"Itaca. Il ritorno" dimostra quanto è difficile portare Ulisse al cinema - Lucy
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Valerio Magrelli

“Itaca. Il ritorno” dimostra quanto è difficile portare Ulisse al cinema

30 Gennaio 2025

Per Ulisse, il cinema sembra una tappa obbligata. Dei tanti adattamenti dell’Odissea, pochi però sono riusciti. Vale anche per l’ultimo e ambizioso "Itaca. Il ritorno" di Uberto Pasolini.

Per la figura di Ulisse, il passaggio dalla pagina al film sembra un destino segnato, se è vero che, secondo un critico come Erich Auerbach, la caratteristica principale della scrittura omerica sarebbe proprio la visibilità. Ma su questo torneremo tra poco. Partiamo intanto da una rapida rassegna delle opere su grande schermo dedicate all’eroe greco. Al termine di questa schedatura, ovviamente non esaustiva, ci soffermeremo su un titolo, Itaca- Il ritorno, presentato in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma e in uscita nelle nostre sale oggi, giovedì 30 gennaio.

I.

La prima Odissea che troviamo è quella, muta, diretta da Giuseppe De Liguoro, Francesco Bertolini e Adolfo Padovan. Si tratta di appena 44 minuti girati nel 1911 in occasione dell’Esposizione internazionale di Torino per il cinquantenario dell’unità d’Italia. Secondo alcuni, costituirebbe il primo adattamento cinematografico del poema omerico. Leggo che nel 2006 il film è stato restaurato presso il laboratorio di Bologna L’Immagine Ritrovata. Online si trova per intero. Ho potuto vederlo con piacere. Troppo facile essere ingenerosi: malgrado un Ulisse decisamente sovrappeso, la scenografia è buona, come pure gli effetti speciali. L’unico vero problema consiste nel fatto che qualsiasi tipo di emozione viene resa dall’eroe spalancando le braccia: addio, buongiorno, aiuto, evviva, ho fame, ho sonno e così via. Una recitazione trasformata in ginnastica.

Per incontrare al cinema un altro Ulisse bisogna aspettare il 1954, con un colossal di Mario Camerini. Il successo fu enorme, se si pensa che, oltre ad essere il maggiore incasso della stagione cinematografica 1954-1955, la pellicola detiene ancora oggi l’ottavo posto nella classifica dei film italiani più visti di sempre. D’altronde, tra gli interpreti troviamo star internazionali come Kirk Douglas e Anthony Queen, stelle nostrane come Silvana Mangano e Rossana Podestà, latin lover come Franco Interlenghi e Alberto Lupo (uno dei proci), nonché la grande scrittrice italiana Goliarda Sapienza. Malgrado risulti ovviamente datato, il kolossal resta potente, anche per i notevoli effetti speciali.

E siamo nel 1962 con Ulisse contro Ercole di Mario Caiano, un pastrocchio che certifica se non altro la fortuna del peplum, genere cinematografico di ispirazione mitologica, molto popolare soprattutto tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Basti dire che il racconto inizia con Ulisse catturato da Ercole… A ciò si aggiunga la temibile tribù dei Trogloditi, e un ancor più terribile popolo di mostri che sbuca nel finale. Davanti a questo frullato mitologico, la cosa più curiosa va individuata nella presenza di Raffaele Pisu, nei panni di Assur, e Raffaella Carrà, nelle vesti di Adraste. Ma qui siamo dalle parti di Totò contro Maciste, che non a caso esce proprio lo stesso anno.

Nel 1968, finalmente, abbiamo il risultato migliore e ad oggi ineguagliato, ovvero l’Odissea, una miniserie co-prodotta da vari paesi e più tardi distribuita in una versione ridotta per il cinema con il titolo Le avventure di Ulisse. Diretta da Franco Rossi con Piero Schivazappa e Mario Bava, che sovrintese per intero all’episodio di Polifemo, occupandosi degli effetti speciali insieme a quel Carlo Rambaldi che più avanti sarebbe stato tre volte Premio Oscar. Molti gli attori celebri, tra cui spiccano, inarrivabili, Bekim Fehmiu e Irene Papas. Splendida poi la colonna sonora di Carlo Rustichelli, mentre la sceneggiatura venne scritta a partire dalla magistrale traduzione dal greco di Rosa Calzecchi Onesti.

