Quando l’estrema destra dice “remigrazione” intende “deportazione” - Lucy
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Luigi Mastrodonato

Quando l’estrema destra dice “remigrazione” intende “deportazione”

04 Febbraio 2025

L’espressione “remigrazione” è diventata molto popolare nell’estrema destra di tutto il mondo. Chi la usa, vuole sbarazzarsi dei migranti, ma in un modo più subdolo.

A inizio gennaio il deputato leghista Rossano Sasso ha usato un’espressione fino a quel momento inedita per il Parlamento italiano. Sasso, noto tra le altre cose per aver difeso il “diritto allo speronamento” per le forze dell’ordine nel caso della morte a Milano del 19enne Ramy Elgaml, quel giorno stava commentando la notizia delle presunte violenze sessuali occorse in piazza Duomo la sera di Capodanno. Esprimendo solidarietà alla vittima e pronunciando la sua sentenza di colpevolezza contro “decine di immigrati islamici”, Sasso ha lanciato il seguente slogan: “Remigrazione unica soluzione”. Più o meno negli stessi giorni Alessandro Corbetta, capogruppo della Lega in Regione Lombardia, sempre commentando i fatti di Capodanno di Milano ha detto che in Italia “dobbiamo parlare di remigrazione”, cioè di un rimpatrio nei rispettivi paesi di generici “clandestini e criminali, ma anche di stranieri che scelgono di non volersi integrare”. Anche il consigliere lombardo della Lega, Riccardo Pase, ha commentato le presunte violenze in Piazza Duomo usando il termine remigrazione nel senso di “rimpatrio dei clandestini e di chi non si vuole integrare”. Lo stesso hanno fatto poi alcune sezioni di Lega giovani, come quelle di Como e Milano.

La destra italiana sembra aver coniato un nuovo termine per giustificare le deportazioni degli stranieri. Ma tanto nuova l’espressione non è. Di remigrazione si parla da tempo. I partiti di estrema destra in Germania e in Austria ne hanno già fatto un pilastro della loro propaganda, al punto che sul tema  si sono già svolti incontri (anche se clandestini).

Anche Donald Trump, durante la sua campagna elettorale, ha promesso la “remigrazione dei clandestini di Kamala Harris”. E anche in Francia il termine comincia ad attecchire. Oggi, quando si parla di remigrazione, non si fa più riferimento a un concetto oscuro, popolare solo in piccoli circoli di nicchia, ma a un’ideologia che ha vissuto un profondo processo di legittimazione ed è entrata nelle agende politiche di diversi paesi, Italia compresa. Un progetto che parrebbe destinato, nelle intenzioni di chi lo sostiene, a risultare effettivo nel lungo termine, ma di cui si inizia già a vedere qualche traccia concreta.

Alla fine dell’Ottocento, nei circoli antisemiti europei, aveva iniziato a circolare un’idea. Trasferire forzatamente milioni di ebrei in qualche luogo sperduto dell’Africa, come la colonia francese del Madagascar. A partire dal 1937, quella che poteva sembrare solo una farneticazione antisemita, si fece piano concreto. Il governo polacco sondò con Francia e Gran Bretagna la fattibilità della deportazione di un milione di ebrei sull’isola e alcuni emissari furono perfino autorizzati a fare un’ispezione in loco. Nel 1940, il progetto venne adottato dalla Germania nazista. Il “Piano Madagascar”, elaborato da Franz Rademacher, capo del Dipartimento ebraico del Ministero degli Affari Esteri, prevedeva che  la Francia cedesse alla Germania la sua colonia africana e che iniziassero a esservi trasferiti un milione di ebrei all’anno per un periodo di quattro anni. Il piano alla fine naufragò perché l’isola passò  dalla Francia – che pareva comunque disposta all’accordo –, alla Gran Bretagna. 

Se il suo utilizzo nel gergo della politica è relativamente recente, Il termine remigrazione è utilizzato già da decenni nelle scienze sociali e sta a indicare il ritorno volontario di una persona migrante nel suo paese di origine, dato perlopiù dal venire meno delle motivazioni e dei benefici a rimanere nel paese di approdo. A partire dagli anni Novanta  l’espressione entra a far parte della propaganda dell’estrema destra, in particolare quella francese del Front National, tradendo così la sua originaria applicazione in ambito accademico. Adottato poi dai movimenti identitari, nello scorso decennio ha ispirato, sempre in Francia, la nascita di realtà come il “Movimento per la remigrazione” e di eventi come il “Convegno della remigrazione”, con l’obiettivo di persuadere le persone migranti a tornare, per loro volontà, nel proprio paese d’origine.

“La destra italiana sembra aver coniato un nuovo termine per giustificare le deportazioni degli stranieri. Ma tanto nuova l’espressione non è. Di remigrazione si parla da tempo”.

Come ha spiegato al «Guardian» Eviane Leidig, ricercatrice specializzata in estremismo e radicalizzazione online, il termine remigrazione è strettamente legato al complotto della “grande sostituzione etnica”,  che sostiene sia in atto un piano teso alla sostituzione dei bianchi in Occidente con individui di altre etnie. “Se la grande sostituzione è la diagnosi della società,  la remigrazione è la cura”, scrive  Leidig. Un assunto che trova conferma nelle dichiarazioni dei leader politici dell’estrema destra, anche italiana. Questo fantomatico pericolo della grande sostituzione etnica è stato più volte evocato da Matteo Salvini, Giorgia Meloni e da altri membri del governo, come il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.  Non sorprende dunque che nelle ultime settimane in Lega e Fratelli d’Italia si sia iniziato a parlare apertamente di remigrazione.

