Bella brotox! - Lucy
articolo

Francesco Avallone

Bella brotox!

15 Marzo 2024

Vanitosi e insicuri, gli uomini ricorrono sempre più spesso a chirurgia estetica e cosmetica. Tra incel, filtri social, modelli di bellezza maschile irraggiungibili, paura di invecchiare e ansie varie, il racconto di un fenomeno molto vasto e composito.

L’estate scorsa sono tornato per alcune settimane nel luogo da cui provengo, un paesino di mare di circa trentamila abitanti in provincia di Napoli. Guardandomi attorno – passeggiando in spiaggia, in fila in salumeria, a cena in un ristorante – mi sono reso conto con sorpresa che, rispetto a un tempo, c’erano molte più donne e ragazze con nasi rifatti, facce tirate, iniezioni di botox, e quella duck face tipica di chi si riempie le labbra di filler. Quello che ricordavo un posto semplice, per lo più immune dai vari trend cosmetici e chirurgici, aveva finito per assorbire un’estetica da cyborg che richiamava un misto tra le Real Housewives of Beverly Hills e Gomorra.

Ho ripensato così a quando tempo fa un amico medico mi mostrò la foto di un suo collega. A prima vista aveva un aspetto ordinario: barba folta, capelli ricci e occhiali da vista. E invece, secondo il mio amico, la persona in foto si sottoponeva regolarmente a punture di botox – uno dei nomi commerciali della tossina botulinica, le cui iniezioni servono a bloccare le contrazioni muscolari del viso per conferirgli un aspetto più giovane – e così prevenire gli effetti negativi dell’invecchiamento sul viso. L’uomo avrà avuto al massimo trentacinque anni.

Medicina estetica e chirurgia plastica attraggono sempre più clienti d’ogni genere, anche persone insospettabili, da cui non ci si aspetterebbe un desiderio così intenso di modificare il proprio aspetto fisico: ragazzi e ragazze piuttosto giovani, di ceto medio-basso, o comunque già di bella presenza. Sappiamo che l’interesse per le procedure cosmetiche è maggiore tra le donne e gli uomini gay rispetto agli uomini etero. In ogni caso, di recente si è osservato un aumento significativo di uomini che ricorrono al botox e altri trattamenti iniettabili per il viso. L’American Society of Plastic Surgeons ha stimato che nel 2022 negli Stati Uniti circa 526 mila uomini ne abbiano fatto ricorso – un incremento del 65% rispetto al 2019. L’Italia è all’ottavo posto nella classifica mondiale del numero di iniezioni con tossina botulinica, e settima per numero totale di interventi non-chirurgici di medicina estetica. 

“Mi sono reso conto con sorpresa che, rispetto a un tempo, c’erano molte più donne e ragazze con nasi rifatti, facce tirate, iniezioni di botox, e quella duck face tipica di chi si riempie le labbra di filler”.

Se è difficile reperire dati e statistiche che certifichino l’orientamento sessuale di chi ricorre alla medicina estetica, molti specialisti, di fatto basandosi sulle proprie inferenze, riferiscono di avere notato un incremento della clientela tra gli uomini etero piuttosto che tra quelli gay. Questo aumento è così rilevante che online si parla di brotox, neologismo che, come si può intuire, deriva dalla combinazione delle parole bro (gergo per fra’, fratello) e botox, appunto.

Nel descrivere brevemente il fenomeno, il Guardian ironizza sul desiderio di molti uomini di somigliare a Ken, il personaggio di Barbie di Greta Gerwig interpretato da Ryan Gosling – che, non a caso, è una celebrità che occupa le fantasie sessuali di molte donne americane e quelle mimetiche di molti uomini. Ken inoltre, scrive la giornalista Louise Perry, sarebbe un simbolo della caduta dei ruoli maschili tradizionali. Ken non deve fare nulla, non ha nessuna responsabilità, nessun lavoro da svolgere; a Barbieland non ci sono persone da salvare o proteggere, persino“i suoi addominali sono inutili, perché la sua società non ha bisogno né di forza fisica né di attrazione sessuale, dato che il suo pacco di plastica gli preclude la possibilità di fare sesso”. È solo bello. È solo Ken. 

