Roberta Misasi
27 Novembre 2024
Un nuovo disegno di legge in discussione alla Camera sembra voler eliminare lo storico numero chiuso per l’ingresso nella facoltà di Medicina, salvo poi inserire un diverso sbarramento dopo pochi mesi di corso: siamo davvero sicuri che sia una soluzione migliore?
La storia dell’accesso ai corsi di laurea in Medicina nelle università italiane è complessa. L’ultimo atto è stato scritto dalla VII Commissione del Senato, che nella seduta del 16 ottobre scorso ha approvato l’abolizione dei test di ingresso per Medicina, Odontoiatria e Veterinaria. Nel comunicato, la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini ha parlato di un “passo storico per garantire a tutti i ragazzi l’opportunità di diventare professionisti in ambito medico”. Ora l’iter proseguirà con la discussione in Aula, per poi passare alla Camera.
Se anche lì passerà il disegno di legge, dopo un semestre ad accesso libero ai corsi di laurea, si potrà accedere al secondo semestre e proseguire nel percorso di studio a condizione di aver conseguito tutti i crediti formativi previsti per il primo semestre sulla base di una graduatoria nazionale. Gli studenti non ammessi al secondo semestre potranno utilizzare i crediti formativi acquisiti per iscriversi ad altri corsi di laurea.
Ma di cosa parliamo, esattamente, quando parliamo di numero chiuso? Intanto è bene fare una prima distinzione: quella tra numero chiuso e numero programmato., Due modalità che pur avendo delle analogie (accesso regolamentato ai corsi di laurea attraverso una prova di ammissione e una conseguente selezione), presentano una differenza di fondo.
I corsi ad accesso programmato a livello nazionale sono gestiti interamente dal Ministero dell’Istruzione, che ne decide tempistiche e modalità, e fanno riferimento per ogni facoltà ad un’unica graduatoria nazionale che comprende tutti gli atenei d’Italia. A questa categoria appartengono oggi i Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi dentaria, Veterinaria e Medicina in lingua inglese delle Università pubbliche. Il numero programmato riflette i requisiti formativi indicati nella normativa europea sulla libera circolazione dei laureati. Il numero di studenti ammessi di anno in anno è determinato dai Ministeri competenti su indicazione della Conferenza Stato-Regioni e sulla base del fabbisogno di laureati e della capacità formativa delle strutture.
I corsi di laurea a numero chiuso invece, vengono amministrati dai singoli atenei, sulla base di proprie esigenze e con modalità scelte in autonomia, quali tipologie e date dei test, numero di posti a disposizione, criteri di formazione delle graduatorie.
Dunque, Medicina e Chirurgia è un corso di laurea con accesso a numero programmato, che nessuna ipotesi costruttiva – cioè rispondente alle esigenze di un Paese civile, che voglia garantire una formazione di qualità – può pensare di abolire, almeno nelle attuali condizioni di risorse, disponibilità ed esigenze.
Infatti, anche il nuovo ddl, che prevede una iscrizione libera al corso di laurea in medicina, prevede altresì una selezione alla fine del primo semestre, sulla base della consueta programmazione.
Breve storia del numero programmato a Medicina
Il numero programmato per l’accesso ai corsi di laurea in Medicina e Odontoiatria nelle università è dunque un tema cruciale, influenzato, come detto, non solo dalle esigenze nazionali, ma anche dalle direttive europee che disciplinano la formazione dei professionisti sanitari.
La proposta di introdurre una selezione per l’accesso a medicina, da parte dell’allora vicepresidente della VII Commissione del Senato Ortensio Zecchino nel 1987, fu, almeno inizialmente, la risposta all’ingolfamento delle facoltà mediche negli anni Settanta e Ottanta, e alla proliferazione del numero dei medici con il conseguente scadimento della qualità della loro formazione. Nel 1969 il decreto Codignola aveva infatti liberalizzato gli accessi a medicina, e nel 1971 le nuove iscrizioni furono 20.000, determinando seri problemi di funzionamento delle strutture. La proposta di Zecchino seguiva di un anno l’inizio del lungo processo, durato oltre 10 anni, di riforma dell’ordinamento didattico, la cosiddetta “Tabella XVIII”, che cercava di adeguare la filosofia della pedagogia medica italiana ai processi innovativi di insegnamento della medicina in corso negli atenei di larga parte del mondo occidentale. All’interno di questo quadro evolutivo la programmazione del reclutamento era una garanzia a protezione della qualità della formazione e di allineamento tra la capacità formativa delle università e le esigenze della sanità pubblica.
