Solo un ometto - Lucy
racconto

Francis Scott Fitzgerald

Solo un ometto

05 Ottobre 2024

Un racconto da "Le disavventure di Pat Hobby" di F.S. Fitzgerald, pubblicato da Mondadori nella nuova traduzione di Marco Rossari. Il libro, divertente e amaro, raccoglie le disavventure di uno sceneggiatore fallito in una Hollywood popolata da produttori furbi, aspiranti attrici e scrittori frustrati.

Solo un ometto

Negli ultimi anni di vita Francis Scott Fitzgerald scrisse un bel numero di racconti: amava la forma breve e gli dava da mangiare. Tra questi ci fu un piccolo ciclo di diciassette short stories dove a farla da protagonista c’è un personaggio chiamato Pat Hobby, spiantato sceneggiatore del cinema muto, alcolista e cialtrone, che non riesce a stare al passo con il sonoro, vive di lontani successi e bighellona per gli studios a caccia di un contrattino, combinando solo pasticci. I racconti vennero pubblicati su «Esquire» tra il ’40 e il ’41 (Fitzgerald morì nel ’40) e raccolti in volume solo nel 1962. Alla fine formano un piccolo romanzo, dove Fitzgerald ha la grazia di sempre ma non cerca più di scrivere la grande opera, anzi decide di far ridere il lettore. E ci riesce. Tradurre un piccolo libro così perfetto – quanto a tempismo, dialoghi, situazioni, descrizioni, humour – equivale a portare costantemente il drink all’orecchio e alle labbra per sentire se il ghiaccio tintinna bene, se il mix è calibrato a dovere, se l’ebbrezza è esilarante il giusto. Marco Rossari

Pat Hobby riusciva sempre a intrufolarsi negli studios. Aveva lavorato lì per quindici anni suppergiù – più giù che su, negli ultimi cinque – e quasi tutti gli addetti alla sicurezza lo conoscevano. Se di turno ce n’era uno tignoso che gli chiedeva di mostrare il tesserino poteva sempre fare un colpo di telefono a Lou, l’allibratore. Anche Lou da anni era di casa agli studios.

Pat aveva quarantanove anni. Faceva lo sceneggiatore, sebbene di sceneggiature ne avesse scritte pochine, anzi nemmeno aveva letto tutti i soggetti originali su cui aveva lavorato, perché leggere troppo gli faceva venire un gran mal di testa. Ai bei vecchi tempi del muto prendevi un canovaccio buttato giù da qualcun altro, recuperavi una segretaria sveglia e in poche ore, a botte di benzedrina, gli davi una struttura decente. Alle gag avrebbe pensato il regista. Con l’avvento del sonoro, Pat era stato costretto a fare coppia con qualcuno che scriveva i dialoghi. Di solito un giovanotto che amava lavorare.

«Ho collaborato a un mucchio di film» disse a Jack Berners.

«Ho solo bisogno di una bella idea e di lavorare con qualcuno che abbia un briciolo d’esperienza.»

Aveva attaccato bottone con lui davanti agli uffici della produzione mentre Jack usciva per andare a pranzo, così s’incamminarono insieme verso la mensa.

«Prova a venderla a me, un’idea» disse Jack Berners.

«La situazione è tesa. Non possiamo mettere sotto contratto nessuno, a meno che non abbia una bella idea.»

«Ma come fai a farti venire un’idea senza uno stipendio?» domandò Pat. Poi si affrettò ad aggiungere: «Comunque ce n’è una che mi ronza per la testa, te la potrei raccontare a pranzo».

Chissà, a pranzo forse gli sarebbe venuta l’ispirazione. C’era quella storiella sul boyscout, com’era… Ma Jack rispose tutto allegro:

«Pat, ho un pranzetto con una ragazza. Tu buttala giù e fammela arrivare, ok?»

Jack si sentì crudele perché sapeva bene che Pat non era in grado di scrivere un bel nulla. D’altra parte anche lui aveva i suoi guai con i soggetti. Era appena scoppiata la guerra, e tutti i produttori volevano chiudere il film con l’eroe che partiva per il fronte. E Jack Berners era convinto di avere avuto l’idea per primo in una sua produzione.

«Allora buttamela giù, eh?»

Pat non rispose. Jack lo scrutò: nei suoi occhi vide una specie di disperazione frustrata che gli ricordò suo padre. Pat aveva fatto carriera prima che Jack finisse l’università: all’epoca il nostro aveva tre macchine e una ragazza a ogni angolo di Hollywood. Adesso, stando ai vestiti che portava, aveva l’aria di uno che negli ultimi tre anni avesse vissuto per la strada.

«Fatti un giro e parla con qualche sceneggiatore» disse.

«Se riesci a interessarne uno alla tua idea, passa a trovarmi con lui.»

«Odio tirare fuori un’idea senza niente in cambio» bofonchiò Pat, pessimista. «Questi giovani arrampicatori sarebbero capaci di portarti via anche la mamma.»

