Quarta tappa della rubrica che legge l'Italia attraverso i festival letterari: è il turno di Piacenza e del Festival del Pensare Contemporaneo.
Quarta tappa: Piacenza
festival: Festival del pensare contemporaneo
date del festival: 11-14 settembre 2025
date del diario: 12-15 settembre 2025
venerdì 12 settembre 2025
Appena arrivato a Piacenza, resomi conto di quanto da vicino il Po lambisce il centro storico della città, sono voluto andare subito sull’argine del fiume (forse inconsciamente, dopo la gita in battello a Mantova, stavo cercando un pattern fluviale tra le diverse città toccate da questo LetteraTour).
Il Po non passa dentro la città come fa, per esempio, a Torino dove ponti e passeggiate che lo attraversano o costeggiano sono diventati parte della viabilità cittadina. Qui crea piuttosto un confine naturale per la zona urbanizzata, tant’è vero che è facilissimo raggiungerlo a piedi camminando da piazza dei Cavalli, il cuore di Piacenza (e crea un confine naturale anche con la Lombardia, che inizia lì a pochi metri, sull’altro argine). Lungo via Cavour che prende poi il nome di viale Risorgimento, svoltando per via Maculani, addentrandosi, all’altezza del Bastione San Sisto, in un’area verde di questa “terra di passo”, come la definì Leonardo – e “di sottopasso” come mi viene in mente attraversando la ferrovia – ecco che, all’altezza di un circolo canottieri, s’intravede, al di là di una stradina asfaltata, la discesa al fiume. La prossimità dell’acqua mi viene annunciata da un paio di imbarcazioni trascinate, come libellule prive di ali, sulla schiena di un ragazzo e di una ragazza che hanno appena terminato una lezione di canottaggio.
Scoprirò che la barca singola è chiamata anche skiff; che chi rema qui non ha paura di cadere nell’acqua, nonostante non sia certo cristallina; che alla Società Canottieri Vittorino da Feltre si pratica canottaggio da circa duecentocinquant’anni, esattamente dal 1883. Io l’ho praticato solo per un paio di mesi, sul Tevere, nei primi anni Dieci di questo secolo. Mi piacerebbe scoprire di più del legame tra la città e il fiume, ma sono qui per un festival letterario, e me ne torno in centro.
Alloggio al Grande Albergo Roma, come lo staff e la maggior parte di noi ospiti della terza edizione di questo Festival del pensare contemporaneo, al quale non sono ancora mai stato. Mi riprometto di fare un giro delle librerie della città ma il proposito viene immediatamente vanificato quando alle spalle del grande palco principale, proprio a piazza dei Cavalli, visitando il bookshop del festival mi rendo conto che è costituito di fatto da varie zone, ciascuna gestita da una diversa libreria piacentina. Sono in tutto sei, tre indipendenti (BookBank, Fahrenheit 451, Pagine) e tre di catena (Feltrinelli, Giunti al Punto, librerie.coop). Saluto in un colpo solo le diverse libraie che già conosco: sono stato qui qualche anno fa, e in un modo o nell’altro da allora siamo rimasti in contatto. Mi sento subito a casa, e per non sbagliare compro qualche libro da ciascuna di loro.
Resterò per tutta la durata del festival, perché sono coinvolto in tre appuntamenti. Sembra un bell’impegno, ma nulla a che vedere con l’ubiquità ammirevole e generosissima del duo cui è affidata la “direzione filosofica”, Maura Gancitano e Andrea Colamedici, che modereranno in totale circa venticinque incontri. Curato da Alessandro Fusacchia, il festival è molto ben finanziato. Oltre a un buon numero di sponsor, il contributo principale è dato da due soggetti importanti come Fondazione Piacenza e Vigevano e Fondazione Teatri di Piacenza, ha tra i partner ben quattro università e sono significativi anche i partner scientifici: tutto a garantire solidità finanziaria, qualità dei contenuti, e la gratuità di tutti gli eventi per il pubblico, che infatti è sempre numeroso. Il tema di quest’anno è: Vite svelate.
sabato 13 settembre
Stamattina, con Emanuele Bevilacqua, ho tenuto un incontro su Lawrence Ferlinghetti. C’erano più di trenta persone al Barino ad ascoltare la vita svelata del poeta pittore editore libraio attivista che fondò la City Lights Books a San Francisco. E siccome erano solo le otto e mezza del mattino, l’affluenza mi è sembrata sorprendente per un orario così proibitivo: è evidente che il festival ha fatto presa sulla città. Ho perfino immeritatamente firmato una decina di copie di un suo libro, nella mia inusuale duplice veste di editore e traduttore. Commovente la domanda finale dal pubblico da parte di una signora che ha chiesto a gran voce che possano riaprire degli spazi, pubblici o autogestiti, dove tornare a leggere poesia ad alta voce “come si faceva ai miei tempi”.
