Lorenzo Gramatica
Tanti la ricorderanno per i film di Woody Allen, ma Diane Keaton è stata molto di più: intelligente, spiritosa, stilosissima, la sua personalità ha trasceso i ruoli, sia comici sia drammatici, colpendo l'immaginazione degli spettatori, che non la dimenticheranno facilmente.
Più che un’attrice, Diane Keaton è stata per Woody Allen un’idea.
O meglio: il sogno romantico-sessuale di un uomo ingombrante, con i suoi tic, le sue nevrosi e un intellettualismo esasperato – attributi che, declinati in una seducente chiave comica, sono una delle ragioni principali del suo successo e del rispecchiamento che inevitabilmente gli spettatori hanno ricercato in lui.
Grazie ai personaggi di Linda Christie (Play it Again, Sam!), Annie Hall e Mary Wilkie (Manhattan), Keaton è stata diva in anni in cui il divismo hollywoodiano era in un’epoca di profonda trasformazione – dalla morte di James Dean nel 1955 a quella di Marylin Monroe nel 1962, passando per quelle di Clark Gable, Tyrone Power, Humphrey Bogart, una generazione di grandi star era scomparsa, e con essa un certo modo di fare cinema, complice la crisi dei grandi studios e la loro lentezza o incapacità nel leggere le mutazioni tecnologiche e distributive, e i cambiamenti nel gusto degli spettatori, nella società e nella cultura.
Con una certa grazia, Keaton esercitava un fascino discreto, sofisticato, ironico e autoironico; piaceva alle donne per la sua eleganza e intelligenza, e agli uomini (borghesi, colti o semi-colti, nevrotici o aspiranti tali) per la bellezza non chiassosa e a tratti quasi goffa e per la promessa di una buona conversazione sottobraccio fuori da un cinema o tra gli ampi corridoi di un museo. Chissà quanti di questi uomini che la guardavano sullo schermo con trasporto, immedesimandosi in Woody Allen, sarebbero poi stati in grado di reggere davvero la compagnia di una donna intelligente come Keaton. Perché Keaton è stata una donna intelligentissima e amabile più nella vita che nei film di Allen. Sullo schermo, Diane Keaton si offriva a un pubblico raffinato (o che si sentiva tale) come modello raggiungibile di femminilità, rendendo convincente la spudorata bugia che attrice e personaggio coincidessero. Sovrapposizione inevitabile, questa, soprattutto in Annie Hall, dove Keaton interpreta una donna che porta il suo vero cognome, a compimento di un lungo sodalizio con Allen che, negli anni precedenti, era stato anche sentimentale. Fino alla fine Keaton difenderà il regista dalla grottesca persecuzione pubblica che lo ha toccato negli ultimi anni, rivendicando con orgoglio i film fatti assieme – a differenza di altri che si sono sentiti in dovere di prenderne le distanze per ripulirsi l’immagine pubblica e per paura di non lavorare più.
“Con una certa grazia, Keaton esercitava un fascino discreto, sofisticato, ironico e autoironico; piaceva alle donne per la sua eleganza e intelligenza, e agli uomini (borghesi, colti o semi-colti, nevrotici o aspiranti tali) per la bellezza non chiassosa e a tratti quasi goffa”.
Quando le viene assegnato il premio Oscar alla migliore interpretazione femminile per Annie Hall, Keaton ritira il premio indossando giacca e camicia di lino e una sciarpa arrotolata attorno al collo con finta – e quindi scicchissima – noncuranza. A distanza di anni rimpiangerà la scelta di questo look, per sua stessa ammissione un po’ affettato e pretenzioso. I suoi cappelli, i tailleur, le sciarpe, gli occhiali, i maglioni a collo alto indossati con naturalezza, le garantiranno nel corso degli anni lo status di icona di stile. Singolare che questa immagine che abbiamo di lei fosse all’opposto rispetto alle prime impressioni che Allen ne ebbe ai provini: un’impacciata ragazza di provincia, ma dalla personalità magnetica.
Se è grazie ai film di Woody Allen che Keaton assurge a icona, conferendo ai suoi personaggi una spontaneità irresistibile e un carattere capace di emanciparli dalla scrittura quasi feticistica del regista, non sono forse quelle le sue interpretazioni migliori.
Il talento di Keaton come attrice è forse più evidente nel Padrino I e II di Francis Ford Coppola. Coppola accetta di dirigere l’adattamento del romanzo bestseller di Mario Puzo più per necessità che per desiderio: la sua casa di produzione, la Zootrope, aveva contribuito a finanziare il primo film del socio George Lucas, L’uomo che fuggì dal futuro, un flop tale da indebitarli con la Paramount per circa 300.000 euro.