A conferma di tanta attenzione per il testo originale, ogni puntata era preceduta da un’introduzione in cui Giuseppe Ungaretti leggeva alcuni passi del poema. Questa inattesa comparsa, volto severo ed eloquio tonitruante, divenne talmente popolare da suggerire una riuscita imitazione da parte di quel Raffaele Pisu che abbiamo già incontrato in un altro film omerico. Lo sceneggiato fu la prima produzione Rai a colori, in quanto destinata anche a Paesi in cui le televisioni trasmettevano già a colori (la Rai vi giunse ufficialmente solo nel 1977). L’Odissea è stato insomma uno degli sceneggiati di maggior successo.

Occorre aspettare il 1989 per imbattersi in Nostos – Il ritorno, scritto e diretto da Franco Piavoli, che ne curò anche fotografia e montaggio. Opera di taglio sperimentale, i suoi dialoghi, come indicato nei titoli di testa, risultano limitati a poche parole incomprensibili, “ispirati a suoni di antiche lingue mediterranee”.

Finora mi sono attenuto a criteri di illustrazione il più oggettivi possibile. Il lettore mi consenta adesso di infrangere questo procedimento, cedendo alla più sfacciata idiosincrasia. Il tutto, per parlare di L’Odissea (The Odyssey), una miniserie televisiva del 1997 diretta da Andrej Končalovskij. I motivi di un simile cambio di passo potrebbero essere molti, a cominciare dal fatto che questa versione aggiunge al racconto originale alcuni elementi tratti dall’Iliade omerica e dall’Eneide di Virgilio. A questa macedonia narrativa si somma quella degli interpreti, tra cui si annoverano Irene Papas (patetico richiamo al film di Rossi), Geraldine Chaplin (a evocare lontane luci circensi), Isabella Rossellini (spaesata divinità alla David Lynch), Christopher Lee (vampiro fuori sede).

La vera ragione del mio fastidio, però, è un’altra, e risiede nell’interprete di Ulisse, cioè Armand Assante. In epoca di body shaming, quello che sto per dire suonerà azzardato, e me ne scuso sin d’ora, ma sta di fatto che a mio parere il problema non sta tanto nella recitazione dell’attore, eccessiva e irritante, quanto nel fisico. Sì, perché Assante è una specie di palestrato alla Sylvester Stallone, cui è stato sovrimpresso il volto di una vecchietta. Ora, ritengo che chiunque possa fingersi Ulisse, tranne che una vecchietta, buona piuttosto per interpretare la strega di Biancaneve o una fattucchiera di Macbeth. E qui mi fermo, anche perché il prossimo titolo rappresenta una fra le tappe più felici del nostro percorso.

In verità, Fratello, dove sei? (O Brother, Where Art Thou?) dei fratelli Coen, è una trasposizione dell’Odissea girata nel 2000 e ambientata nel Mississippi del  1937, durante la Grande depressione. La pellicola segue le vicende di tre galeotti appena evasi dai lavori forzati, interpretati da George Clooney, John Turturro e Tim Blake Nelson (l’unico di tutto il set, a detta dei registi, ad aver letto l’Odissea). Un incanto.

Ma è tempo di tornare in Italia con Ulisse. Il mio nome è Nessuno, un cartone animato andato in onda su Rai 2 nel 2012 e adattato per un target di bambini dai cinque ai dodici anni. Firmato dal fumettista Massimo Rotundo, è stato diretto da Giuseppe Laganà. Bella l’idea compositiva, con ventisei episodi della durata di ventisei minuti ognuno. Il cartone è liberamente ispirato al libro Il mio nome è Nessuno di Valerio Massimo Manfredi.