“Medicina e Chirurgia è un corso di laurea con accesso a numero programmato, che nessuna ipotesi costruttiva – cioè rispondente alle esigenze di un Paese civile, che voglia garantire una formazione di qualità – può pensare di abolire”.
La svolta arrivò ufficialmente il 2 agosto del 1999, con l’approvazione della Legge n. 264/1999 sulla base di un disegno di legge di iniziativa governativa – presentato sempre da Ortensio Zecchino, nel frattempo diventato ministro dell’Università – che sanciva l’introduzione del numero programmato in alcune delle facoltà cosiddette scientifiche. Nonostante le notevoli manipolazioni avvenute nel corso degli anni e le continue minacce di abolizione, questa Legge è oggi ancora in vigore.
L’allora MIUR ha dunque adottato il numero programmato per l’accesso a medicina per garantire una formazione di qualità, consapevole delle risorse limitate delle università e delle strutture ospedaliere. L’idea era di garantire che gli studenti ricevessero un’istruzione adeguata e che il tirocinio pratico fosse gestito in modo efficiente. Inizialmente, la ripartizione dei posti disponibili era stabilita su base locale, ateneo per ateneo. C’è stato infatti un periodo in cui i giovani si trovavano a concorrere esclusivamente per l’Università presso cui decidevano di sostenere l’esame di accesso. In questo modo, però, il punteggio minimo sufficiente per ottenere l’accesso variava necessariamente da un Ateneo a un altro, determinando notevoli discriminazioni. Uno studente escluso in una determinata Università, a causa del proprio punteggio, avrebbe infatti potuto accedere senza problemi in un’altra in cui la soglia per l’ammissione fosse risultata più bassa, anche solo in virtù di un diverso rapporto tra numero delle domande e posti disponibili. A questa prima legge si aggiunse poi la L.296/2006 che introduceva il test di ammissione nazionale. Le due norme fondamentali recepiscono due direttive della Comunità Europea volte a garantire il riconoscimento di alcune lauree sul territorio comunitario e quindi la possibilità per alcuni professionisti di spostarsi liberamente e operare su tutti i paesi dell’Unione. A fronte di questa opportunità, l’Unione Europea richiede che gli Stati membri rispettino requisiti formativi comuni, conformi a standard elevati di qualità educativa per garantire competenze equivalenti, facilitando così la mobilità professionale all’interno dell’Unione.
Metodi per la selezione
Ma come si giudica la bontà e la giustezza di un processo di selezione? Si dice solitamente che per essere un processo di selezione efficace deve essere “valido”, intendendo con questo che gli strumenti utilizzati dovrebbero essere in qualche modo predittivi della validità del futuro comportamento dei candidati), dovrebbe essere statisticamente ripetibile in termini di risultati, quanto più possibile lontano (libero) da critiche legali o etiche, realizzabile in termini di risorse, umane, economiche e logistiche e non può assolutamente creare discriminazioni, garantendo pari opportunità a tutti gli studenti.
I test per medicina sono validi, allora, secondo queste coordinate? Gli studi e le valutazioni che nella letteratura internazionale hanno per oggetto i sistemi di accesso a medicina non offrono evidenze univoche a riguardo Tuttavia, gli unici studi che presentano risultati attendibili in proposito sono quelli che riguardano le correlazioni tra i risultati nei test di accesso (molto simili a quelli che stiamo utilizzando da noi) e i risultati nella carriera accademica che ottengono gli studenti. Non esiste però nessuna evidenza riguardo all’esistenza di test, o meglio di un percorso di selezione, che sappia individuare il potenziale “medico esperto” che noi vogliamo formare.
