Francesca Faccani
Ogni anno, nell’illusione di avere controllo su un’ epoca frammentata, proviamo a definire la stagione estiva in base ai consumi pop. Se l’anno scorso è stata indiscutibilmente una brat summer e, prima ancora, c’era Barbie a dominare, quest’estate nulla sembra davvero primeggiare sul resto. E se proprio per questo fosse l’estate di Lorde?
Ogni anno diamo un tema alle estati come facevamo da bambini quando organizzavamo le feste: è un modo per segmentare il tempo e dargli un senso, mascherare le stagioni che passano per convincerci di vivere in anni interessanti.
Ogni estate dev’essere la “summer” di qualcosa, altrimenti da che cosa ci dovremmo travestire se volessimo nasconderci da noi stessi? Secondo il «New York Times» è un’esigenza tipica della contemporaneità sorta per l’illusione di unificare la cultura occidentale ormai estremamente frammentata. “Più la nostra cultura è frammentata, più desideriamo condividere qualcosa, anche di banale. Non conta tanto cosa scegliamo, ma il bisogno stesso di scegliere qualcosa da seguire insieme: è il fascino della monocultura americana”.
Per la prima volta da che Internet ne ha memoria (parliamo almeno del 2019), questa sarà un’estate senza un tema: una “summer” e basta. È un titolo che di solito si decide di concerto in primavera: ci si riunisce sui social dove si associa il nome di qualche cantante, film o tendenza alla dicitura “summer” e si attende di vedere quale attecchisce di più.
Quella del 2024 è stata indiscutibilmente la “brat summer” di Charli XCX, battezzata come il suo album dal colore verde acido, che ha dominato le classifiche e l’estetica di internet con la stessa intensità con cui, l’estate precedente, si era imposta la “Barbie summer”, tra rivendicazioni femministe gridate sui social e una riappropriazione del rosa e dello stile coquette da parte delle ragazze. Quando all’artista britannica chiedono che cosa vuol dire esattamente “brat summer”, lei adopera una sequenza di immagini precise: “un pacchetto di sigarette, un accendino Bic e un top bianco senza reggiseno”: pochi oggetti per sintetizzare un’estate scanzonata, caratterizzata da eccessi di alcol, di flirt e di danze, e certo priva di sensi di colpa. Quella di Charli è stata cioè una risposta dionisiaca ai tempi incerti in cui stiamo vivendo, tra guerre e continue riconfigurazioni territoriali: è un’ipotesi avanzata dal volume On The Dance Floor (A24, 2024), un compendio visivo e letterario del nostro ritrovato desiderio di far festa, a cui brat ha saputo dare voce perfettamente.
Che cosa desideriamo, invece, nel 2025? Visto che nessuna delle “summer” proposte restava appiccicata abbastanza a lungo nei discorsi da potersi rivelare quella definitiva, abbiamo guardato ancora una volta Charli XCX e le abbiamo chiesto di indicarci la tendenza che avrebbe caratterizzato l’estate a venire. Lei lo ha fatto ad aprile sul palco del Coachella in chiusura al suo concerto, quando sugli schermi alle sue spalle hanno iniziato ad apparire una serie di nomi: David Cronenberg, Paul Thomas Anderson, Joachim Trier. Poi HAIM, PinkPantheress, Addison Rae. E infine, Lorde: sarebbe stata una “Lorde summer”?
Del resto proprio su quel palco, qualche minuto prima, la cantante neozelandese era riapparsa dal vivo per la prima volta dopo anni, duettando con Charli sul remix di Girl, so confusing, un brano costruito come una conversazione lucida e disillusa tra due amiche che si interrogano su cosa significhi essere artiste in un’industria che continua a mettere le donne le une contro le altre. Inizialmente scritto e registrato da Charli per brat, ma già dedicato a Lorde, il pezzo parte da una confessione: all’inizio, infatti Charli, era profondamente gelosa del suo successo.
Esordiscono entrambe nel 2013, quando Lorde pubblica Royals e mentre I Love It, scritta da Charli, diventa un successo globale, ma, come troppo spesso accade, si ricordano solo le interpreti principali, le Icona Pop.
