a Broadway, ai tempi di Rugantino, e quella ospite a Domenica In; infine, e più in generale, la Vanoni cantante e la Vanoni narratrice di sé, entrambe influenzate dalla Vanoni primaria, eccellente attrice.
Verrebbe da chiedersi come abbia fatto, quando muoveva i primi passi al Piccolo Teatro con Giorgio Strehler, all’inizio degli anni Cinquanta, a non accorgersi di non essere solo una giovane attrice, ma la migliore cantante italiana. Cosa pensava, di quella voce? La si poteva ignorare, anche solo sottovalutare? Chi l’ha sentita per la prima volta cos’ha pensato? Magari niente, magari “Bravina”: col senno di poi siamo bravi tutti, anche quando si tratta di miracoli. Ma è bello aver avuto e avere ancora Ornella Vanoni. Ed è bello che se ne vada circondata da un affetto accorato e trasversale, e soprattutto non scontato, in Italia, per un’artista così raffinata e ironica, così sensuale e divertente. Ci ha indicato l’intelligenza nell’amore, ma anche la grazia nell’intelligenza. Una delle cose più belle che abbia mai cantato, e che qualcuno abbia mai cantato in generale, era quel verso di Domani è un altro giorno in cui dice “È uno di quei giorni che tu non hai conosciuto mai; beato te, sì, beato te”. Provate a riascoltarla: quel “Sì” vi arriverà così com’è scritto, fra le virgole, col suo pathos, il suo rammarico, persino il biasimo e l’invidia. In quel “Sì” ci sono tutte le artiste e le persone che Ornella Vanoni è stata. Beati noi che le abbiamo incontrate tutte, sì, beati noi.