Il problema fondamentale consiste nella difficoltà di misurare alcune delle caratteristiche declinate. Di contro, l’alto numero di partecipanti alla selezione sembra essere, entro certi limiti, un fattore che favorisce l’efficacia del processo di selezione. Chris Mc Manus e Charles Vincent, docenti di psicologia ed esperti di “Medical Education” (rispettivamente all’ University College London e all’ Imperial College London), riportano in un loro studio i cosiddetti “tratti canonici” della selezione, da cui derivano una serie di tipologie di test e metodi surrogati utilizzati a tutt’oggi in ogni parte del mondo. Va senz’altro aggiunto che al di fuori dell’Italia, nella maggior parte dei casi il risultato del test prescritto non è l’unico fattore preso in considerazione per l’accesso e, spesso, più tipologie di test sono applicate contemporaneamente.
In Italia si è ragionato a lungo sulla necessità di una revisione della metodologia attuale per regolamentare il numero programmato e l’accesso ai corsi di laurea in medicina e odontoiatria. Questa revisione dovrebbe tener conto del reale fabbisogno di medici e specialisti nei prossimi anni, assicurando al contempo la sostenibilità dei corsi e il mantenimento degli standard di qualità richiesti dall’Europa. Il sistema dovrebbe inoltre consentire di rispondere in modo efficace alle esigenze di salute del nostro Paese e dovrebbe altresì assicurare l’opportuna occupabilità dei giovani laureati, anche nei settori specialistici più bisognosi e critici.
Nell’anno accademico 2023-2024 l’accesso a medicina ha subito una prima modifica, sperimentando una nuova modalità di accesso elaborata dal ministero. Il TOLC-MED, così chiamato, fu molto criticato e, nelle more di verifiche sulla sua efficacia, fu comunque immediatamente sostituito nell’ anno successivo, ritornando ad una tipologia di test analoga a quella in uso negli anni precedenti. Salvo poi, recepire la sentenza 8005/2024 del Consiglio di Stato che riconosceva nell’ottobre scorso in via definitiva il valore del test d’accesso TOLC-MED.
In linea con la necessità di migliorare il sistema di selezione, il MUR stesso ha messo in atto, non più tardi dello scorso anno, delle politiche di orientamento e tutorato che hanno visto il finanziamento con oltre 1 milione di euro di un progetto (MUR POT – MOOD) (Basili S. et al. Med.Chir. 2023, 88:3969-3970), presentato da 40 diverse sedi universitarie, Sapienza capofila, e volto a realizzare la formazione pre-accesso a Medicina e Odontoiatria, standardizzata, pubblica e gratuita su tutto il territorio nazionale. Questa si annovera tra quelle iniziative che sostengono uno degli aspetti irrinunciabili della formazione in medicina, come la garanzia di equità e pari opportunità per tutti gli studenti.
Quali garanzie auspichiamo
Come si può dedurre da un’analisi anche solo parziale del problema, quello del reclutamento degli studenti che chiedono di accedere ai corsi di laurea in medicina non è un problema di facile soluzione. Che non presenta solo risvolti strutturali e educativi ma anche etici. Gli studenti vanno ospitati in edifici capienti e sicuri con una strumentazione per lo svolgimento delle lezioni tecnologicamente all’altezza: occorre essere consapevoli che le strutture attuali non potrebbero accogliere un numero di studenti significativamente maggiore di quelli che sono ammessi con l’attuale numero programmato. Usiamo la didattica a distanza, si dice, ma l’esperienza del Covid-19, ha dimostrato che non è una soluzione efficace e rispettosa dei profili etico-culturali di una buona formazione, soprattutto in medicina.
Il numero programmato per l’accesso a medicina consente di mantenere la qualità dell’insegnamento e garantisce una buona standardizzazione delle competenze, in linea con le direttive europee. Infatti la formazione medica è complessa e richiede un’intensa interazione tra studenti e docenti, fatta anche di adeguate opportunità di tirocinio pratico. Perché un percorso formativo in medicina sia efficace e risponda ai bisogni di salute della società fornendo professionisti qualificati, il numero di studenti deve essere commisurato alle risorse strutturali e umane, deve essere pedagogicamente sostenibile.
