Eva Benelli
24 Gennaio 2025
Non comporta danni per i bambini, e spesso, pur senza ricompense economiche, sono le donne stesse a voler essere gestanti.
Il nostro è un Paese ben strano. Capofila tra le nazioni piombate nel baratro della denatalità, si ostina a inseguire interventi di promozione delle nascite noti per aver scarsa o nulla efficacia, e in parallelo a perseguitare chi i figli li cerca e li vorrebbe, a dispetto di limiti fisici che oggi possono essere superati grazie alle biotecnologie riproduttive.
Tra queste malintese battaglie, la crociata contro la gestazione per altre persone, in sigla Gpa, ha prodotto infine un nuovo articolo, che stabilisce che quello che la legge 40 vietava già da vent’anni in Italia (punto 6, articolo 12) sarà ora illegale anche se la procedura sarà eseguita all’estero. Un solo articolo, per giunta anche nebuloso. A dispetto degli annunci dei suoi estensori, infatti, la legge (in vigore dai primi di novembre 2024) non ha reso il cosiddetto “utero in affitto” un reato universale. . Ha sancito invece il tentativo di rendere noialtri italiani, e solo noi, un po’ più punibili, prevedendo da 3 mesi a 2 anni di reclusione e multe da 600mila a un milione di euro a chiunque abbia a che fare con questa procedura. Dentro e fuori Italia.
Una bella scommessa, non solo perché i reati universali, come ha chiarito tra gli altri Amnesty International: “sono di una gravità assoluta, come la tortura, il genocidio, la riduzione in schiavitù e i crimini contro l’umanità, e sono considerati come tali dalla comunità internazionale nel suo complesso”, ma anche perché per arrivare a incriminare come reato una pratica eseguita all’estero, occorre che quella pratica sia illegale anche nel Paese in cui si realizza. E ormai sono una quarantina i Paesi, in Europa e nel mondo, che hanno legalizzato la gestazione per altri, magari nella modalità esclusivamente solidale. Difficile, quindi, configurare quella condizione di doppia incriminazione che presuppone la punibilità di un reato commesso all’estero.
Soprattutto, la legge Varchi lascia una grossa incertezza: non è chiaro, infatti, che cosa succederà ai bambini e alle bambine nati con la Gpa, nel caso in cui i loro genitori vengano perseguiti e condannati. Glieli porteranno via? E in che modo questo si configura come “interesse superiore dei minori”, richiamato anche dalla Corte Costituzionale come criterio guida nelle decisioni normative? Insomma, un bel pasticcio, destinato probabilmente a finire nel dimenticatoio, con scarsi tentativi di metterlo in pratica, ma forse efficace nel mettere paura alle persone che finora hanno pensato o tentato la strada della Gpa nel loro desiderio di avere un bambino o una bambina.
È difficile non percepire l’ostilità, se non il vero e proprio il livore, con cui chi si oppone alla Gpa tratta chi invece la vorrebbe praticare: nei fatti persone che soffrono di infertilità, condizione che l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce come malattia. Donne che sono nate senza utero o hanno subito un’isterectomia o comunque non sono in grado di condurre una gravidanza, e coppie omogenitoriali, cui le biotecnologie riproduttive offrono oggi un’opzione che una volta non esisteva. Un atteggiamento che ricorda quello che circolava ai primi tempi dell’epidemia di Hiv, quando omosessuali e tossicodipendenti, a lungo considerati le uniche categorie a rischio, subivano in pieno la riprovazione e lo stigma sociale. La ministra Roccella si è spinta fino a ricordare ai medici che sarà loro dovere segnalare i sospetti praticanti di Gpa, ottenendo in cambio un secco no dalle principali società scientifiche della categoria.
Certo, l’idea di una gestazione per altri può ben mettere in discussione valori e convinzioni personali e può suscitare paura o rabbia. Ma la nebbia semantica che ha caratterizzato la narrazione italiana su questo tema non è stata di nessun aiuto, anzi. Così, se l’espressione “utero in affitto” è orribile e giudicante, riducendo la persona che si rende disponibile a condurre una gravidanza per altri alla sola citazione di una parte del suo corpo, ancora più fuorviante è “maternità surrogata”, che non aiuta a capire di che cosa stiamo parlando perché il percorso della Gpa non è affatto un percorso di maternità, ma di gestazione.
