Carola Cappellari e Lavinia Nocelli
Quando pensiamo a Venezia vengono subito in mente le sontuose gondole. Eppure queste ultime sono venute dopo i più antichi sandoli, che grazie alla loro agilità hanno contribuito alla creazione di una delle città più stupefacenti al mondo.
Il sole di luglio si appiccica alla pelle risalendo dalle caviglie, passando per le gambe e incastrandosi nell’incavo del collo. I raggi bollenti del sole rimbalzano dall’asfalto poroso dei vicoli specchiandosi nelle vetrine ancora assopite. Sono a malapena le nove a Venezia, e il silenzio ha ancora la meglio sulle voci dei turisti che puntualmente cavalcano le sue strette vie. Un leggero brusio accompagna l’odore di caffè che esce da una casa arroccata su Rio della Misericordia, il canale che taglia il Ghetto ebraico, l’antico quartiere di Cannaregio dove gli ebrei furono costretti a risiedere durante il periodo della Repubblica di Venezia, a partire dal 1516. Lo sguardo di Luca Padoan è mascherato da un paio di sottili occhiali da sole: appoggiato spalle al muro osserva il quartiere animarsi, mentre qualche straniero si avvicina curioso per fotografare il sandalo, ormeggiato alla sua sinistra. “Ho sempre spiegato che questa non è una gondola, ma la sua progenitrice”, spiega Luca accarezzando il remo. “Il Ghetto è una zona più nascosta, fuori dai classici itinerari turistici: c’è meno traffico, l’esperienza di sandalo risulta più tranquilla e autentica”, continua accomodandosi all’interno dell’imbarcazione. “Ho iniziato a sette anni con mio nonno, che aveva una barca simile con la quale andavamo a pescare. Sono ventisei anni che faccio questo lavoro. A partire da novembre mi dedico alla manutenzione della barca: io la rivernicio, mentre mia mamma sistema i cuscini. È una gestione familiare la nostra”. Poi a marzo, con l’arrivo della primavera, si torna a vogare.
L’origine della parola ‘sandalo’ deriva dal latino ‘sandalium’, un tipo di calzatura che ricorderebbe la forma della barca di cui abbiamo testimonianze risalenti al 1292, ben prima delle più note gondole: caratterizzate da un “ricciolo” d’acciaio sulla prua e tipicamente dipinte di nero, queste imbarcazioni a remi a fondo piatto erano storicamente utilizzate per navigare nelle acque poco profonde della laguna e per trasportare merci e persone da Venezia alla terraferma. “Se non si comprende l’origine della città e la sua evoluzione, non si può spiegare l’importanza storica del sandolo. La profondità media della laguna, misurata manualmente in passato, è compresa tra i 10 e i 15 centimetri. Con una barca normale non sarebbe possibile arrivarci,” sintetizza Valentino Scarpa, responsabile della categoria dei sandolisti, incaricato della gestione complessiva del servizio all’interno del Comune di Venezia e dell’organizzazione dei turni diurni e notturni presso i rispettivi stazi, le postazioni da dove partono le barche.
Turisti godono di un giro in sandolo alla guida di Guglielmo Crocicchio, 67, conosciuto come William, circondato da altri gondolieri. Il sandolista ha ereditato la passione per la navigazione dal bisnonno, capitano di nave, e opera nel settore da 38 anni. Sebbene William sperasse che la tradizione di famiglia potesse continuare, i figli e i nipoti di William hanno deciso di intraprendere carriere in altre direzioni (Luglio 2024).