Quello proposto nel Testo Unico del DDL approvato, non è un percorso di selezione che mette in campo innovazioni che abbiano una base scientifica sperimentale ma si basa su un modello francese, attualmente messo in discussione dalla stessa Francia ), che mostra diversi aspetti critici.
Un semestre comune, aperto a tutti non è pedagogicamente sostenibile e in grado di garantire la qualità attuale, sarebbe infatti inevitabile ricorrere ad una formazione a distanza. Questa si prevede basata su presupposti culturali molto simili a quelli che sono oggi utilizzati nel test di ingresso, ma frammentando e dilazionando il processo all’interno di ogni sede, dove sarà davvero difficile garantire una uniformità nei giudizi e nelle valutazioni di chi seguirà questo percorso. Altro aspetto critico è la conclusione della selezione alla fine del primo semestre, che implica la necessità di riposizionamento (a metà anno accademico!) in altri percorsi formativi di quegli studenti che non si sono collocati utilmente in graduatoria. Quest’ultimo aspetto produce sia un effetto particolarmente disincentivante e gravemente lesivo della considerazione professionale degli altri percorsi che, a questo punto, sarebbero considerati inevitabilmente una scelta di ripiego, sia possibili ricadute in termini di costi sociali sugli studenti e sulle loro famiglie.
La proposta della VII Commissione del Senato, pur muovendo da buone intenzioni, almeno in parte condivisibili, e da concrete esigenze, deve essere rivista in punti non marginali, anche per tener conto di un ulteriore, non secondario problema: il mantenimento di un agevole inserimento nel mondo del lavoro di giovani professionisti qualificati e motivati, al termine di un percorso formativo impegnativo e prolungato come in nessun’altra disciplina.
Al riguardo non è superfluo sottolineare che, come segnalato da tempo dal Presidente della CRUI, il sistema universitario nel suo complesso sta già realizzando l’obiettivo principale del Disegno di Legge: “Il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in termini di numero di medici…”, attraverso l’incremento dei posti in pochi anni di complessive 30.000 unità.
Ma non solo. Uno specifico Gruppo di lavoro della medesima Conferenza dei Rettori ha predisposto una proposta che, come osservano i Presidenti di CLM in Medicina, costituisce un “ottimo modello flessibile e inclusivo in grado di promuovere le vocazioni e le attitudini individuali, garantendo equità, pari opportunità, funzionalità e sostenibilità, con il merito come principale fondamento”.
“Il numero programmato per l’accesso a medicina consente di mantenere la qualità dell’insegnamento e garantisce una buona standardizzazione delle competenze, in linea con le direttive europee”.
La proposta CRUI prevede in sintesi un semestre obbligatorio (e gratuito) per tutti gli aspiranti medici, con corsi online e approfondimenti in presenza, da svolgersi da gennaio a settembre seguito poi dal test di ammissione da completarsi entro ottobre.
In chiusura, un’ulteriore considerazione, seppure a margine, merita di essere fatta. Qualunque sia il criterio (o i criteri) adottati per selezionare gli studenti che potranno accedere ai corsi di laurea in medicina (una soglia massima ci sarà sempre e comunque, come lo stesso Disegno di legge indica), resta irrisolto un nodo cruciale per l’intero sistema di gestione della salute pubblica in Italia: garantire condizioni attrattive per i professionisti impegnati nella sanità pubblica, in termini di remunerazioni, produttività, strumentazioni, infrastrutture, sicurezza. Tutti fattori che, al momento, attraggono i neo-medici fuori dall’Italia.
Roberta Misasi
Roberta Misasi è Professore associato nel dipartimento di “Medicina sperimentale” nell’Università “La Sapienza” di Roma. Svolge la sua attività di ricerca presso il Laboratorio di Biochimica e Immunologia dei Lipidi dello stesso ateneo, collabora con diversi gruppi di ricerca nazionali e internazionali e, in particolare, si occupa di immunologia.
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