Insomma, Ken rappresenterebbe lo spirito del tempo. La contemporaneità è estenuante, basta responsabilità, vogliamo solo essere attraenti. E possibilmente esserlo per noi stessi, per sentirci empowered, mica per piacere agli altri. Che anche gli uomini si interessino al proprio aspetto non è di certo una novità, e la celebrazione della bellezza maschile e della giovinezza ha sempre trovato spazio nel corso della storia. È il progresso tecnologico dell’industria cosmetica ad aver reso possibili quelle procedure che ci permettono di modificare viso e corpo, potendo contare su una domanda e una clientela potenzialmente senza fine. Dopo tutto, chi non vorrebbe essere attraente? Se sembrare più giovani o più belli è possibile grazie a queste procedure, perché non farvi ricorso?

Figlio della contemporaneità è quello che qualche decennio fa definivamo metrosessuale, un uomo eterosessuale che tiene molto al proprio aspetto, che se ne prende cura, che per apparire bello e alla moda fa uso di cosmetica e trattamenti estetici, senza paura di sembrare troppo “femminile”. Oggi, il suo equivalente si potrebbe piuttosto definire, come proposto in modo provocatorio da Katherine Dee, transessuale male-to-male. Molte persone trans (female-to-male o male-to-female) accentuano i tratti di mascolinità o femminilità per rappresentare in modo inequivocabile il genere in cui si identificano. Allo stesso modo molti uomini incarnano una forma esasperata, quasi caricaturale, di mascolinità, che è drag.

Viene in mente Andrew Tate, il bro per eccellenza, imprenditore e personalità online molto amata da giovani uomini, famoso per le sue posizioni controverse sulle donne e sul rapporto tra i sessi. La sua iper-mascolinità fa quasi sorridere, è una performance, forse non indirizzata alle donne. (Un utente su Twitter ha commentato così una foto di Tate a torso nudo: “Non finirò mai di ripetere che questo tipo di corpo forse è attraente solo per gli uomini gay”).

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Anche se il neologismo brotox è un evidente richiamo alla mascolinità dei suoi consumatori (un po’ come quel brand di trucco per uomini dal nome war paint), in verità questo ricorso alla medicina estetica da parte degli uomini non si può considerare esattamente roba da machi tradizionali. Piuttosto, la cura di sé e la vanità sono stereotipicamente associate alle donne e agli uomini gay.

Da un lato, c’è il desiderio di enfatizzare la propria mascolinità; dall’altro, questa stessa mascolinità viene “femminilizzata” da un interesse crescente per la cura di sé. Questo paradosso è esemplificato non solo da figure come Ken/Gosling, che incarnano sia la bellezza maschile che una sorta di virilità “castrata”, ma anche da uno dei maschi alpha che più hanno influenzato gli ultimi decenni della storia e della cultura italiana: Silvio Berlusconi. Già noto come playboy, tombeur de femmes, gli interventi a cui si era sottoposto Berlusconi, tra cui diversi trapianti di capelli e altre operazioni cosmetiche, lasciavano trasparire una particolare attenzione all’estetica che solitamente non veniva concessa agli uomini etero, nonché una buona dose di vanità.

La vanità, l’abbiamo detto, è stata a lungo considerata un attributo tipicamente femminile, ma non si può analizzare questo concetto senza parlare di uomini gay (un meme popolare recita: la cultura gay è pensare che i tuoi problemi attuali saranno risolti una volta diventato più attraente). Uno dei libri più illuminanti che ho letto si chiama The Velvet Rage, in cui lo psicoterapeuta Alan Downs discute di come, da bambini, essere gay ci porti a interiorizzare un senso di vergogna che deriva dalla consapevolezza di essere sbagliati, dato che cresciamo in un contesto che ci fa capire in tutti i modi che i nostri desideri e comportamenti non conformi sono da reprimere. Il primo passo per affrontare la vergogna è quello di nascondere il proprio orientamento sessuale; il secondo, quello di trovare modi per compensare la vergogna e per non provarne più. Scrive Downs:

“Se sei dichiarato, non nascondi più quel ‘piccolo sporco segreto’ su di te, ma probabilmente continuerai a nascondere il tuo vero Io dietro la bellezza. E nessuno sa creare stile più degli uomini gay. Decoriamo il mondo. Decoriamo le nostre vite. Decoriamo i nostri corpi. E lo facciamo nel tentativo di nascondere al mondo il nostro vero Io. Gli uomini gay sono esperti mondiali di stile, moda, galateo, bodybuilding, arte e design. In ognuno di questi campi gli uomini gay predominano.” 