“È difficile non percepire l’ostilità, se non il vero e proprio il livore, con cui chi si oppone alla Gpa tratta chi invece la vorrebbe praticare”.
È la volontà di una donna di partecipare a un progetto procreativo che non la riguarda direttamente, portando avanti una gravidanza per chi non può farlo, senza intenzione di rivestire il ruolo di madre. La volontà di condurre una “Gravidanza per altre persone”, come titola il mio libro (Bollati Boringhieri, 2024, 15 euro).
Il punto è esattamente questo: riconoscere che oggi, in virtù delle tecniche di riproduzione medicalmente assistita, le prospettive della procreazione sono cambiate, facendo emergere possibilità meno tradizionali, modificando l’idea stessa di genitorialità. Come la medicina palliativa e di rianimazione hanno spostato il confine del fine vita, come la tecnologia dei trapianti sta rendendo possibili trasferimenti d’organo impensabili anche solo cinque anni fa, così gli scenari per desiderare, immaginarsi ed essere genitori si sono moltiplicati. Altre figure possono avere un ruolo, le relazioni arricchirsi. Perciò la rappresentazione più consueta di genitorialità: una coppia eterosessuale, giuridicamente sposata che genera figli attraverso il rapporto sessuale e la gravidanza è ormai insufficiente e non riesce a riconoscere i diversi modelli di famiglia resi possibili dall’avanzamento tecnologico.
Rifugiarsi dietro parole inesatte o esplicitamente sprezzanti è come ammettere di non riuscire ad accettare che l’idea e la realtà della procreazione non sono più le stesse per tutte e tutti.
Che poi, con un po’ di onestà intellettuale non è difficile riconoscere che la maternità come risultato di un progetto di genitorialità consapevole e voluto è spesso un privilegio. Per esempio, il rapporto 2022 dell’Agenzia delle Nazioni Unite per la salute sessuale e riproduttiva (Unfpa) documenta che ancora oggi per tantissime donne e ragazze rimanere incinta non è una scelta pianificata, desiderata, cercata: la metà delle gravidanze nel mondo (121 milioni) sono indesiderate e si stima che il 61% finisca con una interruzione. Siamo ben lontani da quella maternità scelta e voluta che, unica, sembra avere diritto allo statuto di normalità.
Tra gli argomenti di chi obietta al ricorso alla Gpa c’è che i bambini e le bambine soffrirebbero ad essere privati dal rapporto con la donna che li ha portati in grembo. Per questo molto interessanti sono i primi studi che arrivano da Paesi, come il Regno Unito, dove la Gpa è regolamentata già da una trentina d’anni. Come quello realizzato da Susan Golombok, professoressa emerita ed ex direttrice del Center for Family Research presso l’università di Cambridge, sulle percezioni e il benessere nelle persone giovani nate attraverso una Gpa o fecondazione eterologa.
Il lavoro si sviluppa a partire da uno dei pochi studi longitudinali (cioè quelli che seguono lo stesso gruppo di persone nel corso del tempo), disponibili sulle famiglie create grazie alle biotecnologie e ha coinvolto 65 famiglie britanniche con bambini nati da riproduzione assistita: 22 da gravidanza per altre persone, 17 da donazione di ovuli e 26 da donazione di sperma, dall’infanzia fino alla prima età adulta. Nel corso di una ventina d’anni i ricercatori hanno confrontato queste famiglie con altre 52 formate con concepimento non assistito nello stesso periodo. Ebbene: i risultati confermano che l’assenza di una relazione biologica tra figli e genitori non interferisce con il benessere psicologico dei giovani adulti o nella qualità delle relazioni familiari. “Nonostante le preoccupazioni di molte persone, le famiglie con bambini nati attraverso queste tecniche stanno crescendo bene”, riflette Susan Golombok, che aggiunge: “Se abbiamo notato qualche differenza positiva, è nel gruppo delle famiglie che avevano rivelato subito ai bimbi il modo in cui sono venuti al mondo”.