Entrambe con i capelli castani lunghi e ondulati e uno stile inizialmente goth, sembrano il riflesso l’una dell’altra, un’ immagine poi proposta per illustrare il featuring. “I don’t know if you like me / Sometimes I think you might hate me / Sometimes I think I might hate you / Maybe you just wanna be me (Non so se ti piaccio / a volte penso che mi odi / a volte penso di odiarti io / forse vuoi solo essere me), canta, mettendo in scena quella dinamica ambivalente in cui l’ammirazione si confonde con l’invidia, una struttura appresa e poi imposta ai rapporti tra donne. Girl, it’s so confusing sometimes to be a girl (‘Ragazza, è così complicato a volte essere una ragazza’), ripete il coro del brano.
Solo in un secondo momento, quando Charli decide di pubblicare brat and it’s completely different but also still brat, una versione espansa dell’album in cui tutti i brani vengono trasformati in featuring, l’artista manda all’amica-nemica una nota vocale per chiederle di partecipare e raccontare il suo punto di vista sul loro rapporto: “Let’s work it out on the remix” (‘Risolviamola nel remix’) è l’invito che accompagna la proposta.
“Ogni anno diamo un tema alle estati come facevamo da bambini quando organizzavamo le feste: è un modo per segmentare il tempo e dargli un senso, mascherare le stagioni che passano per convincerci di vivere in anni interessanti”.
La strofa che scrive di risposta Lorde è inaspettata e racconta dov’era finita dopo l’uscita avvenuta piuttosto in sordina dell’album Solar Power nel 2021. Spiega, tra le altre cose, il motivo per cui ha declinato all’ultimo momento così tanti dei suoi inviti a cena: “I was so lost in my head / And scared to be in your pictures” (Ero così persa nei miei pensieri che avevo paura di apparire nelle tue foto).
Lorde ha nel frattempo vissuto un disturbo alimentare che ha alterato la percezione del suo corpo, al punto da non riconoscersi più allo specchio e da desiderare, con esso, di scomparire anche lei. La Lorde che si è presentata sul palco del Coachella quest’anno era in effetti una donna distantissima da quella che avevamo lasciato nei videoclip di Solar Power, dove appariva con i capelli decolorati, saltellava qua e là con un sorriso inebetito dentro abiti ariosi e colorati.
Quando i giornalisti le chiedono di descrivere quel disco uscito nel 2021, lei risponde: “è il mio weed album”: “una celebrazione del mondo naturale”. Tra le ispirazioni dell’album cita la controcultura degli anni ’60, i figli dei fiori e il volume Come non fare niente di Jenny Odell.
Una delle canzoni più ascoltate di Solar Power secondo Spotify si intitola Stoned at the Nail Salon (‘strafatta al salone di bellezza’) e racconta la vita che Lorde ha condotto quando per qualche anno si è allontanata dalla scena musicale ed è ritornata a vivere con i genitori in Nuova Zelanda, dove si è dedicata al giardinaggio, ha imparato a cucinare, a meditare. E questo conta anche per la nuova estetica che l’artista ha scelto.
La Lorde che si è presentata al Coachella indossava una t-shirt grigia piuttosto casual, stropicciata, e dei pantaloni larghi dello stesso colore. L’outfit è diventato la seconda immagine nel suo feed Instagram, dopo quella pubblicata giusto qualche giorno prima di un’automobile vista attraverso un vetro sporco su cui è stato disegnato un cuore. Per il resto il profilo era vuoto. Le immagini danzanti e solari del passato sembravano svanite nel nulla: stava avvenendo una metamorfosi, e il probabile annuncio di un nuovo album avrebbe portato con sé anche una nuova versione della cantante.
È quello che succede qualche giorno dopo: su TikTok Lorde si registra in un video caotico mentre cammina per Washington Square Park, a New York, in jeans, camicia bianca, nastro adesivo appiccicato sulle scarpe e con al fianco quel moschettone pesante da cui penzolano le chiavi, un oggetto non diverso da quelli che portano i ventenni che anche da noi decidono di usare le Salomon in città.