Erano arrivati all’entrata della mensa.

«In bocca al lupo, Pat. Forza, sempre meglio che essere in Polonia.»

«… Sei tu quello fortunato a non essere in Polonia» mormorò Pat. «Lì sì che ti metterebbero al muro.»

E ora che fare? Proseguì e gironzolò per il reparto sceneggiatori. Quasi tutti erano andati a pranzo, e quelli che erano ancora lì non li conosceva. C’erano sempre più facce sconosciute. E il suo nome compariva in più di trenta film: come addetto stampa o sceneggiatore, lavorava nel settore da vent’anni.

“Pat aveva quarantanove anni. Faceva lo sceneggiatore, sebbene di sceneggiature ne avesse scritte pochine, anzi nemmeno aveva letto tutti i soggetti originali su cui aveva lavorato”.

L’ultima porta del corridoio apparteneva a un tizio che non gli piaceva. Ma voleva posare le chiappe per qualche minuto, quindi bussò e la aprì. Il tizio non c’era: c’era però una ragazza deliziosa, con l’aria fragile, seduta lì a leggere un libro.

«Penso che abbia lasciato Hollywood» disse lei in risposta alla sua domanda. «Mi hanno dato il suo ufficio ma si sono dimenticati di metterci il mio nome.»

«Sceneggiatrice?» domandò Pat, sorpreso.

«Ci provo.»

«Perché invece non chiede di fare un provino?»

«No, mi piace scrivere.»

«Che cosa legge?» Glielo mostrò.

«Le do una dritta» disse lui. «Non è così che si tira fuori il succo da un libro.»

«Ah, no?»

«Lavoro qui da anni, mi chiamo Pat Hobby, e ne so qualcosa. La cosa migliore è dare il libro a quattro amici perché se lo leggano loro. Si faccia dire che cosa li ha colpiti. Poi lo scrive e il film è bello che pronto, capito?»

La ragazza sorrise.

«È un… un consiglio molto originale, Mr Hobby.»

«Mi chiami Pat» disse lui. «Posso aspettare qui un minuto? Il tizio che dovevo vedere è andato a pranzo.»

Si accomodò davanti a lei e raccattò la copia di una rivista.

«Aspetti, devo mettere un segno alla pagina» s’affrettò a dire lei.

Lui scrutò la pagina che la ragazza voleva segnarsi. Mostrava una serie di dipinti che venivano impacchettati e portati via da una galleria d’arte europea per essere messi in salvo.

«Come pensa di usarla?» chiese.

«Be’, pensavo che non sarebbe stato male mettere lì nei dintorni un vecchio mentre loro impacchettano i quadri. Un povero vecchietto che cerca di dare una mano perché ha bisogno di lavoro. Ma loro non possono sfruttarlo… È solo un ometto tra i piedi: non torna utile nemmeno come carne da cannone. Il mondo ha bisogno di gente giovane e forte. E invece poi salta fuori che è stato lui a dipingere i quadri tanti anni prima.»

Pat ci pensò su.

«Bella, ma non capisco il punto» disse.

«Bah, non è niente di che, forse un cortometraggio.»

«Ha qualche buona idea per il cinema? Io ho le mani in pasta dappertutto.»

«Sono già sotto contratto.»

«Usi uno pseudonimo.» Il telefono squillò.

«Sì, sono Priscilla Smith» disse la ragazza. Dopo un attimo, si girò verso Pat.

«Può lasciarmi sola per un momento? È una chiamata personale.»

Lui colse l’antifona e se ne andò, trottando lungo il corridoio. Trovò un ufficio senza nome, entrò e si addormentò sul divano.

“Era appena scoppiata la guerra, e tutti i produttori volevano chiudere il film con l’eroe che partiva per il fronte”.

Più tardi, nel pomeriggio, tornò in sala d’attesa da Jack Berners. Gli era venuta l’idea di un uomo che in un ufficio conosce una ragazza e pensa che sia una stenografa qualsiasi, invece è una sceneggiatrice. Così la assume come stenografa e partono per i Mari del Sud. Era un buon inizio, qualcosa che poteva proporre a Jack, gli sembrava; e così, sempre con il pensiero a Priscilla Smith, rimaneggiò una vecchia storia rimasta inutilizzata per anni.

La faccenda cominciava a gasarlo: per un attimo Pat si sentì di nuovo giovane e camminò su e giù per la sala d’attesa mentre ripassava mentalmente la prima sequenza. “Allora, abbiamo una situazione tipo Accadde una notte, però diversa. Mi vedo già Hedy Lamarr…”

Ah, quando aveva l’idea giusta, lui sì che sapeva come prendere quella gente, una volta ottenuta la loro attenzione.

«Mr Berners è ancora occupato?» domandò per la quinta volta.

«Eh, sì, Mr Hobby. È in riunione con Mr Costello e Mr Bach.»

Ragionò alla svelta. Erano le cinque e mezzo. Ai vecchi tempi sarebbe già entrato senza bussare e avrebbe venduto l’idea per almeno duemila dollari, perché in quei momenti erano stufi marci di tutto quello che avevano per le mani.