Riflettendo sui propri sentimenti riguardo alle origini biologiche, i giovani adulti intervistati a loro volta sono risultati sereni, qualcuno si è sentito più consapevole, un po’ più comprensivo nei confronti della lotta che i genitori hanno affrontato per averlo. Come ha detto uno di loro:
“So che non è normale, ma è normale per me. Ed è quello che conta”.
Se dunque non possiamo appellarci a presunti danni o sofferenze di bimbi e bimbe venuti al mondo grazie alla Gpa, se non possiamo condannare persone la cui unica colpa è aspirare a un progetto di genitorialità contraddetto da limiti fisiologici che oggi si possono aggirare (e le coppie etero secondo le stime di cui disponiamo sono oltre il 90% di quelle coinvolte nei percorsi di Gpa) quali sono le aree grigie della procedura su cui sarebbe proprio di una società civile matura confrontarsi in un discorso pubblico non gravato dal peso dell’ideologia?
Il primo ambito è quello dell’autodeterminazione della donna, messa in discussione dalle leggi contrarie alla Gpa. “L’autonomia della gestante per altri, riconosciuta come soggetto etico che dispone di sé, si esercita nel donare a una persona o una coppia la possibilità di essere genitori e a un bambino o bambina di nascere atteso e desiderato da una famiglia che se ne prende cura. Renderlo possibile significa accettare prospettive sulla procreazione diverse da quella tradizionale, ammettere che una gravidanza possa non coincidere con un desiderio personale di maternità, che la genitorialità possa prescindere da genetica e biologia riproduttiva”.
Non è un’esponente militante delle famiglie arcobaleno a scrivere queste parole, ma la pastora valdese Ilenya Goss, che coordina la Commissione per i problemi etici posti dalla scienza, composta da teologi, medici e scienziati delle chiese metodiste, valdesi e battiste, che si è espressa aprendo alla Gpa già nell’estate 2023.
Un altro aspetto critico riguarda il tema del compenso: Gpa solo nella modalità solidale? Questa scelta è già stata fatta da quasi quaranta Paesi nel mondo e lo sarebbe anche in Italia se fosse passata la proposta di legge messa a punto dall’associazione Luca Coscioni.
Eppure, a condizione che sia esclusa qualsiasi forma di sfruttamento, a chi spetta giudicare se una donna, in quanto “soggetto etico che dispone di sé”, possa o meno decidere di offrire la propria capacità di gestazione dietro compenso? In altre parole, quale attore sociale e a che titolo può sindacare la scelta di un’altra persona, una volta che sia stato eliminato il rischio di forzatura o abuso? Non per niente sia la recente direttiva europea contro la tratta, sia altri pronunciamenti delle Nazioni Unite, richiamano all’obbligo di prevenire e contrastare qualsiasi forma di sfruttamento o abuso, ma non escludono la Gpa, nemmeno nella forma commerciale. Così come il contrasto ai matrimoni forzati non implica di opporsi al matrimonio in sé.
“Siamo sicuri che questa posizione così negativa a priori sia la più lungimirante per un Paese che ha visto crollare non solo le nascite, ma anche le adozioni?”.
Certo, non si può negare che il mercato sia presente, anche in forma robusta. Secondo un rapporto di Global Market Insights, una società che elabora dati di mercato, la Gpa commerciale nel 2022 ha realizzato 14,4 miliardi di dollari e potrebbe raggiungere i 129 miliardi nel 2032. Una crescita che si immagina legata soprattutto al diffondersi della conoscenza sulla disponibilità di queste tecniche e all’accesso più facile per il moltiplicarsi delle strutture e delle normative che aprono alla Gpa. Negli Stati Uniti il costo di una procedura varia tra 80.000 e 150.000 dollari, di cui tra i 25 e i 35.000 vanno alla donna portatrice, in Ucraina da 31.000 a 48.000 dollari, di cui tra i 14 e i 17.000 per la donna. Chi ci guadagna, per davvero, come si vede, sono le strutture che gestiscono tutta la procedura.