Subito dopo è la volta di Concita De Gregorio, dal palco principale svelerà la vita poetica e la morte tragica di Susana Chávez Castillo. Il pubblico per lei (per loro) è nell’ordine delle centinaia di persone, la piazza è piena, e l’occasione è adatta a ricordare ancora una volta la necessità di non fare silenzio di fronte al femminicidio. L’incontro è nato infatti in collaborazione con Pari, associazione di aziende unite contro la violenza di genere.
Il resto della giornata, per me, è di turismo letterario: ascolto parecchi incontri, dialoghi, presentazioni. E poi, dato che ogni festival è un modo per conoscere almeno qualcosa della città che lo ospita, decido di visitare la Galleria di Arte Moderna Ricci Oddi. Una collezione privata di opere di artisti italiani (tra i quali Boccioni, Boldini, Carrà, Casorati, De Pisis) anche se la storia più curiosa ha a che fare con una delle poche opere di artisti non italiani presenti nella collazione e cioè il Ritratto di signora di Gustav Klimt, che – acquistato giusto un secolo fa, nel 1925, da Ricci Oddi per la sua collezione – fu al centro di ben due vicende: è piuttosto nota quella relativa al furto avvenuto nel 1997 e conclusosi con il ritrovamento all’esterno del museo (ho chiesto al personale di accompagnarmi nel giardino e di indicarmi il punto esatto).
A me è parsa ancora più interessante quella che ha per protagonista, nel 1996, Claudia Maga, una studentessa allora diciottenne a cui si deve una scoperta decisiva: notando le affinità tra questo dipinto e un’altra opera di Klimt, Ritratto di ragazzetta del 1910, data per perduta, riesce a scoprire che in realtà di tratta dello stesso dipinto cui l’artista aveva modificato parecchi particolari, ma non il volto della donna ritratta. Da ragazzetta a signora, un’altra vita svelata a Piacenza.
domenica 14 settembre
Inizio la giornata cercando sul computer un file che devo avere da qualche parte, sicuramente deve esserci, non posso averlo perso: devo solo ricordarmi che nome gli ho dato. In un diario che tenni durante un viaggio a San Francisco, proprio per il centesimo compleanno di Ferlinghetti, ricordo che avevo citato un brano da un racconto di John Barth, “Perso nella casa stregata”, che mi piace molto e che sintetizza il mio stato d’animo rispetto al mestiere che faccio. Lo sto cercando perché vorrei usarlo all’incontro cui parteciperò stasera (con Chiara Faggiolani e Roberta Rocelli dialogheremo con Maura Gancitano e Alessandro Fusacchia sul paradosso di un Paese con “Tanti festival, pochi lettori”). Sbaglio strada più volte e mi sorprendo – aprendo tutti i file che hanno la parola “diario” nel titolo – di quante volte abbia iniziato un diario, senza mai avere la costanza di continuare a tenerlo. Incappo in un diario di viaggio in pullman del 2005, un diario dai primi giorni del lockdown, un diario dei gruppi di lettura e delle riunioni di redazione, e perfino in degli articoli che scrissi nel secolo scorso per il settimanale “Diario”; ma quello che mi serve proprio sembra non voler farsi trovare. Alla fine, quando ormai stavo desistendo, ecco spuntare perlomeno il pdf del libro cui quel racconto apparteneva, e che avevo pubblicato nel 2010. Nel racconto, l’adolescente Ambrose è in gita con la famiglia e la ragazzina di cui è innamorato, vanno a un parco divertimenti ad Atlantic City; lì, nella casa stregata, lui si perderà, dovranno aspettarlo a lungo all’uscita, e il viaggio di ritorno sarà un’agonia per la figuraccia che teme di aver fatto con la sua amata. Nel tragitto, imbronciato e silenzioso, prenderà una decisione che gli cambierà la vita per sempre.