Oltre al suono delle chiavi che sferragliano a ogni passo, in sottofondo si avverte una nuova canzone. “Since I was seventeen / I gave you everything / Now we wake from a dream / Well, baby, what was that?” (‘Ti ho dato tutto da quando avevo diciassette anni, ora ci svegliamo da un sogno, tesoro che cos’è stato?’).
Da che cosa si sta svegliando Lorde? In che direzione sta camminando? Qualche giorno dopo, il 24 aprile, la cantante neozelandese scrive ai fan che all’indomani potranno incontrarla nello stesso parco newyorkese, salvo poi cancellare l’evento all’ultimo minuto a causa di un intervento della polizia locale preoccupata da possibili incidenti. All’appuntamento si presenta comunque il suo produttore, Dev Hynes (Orange Blood), che fa ascoltare ai convenuti il nuovo singolo, What Was That: un release party improvvisato a cui si unisce anche Lorde, sopraggiunta a sorpresa, che si mette a cantare insieme ai fan.
Il filmato di quella performance diventa parte del video musicale caricato su YouTube qualche ora più tardi. Nelle altre riprese la si vede mentre cammina per la città con le cuffiette aggrovigliate alle orecchie, sale su una bicicletta Lime e poi la abbandona per terra: “a day in the life” viene da dire. Di quel brano Lorde racconta che per lei rappresenta una personale rinascita: sentimentale, artistica, identitaria. D’altra parte è bastato quel video affinché «Vogue US» decretasse che Lorde avrebbe raccolto il testimone di Charli XCX, e che quella a venire sarebbe stata, a tutti gli effetti, la “Lorde summer”.
Nonostante in quel brano si avvertano ancora gli echi della brat summer (“MDMA in the back garden blowing our pupils up”, “This is the best cigarette of my life”), l’estate proposta da Lorde sarebbe stata indubbiamente differente da quella dell’amica. Se la brat summer era tutta una questione di collant strappati, stivali con tacco a spillo e luci stroboscopiche, la Lorde summer è una questione di capelli lunghi, abiti normcore e una bizzarra energia. La Lorde summer è rompere il telefono e non preoccuparsene. È incontrare un ragazzo sexy e poi non parlargli mai più. È lasciare la festa da sola su una bicicletta Lime, solo perché ti va così.
Se il primo disco, Pure Heroine, che Lorde ha scritto a 17 anni! era il racconto dell’adolescenza, tra gossip e chiacchiericci, profonde amicizie: quel sentimento di star crescendo troppo lentamente rispetto alla grandezza delle emozioni che si stanno provando; il secondo, Melodrama, era invece l’album delle notti folli dei primi vent’anni, delle ossessioni amorose e di ciò che succedeva nei bagni dei club; di conseguenza, Solar Power raccontava allora, chiudendo il cerchio, l’altro lato della stessa generazione: quello delle sveglie alle 5, delle creme SPF 50, dello yoga praticato con YouTube.
Un album che era il naturale preludio a quell’età in cui si ritorna alla leggerezza, ma con una struttura interiore più solida. Assomiglia a una seconda adolescenza: la si riconosce dal modo in cui si sceglie quando andarsene da una festa o come si indossa una t-shirt senza stare a chiedersi se sia stilosa. Un ricentrarsi, insomma, dopo un decennio di dispersioni, compromessi, molti tentativi a vuoto.
Il nuovo album esce a giugno e si intitola Virgin. Per la prima volta dal suo esordio, Lorde in questo caso non collabora col suo produttore storico, Jack Antonoff, con cui si vocifera abbia avuto una relazione mentre lui era fidanzato con Lena Dunham.