In Italia la gravidanza per altre persone, vietata da sempre, non può essere inserita tra i livelli essenziali di assistenza di cui fanno parte da gennaio di quest’anno le tecniche di Pma, la procreazione medicalmente assistita. Eppure, se veramente si vuole combattere l’approccio commerciale e, ancora peggio, il rischio di abuso, l’unica strada sarebbe proprio quella di includere la Gpa tra i percorsi a carico del Servizio sanitario nazionale.
Proprio quello che ha scelto di fare la cattolica Irlanda, che nell’estate 2024 ha promulgato la propria legge che regolamenta la procreazione medicalmente assistita nel suo complesso, inclusa la gravidanza per altre persone nella versione altruistica e solidale (e che distanza, umana e culturale con quello che abbiamo visto in Italia). La legge irlandese che governa l’accesso alla Gpa. Si propone di tutelare tutte le persone coinvolte, con particolare riguardo “ai diritti, agli interessi e al benessere dei bambini nati attraverso la Gpa (sia quelli futuri, sia quelli già esistenti), delle portatrici e dei genitori intenzionali”, si legge nell’introduzione al rapporto pubblicato alla conclusione dei lavori legislativi.
Degno di invidia il metodo con cui gli irlandesi sono arrivati alla loro legge: i legislatori, infatti, hanno incaricato un gruppo di lavoro di ascoltare il punto di vista di tutti i portatori di interesse, comprese le persone nate grazie a un percorso di gravidanza solidale, le donne portatrici e le famiglie che hanno vissuto l’esperienza di una genitorialità attraverso la Gpa. “Condividendo le loro storie personali, hanno fornito ai membri del comitato una visione diretta delle sfide che hanno affrontato e continuano ad affrontare nella loro vita quotidiana”, scrivono gli autori del rapporto. Insomma, con pragmatismo e un certo coraggio, la cattolica Irlanda ha voluto affrontare una realtà complessa, riconoscendo che i percorsi verso la genitorialità si stanno trasformando e che la riproduzione medicalmente assistita è diventata un settore dell’assistenza sanitaria che va seguito nelle sue evoluzioni, spesso veloci, per le profonde ricadute che ha sulla vita delle persone.
Davvero l’opposto di quello che avviene nel nostro Paese dove nessuna donna che abbia condotto una gestazione per una coppia che desiderava un figlio è mai stata ascoltata, anzi spesso se ne è negata, a priori, l’esistenza.
Siamo sicuri che questa posizione così negativa a priori sia la più lungimirante per un Paese che ha visto crollare non solo le nascite, ma anche le adozioni: meno 35% in vent’anni la disponibilità a quelle nazionali e meno 73% delle internazionali?
Essere genitore è una delle esperienze straordinarie della vita che permette di provare sentimenti di enorme gioia, amore, orgoglio, emozione e felicità basati su un rapporto positivo e ricco tra adulti e con figli e figlie e non più solo sulle relazioni di parentela definite dal profilo genetico individuale. Si può quindi essere bravi genitori anche grazie a un aiuto solidale, altruistico e magari gratuito nel generare un figlio per costruire un rapporto forte e duraturo e a garanzia dei suoi diritti.
Avere il coraggio di affrontare questa complessità, anche solo con una riflessione il più possibile sgombra di pregiudizi, può rivelarsi un percorso che arricchisce ognuno di noi e la società nel suo complesso. Occorre però deporre le armi ideologiche e aprire gli occhi al mondo reale.
Eva Benelli
Eva Benelli è una giornalista che si occupa da anni di comunicazione istituzionale sanitaria e di promozione della salute. Collabora con l’Istituto superiore di sanità, per cui ha realizzato il portale di epidemiologia EpiCentro. Il suo ultimo libro è Gravidanza per altre persone (Bollati Boringhieri, 2024).
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