Immagina una casa stregata davvero strabiliante, incredibilmente complessa ma completamente controllata da un grande pannello di comando centrale simile alla tastiera di un organo a canne. Nessuno ha mai avuto una tale immaginazione. Sarebbe in grado di progettarlo da solo, un posto del genere, impianto elettrico e tutto, e ha solo tredici anni. Sarebbe lui a manovrarla: le spie luminose sul pannello mostrerebbero cosa succede in ogni anfratto della sua ingannevole della sua multiforme vastità; lo scatto di un interruttore faciliterebbe il percorso a uno, lo complicherebbe a un altro, per bilanciare le cose; se qualcuno gli fosse sembrato spaventato o perso, il manovratore avrebbe dovuto semplicemente.
Vorrebbe non essere mai entrato nella casa stregata. Ma ci è entrato. Vorrebbe essere morto. Ma è vivo. Perciò costruirà case stregate per gli altri, e sarà il loro manovratore segreto – anche se preferirebbe essere uno degli innamorati per cui le case stregate vengono costruite.
(John Barth, “Perso nella casa stregata” da La vita è un’altra storia, minimum fax 2010, traduzione di Martina Testa)
Quando scelgo i libri da pubblicare con la mia casa editrice, quando penso a un ospite da invitare alla Grande invasione o a un nuovo corso per la Scuola del libro, mi entusiasmo all’idea di aver dato vita a un nuovo progetto di cui, nei migliori dei casi, il pubblico potrà godere. Mi sono avvicinato ai libri e al mestiere che faccio perché avrei voluto essere il lettore per cui quel libro è stato pubblicato, l’allievo per cui quel corso è stato inventato, lo spettatore per cui quell’evento è stato organizzato. Ma ho scelto di essere la persona che “costruirà case stregate per gli altri”, e in un certo senso, anche se a volte mi capita di sentire la mancanza della libertà di perdermi fra le pareti specchiate, col tempo mi sono reso conto che mi piace di più manovrare pannelli e interruttori per il divertimento altrui.
È per questo, anche (oltre che per prendere appunti sulla cronaca che devo scrivere, che sto – di fatto – scrivendo proprio adesso), che cerco di vedere quanti più incontri mi è possibile in questo festival: forse per illudermi di essere uno spettatore, pronto a perdersi nella casa degli specchi; più probabilmente, temo, i miei tanti “pensieri contemporanei” stanno lavorando progettando prendendo spunti per nuove case stregate da costruire.
Lunedì 15 settembre
Sono sul regionale che mi porta a Bologna, da dove proseguirò per Roma. L’Intercity per il quale avevo la prenotazione è in ritardo, e così sono saltato al volo su un regionale che mi consentisse di non perdere la coincidenza. I regionali mi piacciono perché mi sembrano più ricchi di storie. A conferma di questo pensiero ingenuo, appena finito di scrivere la frase precedente mi rendo conto che siamo fermi a Parma da una decina di minuti: un addetto di Trenitalia sta portando a termine la sua ispezione, che immagino di routine, che dura un po’ più del previsto perché – proprio ora ne sta informando il capotreno – sono stati rilevati alcuni graffiti su entrambe le fiancate di una carrozza. Provo a sbirciare dal finestrino per vedere se si riesce a vedere l’opera incriminata, e qualcosa mi fa pensare agli anni Ottanta di Tondelli e ai Novanta di Enrico Brizzi, i decenni in cui il graffitismo si è diffuso molto anche in Italia, e che sabato sera hanno trovato un punto di contatto nel bel reading dell’autore di Jack Frusciante è uscito dal gruppo dedicato a quello di Altri libertini. Una delle “vite svelate” in una serata che si concludeva con il racconto di Emanuele Bevilacqua della vita di James Dean e della sua morte nel settembre 1955, quindici giorni dopo la nascita di Tondelli.