La vergogna spingerebbe quindi gli uomini gay a diventare “drogati di validazione”. Non si tratta di quel normale bisogno di accettazione che è parte della psicologia umana, ma di una ricerca ossessiva, tanto da accettare forme inautentiche di validazione, in primis quella di piacere agli altri soprattutto per come si appare. 

L’edizione più recente del saggio di Downs è di oltre dieci anni fa, e una critica che gli si potrebbe muovere è che ormai, in contesti che accettano sempre di più l’omosessualità, questo bisogno eccessivo di validazione, di piacere a tutti i costi, riguarda tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale. Siamo tutti in vetrina, ci guardiamo costantemente, le nostre facce si riflettono sugli schermi neri dei nostri telefoni o nelle videochiamate su Zoom, e, complici i social media, non siamo mai stati esposti a così tanti volti contemporaneamente.

Molti personaggi famosi che vediamo sui social o in televisione hanno cinquanta o sessant’anni, ma ne dimostrano trentacinque o al più quaranta – illudendoci che sia tipico che un sessantenne abbia quel tipo d’aspetto. E tutti abbiamo qualcosa di cui parlare o da vendere, che sia un libro o il proprio OnlyFans. È facile deridere chi si rifà i connotati, ma se essere belli implica poter ottenere una serie di vantaggi, si può davvero biasimare chi aspira a modificarsi per risultare più attraente?

La letteratura scientifica sul tema sembra puntare in un’unica direzione: la bellezza è un capitale che dà accesso a risorse quali amore, affetti, validazione, successo, migliori opportunità lavorative. Ad esempio, uno studio longitudinale (che può meglio identificare rapporti di causa-effetto) riporta che le persone più attraenti godono di livelli più alti di benessere psicologico rispetto a quelle meno attraenti. E questa associazione non è spiegabile in termini di differenze di livello educativo, status relazionale, benessere fisico, o reddito. C’è poi da considerare il cosiddetto “effetto alone”, un bias cognitivo che descrive la nostra propensione a pensare che una persona attraente possegga anche una serie di altre qualità positive, risultando di conseguenza più piacevole. 

“Siamo tutti in vetrina, ci guardiamo costantemente, le nostre facce si riflettono sugli schermi neri dei nostri telefoni o nelle videochiamate su Zoom, e, complici i social media, non siamo mai stati esposti a così tanti volti contemporaneamente”.

Sono argomenti questi di cui i progressisti online, ossessionati da temi legati a discriminazioni e privilegio, discutono solo superficialmente, per lo più in termini di pretty privilege o in linea con una body positivity all’acqua di rose. Negli ultimi anni sono aumentate le infografiche e i TikTok su quanto tutti i corpi siano validi, ma il nostro desiderio di essere attraenti non sembra essere diminuito. I principi alla base del movimento body positive sarebbero anche giusti e condivisibili: le persone brutte o grasse non vanno trattate male o stigmatizzate; dobbiamo dare meno importanza alla bellezza e accettarci così come siamo.

Tuttavia, c’è una discrepanza evidente tra l’ideale di accettazione corporea promosso e le pratiche effettive di presentazione di sé: le modelle grasse hanno volti attraenti o comunque ritoccati con Photoshop, e alcune attiviste della body positivity spesso si mostrano in video utilizzando filtri che alterano il viso. 