Artista determinato e assertivo anche in giovane età, Coppola lottò, tra le altre cose, anche per difendere le scelte di casting, Brando e Al Pacino su tutti. Al Pacino conosceva già Keaton, quasi esordiente, e c’era tra loro una certa simpatia e attrazione, di cui Coppola era a conoscenza: immediata quindi l’intesa sul set, e qualche anno dopo anche nella vita, con l’inizio di una relazione durata quasi vent’anni. Incredula per essere stata scelta da Coppola (“Non avevo nemmeno letto il copione… e poi ero solo un’attrice comica, che c’entravo io lì”), Keaton interpreta Kay Adams, moglie di Michael Corleone (Al Pacino), personaggio tra i più sfaccettati e moralmente conflittuali del film. Recitazione impeccabile, soprattutto per le rapide occhiate, le repentine espressioni di angoscia o sconcerto che compaiono sul volto poco poco prima tirato in sorrisi di circostanza e consuetudine mondana. Keaton però si sentiva ridicola in quei costumi di scena, e non ebbe il coraggio di guardare il film una volta uscito nelle sale.
Nel 1977 esce Looking for Mister Goodbar. Keaton interpreta una maestrina repressa e insicura che sperimenta le gioie del sesso e della seduzione casuale nei bar, la notte. Keaton è convincente in un ruolo scritto in modo piuttosto grezzo, ed è affiancata da Richard Gere al suo primo film importante – fa il gigolò giovane e bello, con l’espressività bovina che lo renderà celebre e desiderabile in American Gigolò tre anni dopo.
In Reds di Warren Beatty, del 1981, Keaton è una donna sposata, inquieta, intelligente e anticonformista che si innamora del giornalista John Reed (Warren Beatty, con cui Keaton anche nella vita avrà una storia d’amore), ci si mette assieme, lo tradisce con Jack Nicholson, poi lo sposa, ci litiga e si immalinconisce sullo sfondo di un mondo sull’orlo della Prima guerra mondiale e infiammato da grandi ideali e passioni politiche. Assieme al Padrino I e II, è il film in cui le sue capacità sono forse meglio sfruttate.
A suo agio nel melodramma, a dimostrazione di un talento versatile, con Nicholson recita anche in uno dei film più di successo degli ultimi 20 anni della sua carriera, Tutto può succedere, deliziosa e brillante commedia romantica come oggi se ne fanno poche. Curiosamente, nel film Nicholson interpreta uno scapolone maturo e irresponsabile che non ne vuole sapere di sposarsi: la storia d’amore di Keaton con Al Pacino, restio a impegnarsi nel matrimonio, era finita pochi anni prima.
Diane Keaton si è cimentata anche nella regia. Il documentario Heaven del 1987 (che si può vedere qui) parte da un’idea ambiziosa e intelligente: raccontare, attraverso spezzoni di film e interviste a persone comuni e non, come immaginiamo il paradiso e come lo abbiamo rappresentato. Il risultato è così così. Nel 1995 dirige Eroi di tutti i giorni, presentato a Cannes nella sezione “Un certain regard”: coming-of-age di un ragazzino di dodici anni con madre malata di cancro (Andy MacDowell), zii buffi e padre scalcinato inventore (John Turturro). Rimarrà la sua regia più riuscita. Keaton ha diretto anche un episodio della seconda stagione di Twin Peaks e qualche film per la televisione.
Più fortunata come scrittrice: tanti i libri, soprattutto di arte e architettura, pubblicati negli anni, assieme a un memoir considerato dalla critica di rilievo.
Anche se molto ha fatto nel corso della sua vita, Diane Keaton è destinata ad essere ricordata per i film di Woody Allen, e per la personalità che quei personaggi irradiavano anche fuori dallo schermo. Molti storceranno il naso di fronte a una lettura così riduttiva, vedendoci il tentativo di confinare Keaton in un ruolo subalterno rispetto al regista. Ma se pure Woody Allen è famoso per il controllo ossessivo che esercitava in ogni singola fase di lavorazione dei suoi film (persino gli abiti femminili erano scelti da lui, ma non in Annie Hall, nel quale lascia a Keaton libertà assoluta), Diane Keaton era troppo dotata, in personalità e talento, per lasciarsi imbrigliare. Per questo spesso, nei dialoghi tra i due, è lei a rimanere immediatamente impressa, è a lei che lo sguardo dello spettatore si consegna. Senza Diane Keaton, quei film sarebbero senza dubbio peggiori.
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