Ripartiamo, e nell’allontanarmi ancora un po’ da Piacenza ripenso alla serata conclusiva del festival: un vero e proprio show con l’assegnazione a Benjamín Labatut del Premio Pensare contemporaneo, una lunga carrellata di ringraziamenti e discorsi di commiato alla prossima edizione e, coup de théâtre, l’annuncio – fatto dalla sindaca Katia Tarasconi e dal vicepresidente della Regione Emilia Romagna Vincenzo Colla tenendosi per mano sul palco – della candidatura di Piacenza a Capitale europea della cultura per il 2033. A seguire tutto lo staff e noi ospiti che non siamo ancora ripartiti affolliamo il Bar dei Mercanti il cui personale era a un passo da poter chiudere dopo un lungo weekend di lavoro. Prolunghiamo invece la loro attività ancora per un po’, riconosco tra loro almeno una persona che lavorava al bancone già stamattina, quando ho fatto in questo stesso bar una colazione-rimpatriata con Brizzi: nel 1994 abbiamo esordito insieme, lui da scrittore e io da editore, a distanza di poche settimane, e beviamo un caffè (lui) e un cappuccino (io) ricordandoci di quando, l’anno prima, ci eravamo incontrati a RicercaRE (dove l’ultima sillaba è la sigla di Reggio Emilia, una provincia ancora scossa dalla allora recente uscita di scena di Tondelli): una manifestazione voluta da Renato Barilli nel trentennale del Gruppo 63 per far dialogare i suoi membri con una generazione di esordienti: Ballestra, Nove, Ammaniti, Brancaccio, Scarpa, Campo, Mozzi fra i nomi che mi vengono subito in mente, con cui passavamo lunghe serate nelle trattorie e nei bar che avevo solo immaginato mettendo insieme un goffo patchwork di citazioni da Guccini, da Cavazzoni e ovviamente dallo stesso Tondelli. Il nostro apprendistato da ideatori di case stregate.
A tarda sera mi fermo a brindare con un gruppetto di ex partecipanti al master in editoria che organizzo, che hanno lavorato al festival; chiacchiero con Labatut al quale, scopro, non piace nemmeno uno dei libri latinoamericani che pubblico (mi conforterà, nel prosieguo della conversazione, scoprire che non gli piace nessun libro in assoluto: ed è per questo, mi dice, che ha smesso di leggere narrativa). È l’occasione per complimentarsi informalmente e con grandi pacche sulle spalle a chi ha organizzato la manifestazione. Poco prima, dal palco, il Presidente della Fondazione Piacenza e Vigevano ha spiegato che il festival ha un budget di un milione di euro (per un programma di 80 eventi con circa 200 ospiti) e che grazie alla Fondazione e alcuni grossi sponsor e partner tecnici pesa sulle casse comunali per appena il 3%.
A chiusura di un’edizione intitolata “Vite svelate” si annunciano tre parole chiave venute fuori da un sondaggio tra molte scolaresche coinvolte e da cui si partirà per la definizione del titolo dell’edizione 2026: felicità, incoerenza, attraversamento.
Tutte e tre mi sembrano adatte anche a sintetizzare il viaggio che sto portando avanti con questo mio diario di festival in festival, di regione in regione, di treno in treno e di storia in storia.
Festival del pensare contemporaneo, 3.a edizione, 11-14 settembre 2025
comune: Piacenza
provincia: Piacenza
regione: Emilia Romagna
come ci sono andato: in treno, da e per Roma
quanti giorni ci sono stato: da venerdì 12 a lunedì 15 settembre 2025
cosa ho fatto: una presentazione di Fotografie del mondo perduto di Lawrence Ferlinghetti; introdotto un reading di Concita De Gregorio dal libro di Susana Chávez Castillo; partecipato a una conversazione su paradosso “Tanti festival, pochi lettori”
che incontri ho seguito: Riccardo Falcinelli e Silvia Camporesi, Claire Marine e Vincenzo Latronico, Eugenio Cau e Luca Misculin, Teresa Ciabatti, Jacopo Veneziani, Nicola H. Cosentino, Melania Mazzucco su Diana Karenne, Enrico Brizzi ed Emanuele Bevilacqua
cosa sto leggendo: Un caffè con James Dean di Emanuele Bevilacqua
highlights: argine del Po, Esercizi di stile per pecore nere (monologo di Arianna Porcelli Safonov), Galleria Ricci Oddi, colazione con Enrico Brizzi