"Mon Inséparable" è un film toccante sulla disabilità e sull'amore - Lucy
articolo

Emiliano Ceresi

“Mon Inséparable” è un film toccante sulla disabilità e sull’amore

03 Settembre 2024

Anne-Sophie Bailly, in concorso a Orizzonti, confeziona un film che racconta del rapporto tra una madre e il figlio affetto da un ritardo intellettivo con uno sguardo limpido, attento e privo di pietismo.

Lontano dalle urla estatiche per George Clooney e Brad Pitt, oltre le porte girevoli dell’Excelsior, i campi da tennis, le ville residenziali da cui svettano le Grazielle, nel silenzio del PalaBiennale viene proiettato My everything (titolo originale Mon Inséparable), toccante esordio al lungometraggio della regista francese Anne-Sophie Bailly, in concorso nella sezione Orizzonti. 

Il film narra del  complesso rapporto tra Mona, interpretata dalla bravissima Laure Calamy, e  suo figlio Joël, un ragazzo  affetto da un ritardo intellettivo. I due sono entrambi molto credibili nei loro ruoli: Joël quando trascina le frasi, incespica nei passi e nelle parole, fa ciondolare il capo chino; Mona nel cercare spazi di autonomia e desiderio lontani dal figlio, quando lascia affluire sul volto la propria esasperazione o sposta una sigaretta dalla mano alla bocca con gli occhi rossi fissi nel vuoto (sorprendente il modo in cui Calamy riesce a restituire il trascolorare fulmineo degli stati d’animo).

E del resto i due, proprio come i pappagalli che ospitano a casa e che litigano di continuo sono, in questo controverso equilibrio, due inseparabili.

A preoccupare Mona, infatti, non c’è solo il presente del figlio, che lavora in un centro di tutela e inserimento seguito da professionisti, ma il futuro di lui senza di lei. Quando Mona va a trovare la vecchia madre in ospedale, ormai in gravissime condizioni di salute, ricorda commuovendosi con l’infermiera i giorni di bambina in cui era lei a godere le sue cure durante una brutta pertosse.La replica dell’infermiera (“Arriva sempre il giorno in cui i ruoli si invertono”) tinge di preoccupazione il volto di Mona, che non riesce (o forse non può) immaginare suo figlio ad accudirla. Le poche sere che la donna esce a bere – “Sto provando ad allentare la tensione” dice alla migliore amica – Joël, d’altronde, è affidato a una badante. 

Per certi versi il rapporto che Mona ha con Joël ricorda da vicino altre protagoniste-madri del cinema recente. Come Diane in Mommy di Xavier Dolan, Mona è spesso dura con il proprio figlio, talvolta avverte pericolo a stare in sua compagnia o ne subisce le gelosie perverse; altre lo cerca assecondandolo nelle sue fantasie più bizzarre – è così che il sogno, a lungo vagheggiato da Joël, di visitare il Polo Sud diventa occasione per un breve viaggio on the road verso il Mare del Nord, ma sulle spiagge del Belgio. Ad accomunarla a Diane stanno poi le zeppe, lo smalto consumato, la passione per la musica pop che affiora ogni volta che Mona sale in macchina o le squilla il cellulare lasciando intendere il sopito desiderio di leggerezza dietro le troppe preoccupazioni materne: indimenticabili le scene di Mommy, col piano stretto dove si balla a tre sulle note di Céline Dion in cucina.

Mona evoca , poi, la protagonista di Mother  di  Bong Joon-ho, anch’essa madre di un figlio affetto da un deficit mentale. Ad accomunarle c’è la premura angosciosa che entrambe hanno per i propri figli, la fedeltà quasi primordiale, sanguigna, per la loro protezione. La novità della pellicola di Anne-Sophie Bailly sta forse nel non voler celare, neppure per un attimo, l’insofferenza commista ad affetto, che Mona prova per il proprio figlio: quasi del tutto assente nel sentimento estremo del regista asiatico. In questo, a ben vedere, è molto diversa anche dalla Manuela così indulgente verso l’esuberanza del figlio aspirante scrittore (Tutto su mia madre) di Almodovar, che giusto stasera presenterà il suo nuovo e (come di consueto) atteso film qui a Venezia.

L’equilibrio della pellicola, come sottolinea il commento musicale, subisce un urto quando dal centro di tutela viene comunicata la notizia che Joël ha messo incinta Océane, anche lei  affetta da disturbo intellettivo, che lavora con lui nello stesso centro. Li vediamo all’inizio del film cercarsi, complici nei gesti, tra i corridoi della Maintenance: respirarsi vicino e nascondersi negli antri mentre gli altri intanto lavorano.

Il desiderio di Joël e di Océane, ribadito su richiesta degli psicologi, è tenere il figlio.

È da questo momento che Joël, che è sempre stato il bambino che si perde nei supermercati,  o che urla davanti ai videogiochi, deve compiere la sua formazione. E lo capisce anche Mona che, esasperata dalla sua dipendenza, dopo averlo perso a una parata in seguito all’ennesimo litigio ne denuncia la scomparsa senza troppo cercarlo, per dedicare un po’ del suo tempo a se stessa, per un momento libera anche di urlare l’indicibile: “Volevo un figlio normale”.

Ma soprattutto lo comprende Joëlche, portato dal commissariato all’indirizzo belga del padre che lo ha disconosciuto (“Non so nemmeno se mi capisce!”) decide di tornarsene a casa da solo. Da qui in poi Joël è  solo, e a suggerirlo è la stessa regia che lo inquadra sempre più lontano dalla madre.

Nel suo ultimo e bellissimo romanzo, Nati due volte, Giuseppe Pontiggia racconta la storia in parte autobiografica delle difficoltà quotidiane a cui è sottoposto il genitore di un ragazzo disabile. La spiegazione che Pontiggia usava per spiegarne il titolo ben si adatta anche a My everything: “Questi bambini nascono due volte. Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile. La seconda dipende da voi”. 

My everything racconta, riuscendoci con acutezza e senza scivolare in prevedibile retorica, il controverso percorso di distacco da un figlio che diventa per lui l’occasione di una seconda nascita. è solo assecondando i suoi desideri, talvolta la sua insofferenza, che Mona assume consapevolezza di quelli di Joel e diventa  così inseparabile da lui,  ma a un livello certo più profondo.

Emiliano Ceresi

Emiliano Ceresi è ricercatore universitario, editor e autore di Lucy.

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