Il termine sandolo si riferisce a una famiglia di barche utilizzate per scopi diversi. Alcuni, come il sàndolo a la ciosòta o il sàndolo buranèlo, erano usati per la pesca. Altri, come la mascaréta o il puparìn, erano usati per le regate. Quelli usati per la caccia erano chiamati s’ciopon, mentre quelli destinati al trasporto di persone erano i sandolo da barcariol. Ad oggi si contano solamente 20 sandolisti a Venezia, contro le circa 433 gondole presenti in laguna. Gli stazi si riconoscono per le lunghe file di turisti che si formano in attesa che venga il loro turno per il giro: qualche bambino si lamenta del caldo, delle donne cercano aria sventolando dei ventagli colorati, qualcun’altro siede osservando le imbarcazione tornare, svuotarsi e riempirsi in pochi minuti. La voce calda di Livio Bon, sandolista dal 1998, richiama i passanti che attraversano Ponte de l’Ogio, punto turistico strategico al confine tra il sestiere di San Marco e Cannareggio. “Storicamente ogni famiglia possedeva un sandalo. Era il mezzo prodotto e utilizzato per costruire la città, portare in giro la gente, per l’approvvigionamento del cibo, per pescare e trasportare materiali, un mezzo utilitario. La gondola è arrivata dopo”, più ricca e decorata, ad indicare lo status della famiglia. I sandoli sono solitamente più corti ma più larghi rispetto le gondole, che sono lunghe 10 metri e presentano due estremità appuntite: una prua a forma di S (ferro di prua), che rappresenta la forma sinuosa del Canal Grande che attraversa la città, e un ferro di poppa. La prua, che presenta sei denti, simboleggia i sei sestieri storici di Venezia: Cannaregio, Castello, Dorsoduro, San Marco, San Polo e Santa Croce. Le famiglie nobili storicamente gareggiavano per possedere la gondola più opulenta come simbolo di status e ricchezza (una tendenza proseguita fino al 1562, quando la città vietò decorazioni eccessive e ordinò che tutte le gondole fossero dipinte di nero). Al contrario, i sandoli hanno una prua dipinta, una poppa piatta e aperta, e sono meno sfarzosi.
Luca Padoan, 53 anni, siede sul suo sandolo nel Ghetto ebraico di Venezia. Durante i mesi invernali tra novembre e marzo, quando Venezia registra meno turisti, Padoan si dedica alla manutenzione dell’imbarcazione, costruita in legno massello e lunga circa 10 metri. Padoan ha decorato la barca con l’aiuto di sua madre (Luglio 2024).
Le differenze strutturali, tuttavia, hanno alcuni scopi pratici. In una gondola, il vogatore di solito sta in piedi di lato, mentre il fondo simmetrico di un sandolo permette al vogatore di stare in piedi al centro dell’imbarcazione. Come le gondole, i sandoli vengono generalmente guidati con un solo remo, ma si possono anche utilizzare due remi contemporaneamente. Questa tecnica, nota come voga alla vaesana in veneziano, è stata storicamente utilizzata in alcune aree della laguna come Marano, Caorle e Grado per praticare la vallicoltura, un antico metodo di allevamento del pesce introdotto nella laguna veneziana nel XII secolo che assicurava ai veneziani cibo a sufficienza in caso di crisi.
Quando i veneziani si sono resi conto che remare una gondola era più semplice, i sandoli hanno iniziato a essere sostituiti dal loro modello più moderno, spiega sintetico Valentino. “È chiaro che poter remare con due remi rappresenta un’evoluzione perché ti permette di andare più veloce. Tuttavia la gondola, essendo asimmetrica, è più maneggevole e più semplice da remare nei canali più piccoli,” continua Valentino. “La gondola è diventata sempre più popolare, di conseguenza la categoria dei gondolieri è diventata più dominante, e il numero di sandoli nella laguna è diminuito.” Il sandolo può navigare nei canali più stretti grazie alla sua capacità di curvare in modi che le gondole, a causa della loro maggiore lunghezza, non riescono. Ciò consente ai turisti di esplorare angoli esclusivamente accessibili con il sandolo che, inoltre, può operare durante le alte maree, quando c’è meno spazio per passare sotto i ponti, poiché la maggiore altezza delle gondole impedisce loro di passare. Ciò si verifica principalmente tra ottobre e febbraio, quando il fenomeno dell’acqua alta è piuttosto frequente. La professione del sandolista, e più in generale quella del gondoliere, è stata per molto tempo tramandata di padre in figlio, di generazione in generazione: oggi non è più così, poiché non tutti sono disposti a continuare il lavoro di famiglia, e ciò ha allargato il mestiere a nuovi aspiranti. Il Comune di Venezia, infatti, organizza concorsi per gli aspiranti sandolisti che desiderano ottenere le licenze per entrare in questa professione. Per qualificarsi, i candidati devono completare un corso professionale di navigazione, oltre a superare una prova di voga e una di nuoto. È in questo modo che Livio è entrato nel settore ventisei anni fa. “Il turista che vuole farsi un giro vuole godere della città, e tu godi la città insieme a lui”, spiega aiutando una coppia francese ad accomodarsi nella barca. “Quando scende deve essere estasiato”, deve sentire il rumore dell’acqua dei canali nelle orecchie, la brezza nel collo, la barca che oscilla sotto il peso del guidatore. Respirare bellezza”. Anche Guglielmo Crocicchio effettua servizio a Ponte dell’Ogio: è l’ora di punta, i clienti si accalcano sulla banchina aspettando impazientemente il loro turno, il sole piomba dritto e viscoso dal cielo. “Mio padre ha fatto questo lavoro per 50 anni, mio nonno pure. Il mio bisnonno era capitano di vascello”, spiega Guglielmo, detto William, asciugandosi il volto. “Faccio il sandolista da 38 anni, ma i miei figli e i nipoti hanno deciso di fare altro. Io sono come uno psicologo: ho il mio lettino e i miei clienti, cento euro a giro”, fa l’occhiolino, e con una decisa spinta di remo riprende la via del canale.