Con Il ritorno di Ulisse, girato da Stéphane Giusti nel 2015, abbiamo invece una coproduzione tra Francia e Portogallo, con l’Italia in partecipazione. Tra gli attori, Alessio Boni e Caterina Murino. Tre anni dopo, ecco Ulysses: A Dark Odyssey, di Federico Alotto, che ci riporta a una trasposizione del mito nella modernità. Un militare di carriera, soprannominato Ulysses, rientra dal fronte provando a dimenticare la guerra e a ritrovare sua moglie Penelope. Purtroppo, però, il trailer non sembra promettere niente di buono…

“Itaca. Il ritorno” dimostra quanto è difficile portare Ulisse al cinema -

A questo punto, come già accennato, dovremmo affrontare il film di Uberto Pasolini che esce in questi giorni. Ma prima, vale la pena anticipare un altro progetto, atteso per il 2026. Reduce dal successo di Oppenheimer, il regista britannico Christopher Nolan ha convocato Matt Damon, Zendaya, Anne Hathaway, Charlize Theron e Robert Pattinson per girare l’ennesima Odissea. Un’altra sfida tutta da seguire.

II.

E veniamo così a Itaca. Il ritorno di Uberto Pasolini. Pasolini è sia un affermato produttore (con i deliziosi Full Monthy e I vestiti nuovi dell’Imperatore), sia uno stimato regista (Marchan. La vera storia di una falsa squadra e soprattutto il notevole Still Life). Ciò detto, purtroppo bisogna ammettere che questo suo ultimo film non è riuscito. Per un beffardo paradosso, la causa di tale fallimento non risiede negli attori (tra cui una dolente Juliette Binoche e un intenso Claudio Santamaria), né nella regia, bensì in un’interpretazione  tanto intelligente quanto poco plausibile. Alla base dell’opera sta infatti un totale capovolgimento dell’immagine di Ulisse, il quale, come recita anche una nota di lancio, viene presentato non come un eroe, bensì come un “penitente”.

Cupo, affranto, rassegnato, oppresso da un inestinguibile senso di colpa, il protagonista, impersonato da Ralph Fiennes, sembra piuttosto il cardinale cui lo stesso interprete dà vita nel recente Conclave di Edward Berger. Occhi bassi e mestizia, anche nella scena della strage finale, alla perenne ricerca di uno Xanax. Invece che con un personaggio omerico, sembra di avere a che fare con una figura biblica, un Giobbe proiettato in terra greca. E qui dobbiamo tornare al saggio di Erich Auerbach citato in apertura, in cui il sommo studioso paragonò lo stile dell’Odissea (tramite l’episodio della cicatrice di Ulisse) a quello dell’Antico Testamento (ricorrendo alla storia di Abramo e Isacco). Il tutto, per sottolineare l’inconciliabile differenza tra l’esuberanza del mondo esterno nel primo e il ripiegamento nell’interiorità del secondo: in Omero le immagini proliferano, l’autore della Bibbia, invece, ignora l’aspetto visivo della realtà.

A ciò si aggiungono, nel film, sentenziosi discorsi su pace e guerra evidentemente ispirati a Primo Levi, una caccia all’uomo inventata di sana pianta, e un pretendente con un taglio di capelli alla Peaky Blinders. Ben più grave, però, è risultata la scelta di un Ulisse ultrasessantenne, in quanto, al suo ritorno in patria, il re di Itaca avrebbe dovuto avere venti anni di meno: Bekim Fehmiu docet. In conclusione, l’opera di Pasolini colpisce per l’acume e il coraggio della sua lettura, che tuttavia finisce per distruggere i requisiti fondamentali del personaggio. Insomma, siamo di fronte a un miscasting bello e buono, sebbene lontanissimo dal Guerra e pace di King Vidor (1956). Difatti, in Tolstoj, il personaggio di Pierre Bezuchov è descritto come goffo e grasso, mentre la parte fu affidata a Henry Fonda, scattante e segaligno cowboy. Morale: uno tra i più sciagurati misfatti della storia del cinema…

Valerio Magrelli

Valerio Magrelli è poeta, scrittore, francesista, traduttore e critico letterario. Il suo ultimo libro Exfanzia (Einaudi, 2022).

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