Nella copertina di Virgin appare la radiografia (vera) del bacino di Lorde, da cui si intravedono la cintura, i bottoni e la zip dei pantaloni, la spirale inserita nell’utero. Gli oggetti che lo hanno ispirato sono stati un nastro adesivo (con cui si copre il seno in alcune immagini promozionali e nel video di Man of the year) e una gomma da masticare. L’idea è quella di restituire una trasparenza totale – il vinile effettivamente non ha colore – e Lorde lo racconta come il suo personale tentativo di fornire un documento che riflettesse la sua femminilità, “cruda, primitiva, innocente, elegante, pura, spirituale, mascolina”. L’ultimo è il tema che accompagna tutto il disco: il secondo singolo estratto da Virgin si intitola, appunto, Man of the Year, come la celebre festa che ogni anno organizza il magazine «GQ», e in cui vengono premiati gli uomini più rilevanti dell’anno.
Appena esce, tutti credono che la canzone parli di un uomo che l’ha fatta soffrire, ma la cantante in un’intervista spiegherà poi come l’uomo dell’anno, in realtà, è lei stessa. Una scelta simile era stata già adottata anche dalle boygenius, band formata da Phoebe Bridgers, Lucy Dacus e Julien Baker, che hanno deciso di chiamarsi come un gruppo di ragazzi per fare leva sull’ossessione che le bambine nutrono per le boyband (le tre sono state peraltro elette “Men of the Year” nel 2023).
Lorde ha scritto quella canzone giusto dopo aver partecipato alla rituale festa di «GQ», costretta a infilarsi dentro a un abito da sera lungo e attillato, che le ha innescato un’epifania sofferta: “Avevo reciso una sorta di cordone tra me stessa e questa femminilità regolamentata”, dice in un’intervista. L’idea di abitare un corpo che le sta stretto ritorna anche nel videoclip di Hammer dove appare avvolta nella rete di un’amaca sospesa in aria. Sembra intrappolata in una tela di ragno, o finita tra le reti dei pescatori, stritolata, comunque, in una posizione mortale. Eppure, come canta nel brano, questa condizione ha un rovescio positivo: I mighta be born again (‘Potrei essere rinata’).
“Per me era davvero importante che questo album documentasse una femminilità che rispecchia il mio modo di essere donna nel mondo. Ci sono dei lati spigolosi in questo. Non ci sono scuse. Il corpo che ha creato questo album sanguina, soffre e si consuma, e ho cercato con tutte le mie forze di realizzarlo senza vergogna”, confessa ancora in un’intervista. Sempre in Hammer ripete più volte una frase precisa: “Some days I’m a woman / Some days I’m a man” (‘Alcuni giorni sono una donna, altri un uomo’), mentre parallelamente nel videoclip di Man of the Year appare con indosso solo un paio di pantaloni maschili e del nastro adesivo che le schiaccia il seno.
In inglese lo chiamano chest binding ed è una pratica che consiste nel comprimere il torace per renderlo più piatto. Viene solitamente adottata da persone transgender o che soffrono di disforia corporea (come, appunto, Lorde) per sentirsi più a proprio agio nel corpo che si abita e alineare l’aspetto fisico alla propria identità di genere. Lorde affronta lo stesso tema anche in Shapeshifter (‘mutaforme’), dove elenca i ruoli e le identità che le sono stati proiettati addosso, rivendicando la moltitudine. Sul suo sito, tra il merchandising, l’artista vende anche un cappello con alcune delle multivoche definizioni che si è autoattribuita con ironia: “mistica, agli antipodi, tecnologa spirituale, donna di medicina, uomo dell’anno”.
Secondo Daisy Jones, la giornalista di «Vogue» che ha previsto l’arrivo della Lorde summer, questa sarà un’estate liberatoria in cui potremo smettere di inseguire i codici visivi dell’iperfemminilità e non ci dovremo più truccare pesantemente gli occhi o andare in giro con le minigonne fino alle 4 di mattina. “Ho questa teoria secondo cui non siamo mai più noi stessi di quando abbiamo 17 anni. C’è un motivo per cui molte delle nostre canzoni pop preferite, tra cui ‘What Was That’, sono ossessionate da questa età. Ci perdiamo un po’ prima di ritrovarci di nuovo intorno ai 30 anni (il ritorno di Saturno)”, scrive.
“Eppure, in questa continua riconfigurazione del titolo da dare alla ‘summer’, non sta forse l’essenza stessa di Lorde e di ‘Virgin’?”