Livio Bon, 62 anni, aiuta una famiglia a salire sul suo sandolo per una corsa di 30 minuti. Livio ha iniziato a lavorare come sandolista dopo aver vinto un concorso pubblico nel 1998 e aver ottenuto un attestato professionale (Luglio 2024).
Il sole inizia ad allentare la sua morsa su Venezia, rivelando i colori tenui dei canali e le sfumature del tramonto sulla città. “C’è tutto un altro ritmo nello spostarsi qui, ed è questo il bello. Ci conosciamo tutti, si parla anche solo per darsi la precedenza”. Quando si arriva a un incrocio, o c’ è una curva cieca da fare, i gondolieri dicono ‘oi primando’, ‘oi stagando’, “che in dialetto veneziano voglion dire ‘andiamo a sinistra’ e ‘andiamo a destra’. Sono tutte espressioni modificate che in realtà fanno parte della nostra tradizione”, spiega Valentino, mentre saluta Mariano Pozzobon, di rientro da un giro con alcuni clienti. Mariano si è reinventato negli anni facendo diversi lavori: “Prima riparavo gli elettrodomestici, poi ho lavorato come taxista, per poi tornare a riparare gli elettrodomestici. Sono arrivato qui tramite amicizie, ora sono 30 anni che faccio questo lavoro”, riassume asciugandosi il volto con un fazzoletto azzurro. I sandali, così come le gondole, conservano le storie delle persone che li hanno vissuti: i nobili che li usavano per spostarsi, i mercanti per i loro affari, i pescatori con le loro merci, le proposte di matrimonio, le serenate, gli eventi ufficiali. “Ogni barca è un mondo a sé. È un lavoro di famiglia dove si trasmette l’amore. Non è semplicemente una professione con un ritorno economico, ma una passione”, spiega Valentino. A sette anni ha iniziato ad andare in barca con il padre “per gioco, così passavamo il sabato e la domenica”, poi dopo l’università è tornato a Venezia per intraprendere il mestiere. “È un lavoro unico, che trovi solo qui: ti fa sentire ancora più veneziano”. Nonostante la fragilità della città, stretta tra un turismo cannibale e i cambiamenti climatici che ne minacciano le fondamenta, lo spirito collettivo resiste. “Questo lavoro continuerà ad esistere finché non si fermeranno le barche, lì Venezia morirà”.
Mariano Pozzobon, 70 anni, sale sul suo sandolo dove due clienti lo attendono per un giro in partenza dal Ponte dei Greci, nel sestiere di Castello (Luglio 2024).
Carola Cappellari
Carola Cappellari è una fotografa documentarista interessata a temi di identità, famiglia, migrazione e diritti umani. Ha pubblicato su riviste nazionali e internazionali, tra cui «TIME», «Al Jazeera», «BBC», «The New Arab», tra gli altri.
Lavinia Nocelli
Lavinia Nocelli è una giornalista freelance e fotografa che si occupa di migrazione, diritti e salute mentale. I suoi lavori sono stati pubblicati da testate italiane e internazionali tra cui «BBC», «The Independent», «The New Arab», «L’Espresso», «Irpi», «Avvenire», «Il Manifesto», «La Stampa», «RSI», tra gli altri.
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