L’effetto collaterale di questi movimenti online potrebbe essere quello di portare attenzione a tratti del viso o caratteristiche del corpo la cui importanza verrebbe altrimenti trascurata (Non vergognarti dei tuoi fianchi larghi! Amati anche con le rughe di espressione!). Combinato all’esposizione continua a corpi e volti ritoccati, tutto ciò rischia di accentuare quella che in psicologia si chiama auto-oggettivazione. L’auto-oggettivazione è una forma di auto-scrutinio eccessivo, una tendenza a sorvegliare il proprio corpo come se a osservarlo fosse lo sguardo esterno di un estraneo giudicante. Ne derivano una serie di conseguenze negative sul benessere psicofisico, tra cui ansia, depressione, disturbi alimentari e dell’immagine corporea.

Non sorprenderà il fatto che sono più le donne a essere vittime di questo fenomeno. Eppure, come tra gli altri aveva già osservato Elisa Cuter, esiste una categoria di giovani uomini di cui si è molto sentito parlare negli ultimi anni e che ha fatto del disprezzo di sé e dell’auto-oggettivazione le basi della propria presenza online: quella degli incel. Gli incel – termine che deriva dall’unione delle parole involuntary e celibate, celibi involontari – sono per lo più ragazzi che sostengono di non essere amabili (e sicuramente non scopabili) perché non avrebbero il look, lo status, o i soldi, necessari per attrarre le donne. Per gli incel sono due le soluzioni possibili: prendere la redpill, e provare a “looksmaxxare”, ovvero massimizzare il proprio aspetto – e in questo caso il disprezzo per il proprio corpo è anche una spinta a cambiarlo; o prendere la blackpill, e rassegnarsi a una vita di rancore e solitudine. Se è vero che i forum degli incel sono pregni di disprezzo per le donne, c’è da dire che su una cosa hanno ragione: con buona pace dell’attivismo body positive, una gerarchia della bellezza e dell’attrattività sessuale e romantica esiste eccome. Se essere dei Chad (boni, nel gergo incel) fa sì che si ottengano più opportunità in termini di selezione dei partner e persino lavorative, allora coloro che cercano di modificare il proprio volto – ad esempio con iniezioni di filler alla mascella per ottenere un aspetto più mascolino e attraente – si comportano in modo perfettamente razionale.

Spesso gli standard di bellezza vengono definiti “irrealistici”, ma abbiamo visto come la recente popolarità della medicina estetica li abbia resi sempre più comuni e accessibili. Di solito funziona così: un nuovo trattamento cosmetico arriva sul mercato, e inizialmente è accessibile solo a pochi.

Dopo qualche tempo la domanda aumenta e i prezzi si abbassano (un trattamento con tossina botulinica costa in media poche centinaia di euro). Di fatti, tra i clienti principali della medicina estetica ci sono tante persone benestanti, quante di classe media. Quest’ultime, rivolgendosi a tali procedure, potrebbero voler comunicare di avere uno status socioeconomico più elevato rispetto a quello a cui appartengono. 

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La bellezza da cyborg a cui alcuni aspirano non è quindi irrealistica, né irraggiungibile, ma ottenibile solo artificialmente. A essere artificiale, ad esempio, è la cosiddetta Instagram face, di cui scriveva qualche anno fa Jia Tolentino sul «New Yorker». La Instagram face mette insieme i tratti migliori di varie etnie, ha una mascella ben definita, zigomi alti, occhi da gatta, ciglia lunghe, labbra carnose, naso piccolo; insomma, un misto tra le sorelle Kardashian e supermodelle come Bella Hadid ed Emily Ratajkowski. La versione maschile del volto “ideale”, che ho trovato su TikTok, è molto più semplice: basta che sia mascolina, con una mascella pronunciata, e la parte superiore del viso leggermente più stretta di quella inferiore.

Di artificiale non ci sono solo i volti da cyborg, ma anche la presunzione di poter andare indietro nel tempo o di fermarlo. Abbiamo paura di diventare vecchi, perché alla vecchiaia associamo una serie di conseguenze sgradevoli: solitudine, meno sesso, difficoltà con le relazioni romantiche. (Mi è capitato più volte che uomini più grandi di me mi dicessero: il mondo ti tratterà diversamente una volta superati i quarant’anni.) Di ageismo, la discriminazione basata sull’età, si parla poco, nonostante probabilmente vi andremo tutti in contro. Come scrive Michel Houellebecq in Le possibilità di un’isola: “La differenza d’età era l’ultimo tabù, l’ultimo limite, tanto più forte dato che restava l’ultimo ad aver rimpiazzato tutti gli altri. Nel mondo moderno si poteva essere scambisti, bisex, trans, zoofili, SM, ma era vietato essere vecchi”. 