Uscì in corridoio come se niente fosse e imboccò un’altra porta. Sapeva che dava su un bagno, e che il bagno portava direttamente all’ufficio di Jack Berners. Fatto un bel sospiro, si buttò…

«… E quindi l’idea è questa» concluse cinque minuti dopo. «È solo un abbozzo, niente di strutturato, ma se mi dai un ufficio e una ragazza posso farti avere qualcosa di scritto nel giro di tre giorni.»

Berners, Costello e Bach non ebbero nemmeno bisogno di guardarsi. Berners parlò a nome di tutti, in tono gentile ma fermo:

«Pat, questa non è un’idea. Non ti posso dare uno stipendio per una roba del genere.»

«Perché nel frattempo non la sviluppi un po’ per conto tuo?» suggerì Bill Costello. «E poi staremo a vedere. Siamo a caccia di idee: soprattutto sulla guerra.»

«Con uno stipendio è più facile pensare» disse Pat.

Scese il silenzio. Costello e Bach avevano bevuto con lui, giocato a poker con lui, erano andati alle corse con lui. Sarebbero stati sinceramente felici di non vederlo più così malridotto.

«La guerra, eh?» disse incupito. «Adesso c’è solo la guerra, poco importa quanti film hai fatto. Sapete cosa mi viene in mente? Mi viene in mente un grande pittore dimenticato. È tempo di guerra e quindi lui non serve a niente: è solo un ometto tra i piedi.» Si scaldò come se parlasse di sé stesso: «… Ma intanto quelli stanno mettendo in salvo i suoi stessi dipinti come se fossero la cosa più importante del mondo. E non mi lasciano nemmeno dare una mano. Ecco cosa mi viene in mente sulla guerra».

“Pat uscì a passo svelto, con una nuova fiducia nello sguardo. Cinquecento dollari: sarebbero bastati per tirare il fiato, e poi spesso riuscivi a stiracchiare le due settimane fino a tre”.

Per un attimo scese di nuovo il silenzio.

«Non è male come idea» disse Bach, pensoso. Si girò verso gli altri. «Vero o no? In sé…»

Bill Costello annuì.

«Niente male davvero. E so anche dove potremmo infilarla. Proprio alla fine della quarta sequenza. Basta trasformare il vecchio Ames in un pittore.»

Si misero a ragionare di soldi.

«Ti do due settimane per buttarla giù» disse Berners a Pat. «A due e cinquanta.»

«Due e cinquanta!» protestò Pat. «Una volta mi pagavi dieci volte tanto!»

«Era dieci anni fa» gli ricordò Jack. «Mi dispiace. Di più non possiamo.»

«Mi fate sentire come quel vecchio pittore…»

«Non tirare la corda» disse Jack, mentre si alzava in piedi con un sorriso. «Intanto sei a libro paga.»

Pat uscì a passo svelto, con una nuova fiducia nello sguardo. Cinquecento dollari: sarebbero bastati per tirare il fiato, e poi spesso riuscivi a stiracchiare le due settimane fino a tre, a volte perfino a quattro. Uscì dallo studio per l’ingresso principale, bello impettito, e fece tappa allo spaccio per comprare del whisky da portarsi nella sua stanzina.

Ora delle sette, la vita gli sembrava anche più bella. Il giorno dopo, se fosse riuscito a ottenere un anticipo, sarebbe potuto andare alle corse di Santa Anita. Ma quella sera… quella sera bisognava festeggiare in qualche modo. Con un improvviso brivido di piacere, scese al telefono pubblico nell’ingresso della pensione, chiamò lo studio e chiese il numero di casa di Priscilla Smith. Non incontrava una ragazza tanto carina da secoli…

Al telefono il tono di Priscilla Smith fu piuttosto secco.

«Mi dispiace molto» disse lei, «ma proprio non posso… No, e sono occupata anche per tutto il resto della settimana.»

Quando riattaccò, Jack Berners le rivolse la parola dal divano.

«Chi era?»

«Bah, un tizio che oggi è passato dal mio ufficio» ridacchiò, «e mi ha detto di non leggere mai la storia su cui sto lavorando.»

«Ti devo credere?»

«Eccome. Fra poco mi verrà anche in mente il suo nome. Ma prima voglio raccontarti un’idea che mi è venuta stamattina. Stavo guardando una foto su una rivista: impacchettavano alcune opere d’arte alla Tate Gallery di Londra. E ho pensato…»

Solo un ometto -

Questo racconto è un estratto da Le disavventure di Pat Hobby di F.S. Fitzgerald, uscito da poco per Mondadori nella nuova traduzione di Marco Rossari.

Francis Scott Fitzgerald

Francis Scott Fitzgerald è stato uno scrittore statunitense, considerato il più grande esponente dei Ruggenti Anni Venti. Tra i suoi capolavori Il grande Gatsby e Tenera è la notte.

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