Ma alla fine pare che la Lorde summer non sia mai arrivata: è il 3 agosto mentre scrivo e ancora nessun titolo di giornale o video di TikTok sembra annunciare la tendenza che caratterizzerà le ultime settimane dell’estate 2025. Quell’articolo di «Vogue», dopotutto, era un tentativo di prevedere il futuro, basato esclusivamente sul primo brano uscito.
Un tweet confuso su X diceva che questa era la “White lotus, Lorde, Addison, hot yoga, ‘All adventurous women do’, Kendall Roy, sunrise on the reaping, Joan Baez Summer”, infilandoci dentro tutte le suggestioni possibili, senza che nessuna riuscisse a davvero a prevalere sulle altre. L’articolo del «New York Times» uscito a fine luglio, che si chiede come mai ogni estate debba essere sempre l’estate di qualche cosa, afferma che questa non sarà di certo la “Lorde summer”, “perché la cantante è più introversa dei suoi colleghi; non ha afferrato il ruolo di mascotte della stagione”.
Eppure, in questa continua riconfigurazione del titolo da dare alla “summer”, non sta forse l’essenza stessa di Lorde e di Virgin? L’idea di cambiare forma, di essere tante cose contraddittorie allo stesso tempo, di passare con disinvoltura dal nastro adesivo ai jeans larghi, anticipando una femminilità mascolina e post-gender? “Capisco come quella sensazione di leggerezza abbia ispirato Lorde a realizzare un album”, scrive una giornalista di «Elle» provando lei stessa il nastro adesivo sul petto, nel tentativo di entrare più a fondo nel processo creativo dell’artista. Si tratta, finalmente, di essere nel proprio corpo senza il disagio di essere fissati, rimproverati: è una sensazione di libertà impunita e totale.
La stessa che guida anche il suono dell’album: Virgin è un disco in cui fa tutto la voce. I versi sono confessioni – a volte sussurrate, altre urlate in maniera viscerale – inframezzate però da lunghi silenzi riflessivi. La musica proviene da lontano, sembra quasi un’eco distante, come se non importasse davvero. “Il compito della musica sembra essere quello di non mettersi in mezzo”, scrivono nella recensione su «Pitchfork».
E se questo stile disadorno, intenzionalmente ordinario che Lorde ha indossato (e cantato) nell’ultimo anno rientra perfettamente nella categoria “normcore” (termine coniato una decina di anni fa per descrivere l’atto di performare abbigliamento basico), forse è anche perché intercetta una stanchezza collettiva.
Il ritorno del “normcore” era stato in effetti previsto da «Vogue Business» e sancito nel 2025 come lo stile a cui saremmo ritornati in sordina. Alla base, secondo «Forbes», ci sarebbe la fatica della Generazione Z di rispondere ogni volta alle microtendenze, un modo per rinunciare una volta per tutte a quei trend che cambiano ogni dieci giorni e a cui si può tener testa, almeno sul fronte economico, solo ricorrendo al fast fashion.
Per «Dazed», il normcore è una forma di difesa estetica, un modo per sottrarsi allo scrutinio online nell’era della sorveglianza algoritmica e dell’IA. Altre esponenti del normcore nella musica pop sono Addison Rae (che indossa sempre e solo short di jeans, t-shirt e tacchi alti) e le HAIM (da sempre in jeans e camicetta), il trio californiano sul cui stile, per questa rivista, ha già scritto Daniele Cassandro.
È una “Lorde summer” proprio perché non ce ne siamo accorti, si è insinuata dentro di noi e l’abbiamo messa in pratica senza grandi annunci. Se durante tutta la brat summer siamo stati spinti a dare nell’occhio, guidati dallo spirito del verde acido, imprudenti e maliziosi, obbligati a divertirci ogni sera, ora possiamo semplicemente tirare un respiro, uscire in jeans, esistere – e basta.
Francesca Faccani
Francesca Faccani fa parte della redazione culturale di «Vogue Italia». Ha scritto per diverse testate, come «Rivista Studio», «GQ» e «Cosmopolitan», per la televisione e per brand di moda.
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