Bloccare il processo di invecchiamento, persino la morte, è la missione di vita di Bryan Johnson, un imprenditore miliardario del settore tecnologico della Silicon Valley. Ha 45 anni, ma vorrebbe tornare ad averne 18. Johnson segue una routine ferrea, costituita da un centinaio di integratori e farmaci, tanto esercizio fisico, e un ritmo sonno-veglia molto preciso, unita a vari trattamenti iniettabili per sembrare giovane anche all’apparenza: limitata esposizione al sole, peeling, trapianti di grasso al viso. Certo si tratta di un caso estremo, e la beauty routine di Johnson è assolutamente inaccessibile a chiunque non sia un miliardario, ma non è difficile immaginare un futuro in cui questi trattamenti diventeranno mainstream, data la velocità con cui i trend si diffondono dalla Silicon Valley al resto del mondo. 

Johnson ha raccontato di aver sofferto di una forte depressione, di essere stato gravemente in sovrappeso, e di aver avuto spesso ideazione suicidaria. Dedicare la vita a questo progetto in quanto paziente zero gli ha ridato gioia e significato, e sostiene che sembrare, essere, e sentirsi giovani significa dire “sì” alla vita. Credo che stia proprio qui il nocciolo: dietro un’apparente vanità si nasconde la vulnerabilità. Una scusa che molti si ripetono è che migliorare il proprio aspetto è qualcosa che fanno “per sé stessi”, ma la verità è che non può esistere la bellezza senza un altro da sé che la riconosca; è qualcosa di profondamente relazionale. 

“Le iniezioni di botox o filler entreranno a far parte della nostra routine, così come lo sono diventati il tingersi i capelli o farsi le sopracciglia”. 

Di solito a chi scrive viene chiesto di fornire soluzioni, ma dubito che ce ne siano. Questa è la mia blackpill: fermare il progresso tecnologico non è né possibile né auspicabile, ed è probabile che nei prossimi anni queste procedure cosmetiche diventeranno ancora più accessibili e diffuse. Il nostro desiderio di essere attraenti e l’enfasi che la nostra cultura pone su bellezza e giovinezza sono vecchi di secoli, fanno parte della nostra specie e non andranno da nessuna parte. Alcune persone saranno sempre più belle (e quindi più potenti, per il tempo che gli è concesso esserlo) di altre. (L’ idea stessa di bellezza implica che ci siano persone che belle non sono.) E se è possibile prendersi cura di sé grazie a tecnologie avanzate di medicina estetica e skincare, allora per molti diventerà anche un dovere. È prevedibile che le iniezioni di botox o filler entreranno a far parte della nostra routine, così come lo sono diventati il tingersi i capelli o farsi le sopracciglia. 

D’altra parte, è anche probabile che questi sforzi per ritardare l’invecchiamento porteranno a poco. A un certo punto invecchieremo eccome, e perderemo una serie di capitali, come la bellezza e il carisma, o l’essere circondati da amici e parenti. Complice il calo demografico, molti di noi si troveranno senza figli né nipoti, soli e annoiati. Tenteremo di compensare cercando di prolungare artificialmente il periodo della giovane età adulta in cui siamo belli, liberi, indipendenti, ma alla fine non ci resteranno che delle facce semi-paralizzate. Forse allora le uniche soluzioni possibili sono tentare di guardare meno i telefoni e noi stessi – che è da un’eccessiva sorveglianza sui propri tratti che può nascere l’insoddisfazione per essi; e poi naturalmente circondarci di persone che non si fanno troppi problemi a dirci quando stiamo esagerando con botox e filler. Quelli sono i veri amici. 

Francesco Avallone

Francesco Avallone è ricercatore e dottorando in Family Medicine alla McGill University di Montreal.

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