È una giornata di fine novembre a Potsdam, in Germania. Martin Sellner, militante di estrema destra austriaco, sta presentando davanti alla platea il suo piano: creare uno Stato nell’Africa settentrionale dove trasferire circa due milioni di persone migranti, anche di seconda o terza generazione. Non siamo negli  anni Quaranta, ma nel  2023. Non è un circolo xenofobo marginale  e sotterraneo quello a cui appartiene Sellner, ma un nutrito ritrovo a cui partecipa, tra gli altri,  Alternative für Deutsch­land, il principale partito di estrema destra in Germania, dato oggi a circa il 22 per cento dei consensi.

Sellner nel suo discorso usa più volte la parola remigrazione e non fa distinzioni su chi dovrebbe lasciare la Germania. I richiedenti asilo, certo, ma anche gli immigrati regolari, e persino i i cittadini di origine straniera “non assimilati”. Quindi anche tedeschi a tutti gli effetti, nati in Germania.

Come sottolinea Sellner nel suo discorso di Potsdam, il grande piano di deportazione, per potersi realizzare appieno, deve far leva proprio sulla volontarietà degli indesiderati, inducendo il loro ritorno nel paese d’origine (anche di chi, appunto, è tedesco di nascita) forzatamente. Per Sellner occorre approvare leggi ad hoc che rendano loro molto più difficile la vita quotidiana in Germania, così che andarsene diventi per loro non una scelta, ma una necessità. Un piano, ovviamente, discriminatorio e in forte contrasto con la Costituzione tedesca.

L’incontro di Potsdam è venuto alla luce grazie a un’inchiesta del magazine «Correctiv», che ha svelato anche l’apprezzamento dei parlamentari di Afd presenti per il piano di remigrazione presentato dall’ideologo austriaco. Al punto che la deputata Gerrit Huy ha dichiarato che già da anni pensava a una soluzione di questo tipo per risolvere il problema dei migranti.  A seguito dell’inchiesta, in Germania sono state organizzate massicce e partecipate manifestazioni contro il partito di estrema destra, che non ha però receduto dai suoi propositi, anzi. 

Solo qualche settimana fa Afd ha distribuito volantini che avevano l’aspetto di finti biglietti aerei, destinati agli “immigrati illegali”. Le stesse idee discriminatorie sono state sposate dal Partito della Libertà d’Austria (FPÖ), che dopo aver  lanciato lo slogan “Abbiamo bisogno della remigrazione”, ne ha fatto un caposaldo del suo programma, arrivando persino a proporre la nomina di un “Commissario Ue per la remigrazione”. Lo scorso settembre il FPÖ ha vinto le elezioni austriache ottenendo più del 28 per cento dei consensi. Anche Reconquête, il partito di estrema destra francese guidato da Éric Zemmour – che alle elezioni europee del 2024 ha nominato per la prima volta cinque eurodeputati – crede con forza nella remigrazione.

Ha proposto l’istituzione di un “Ministro della remigrazione” e in campagna elettorale ha presentato un piano dettagliato per deportare nel giro di cinque anni un milione di persone fuori dalla Francia.

Cosa significa? Che nel bel mezzo dell’Europa alcuni dei partiti più forti e con ampia rappresentanza nelle istituzioni, sono già al lavoro per rendere la remigrazione realtà attraverso piani dettagliati.

Remigrazione è diventato un termine mainstream, utilizzato in tutto il mondo e in particolar modo dai politici populisti di estrema destra”, ha spiegato al «Guardian» Julia Ebner, ricercatrice presso l’Institute for Strategic Dialogue e l’Università di Oxford. L’espressione è stata quindi ormai sdoganata e legittimata dal suo uso politico. 

Nel settembre 2024 il governo svedese, su impulso del partito di estrema destra Sweden Democrats, ha proposto un sussidio fino a 30mila euro da corrispondere a ciascuna persona migrante che decidesse di tornare nel proprio paese di origine. “L’obiettivo è quello di fermare l’afflusso di nuovi migranti e aumentare la remigrazione utilizzando sia la carota sia  il bastone”, ha dichiarato l’eurodeputato svedese Charlie Weimers. “Aumentare il beneficio finanziario per andarsene è un primo passo. Se gli incentivi per aumentare la remigrazione volontaria non avranno successo, insisteremo su altri mezzi, tra cui le deportazioni forzate”. L’iniziativa della Svezia ricalca a grandi linee il piano presentato dall’estremista austriaco Martin Sellner al convegno di Potsdam: creare le condizioni perché le persone migranti o di origine migrante se ne vadano, attraverso dispositivi legislativi repressivi camuffati da misure di sussitenza. Se da una parte quindi si ostacola con forza l’integrazione, dall’altra si offre una soluzione (certo, una soluzione a un problema creato strumentalmente). 

Il piano svedese è forse quello che oggi più si avvicina al concetto teorico di remigrazione così come modellato dall’estrema destra europea, ma forme embrionali dello stesso si trovano anche altrove. Il partito conservatore del Regno Unito, fino a pochi mesi fa al governo, ha eleborato e sostenuto un piano per deportare migliaia di persone migranti in Ruanda, offrendo 140 milioni di euro al paese africano. Una misura che non riguardava tutte le persone con una storia personale o familiare di migrazione verso il Regno Unito, ma i soli richiedenti asilo, dunque una delle tre categorie di persone incluse dall’ideologo austriaco Sellner nel suo piano di Potsdam. Una remigrazione parziale insomma, priva anche del principio di volontarietà, non troppo dissimile da quella voluta da Giorgia Meloni con i suoi centri in Albania, dove trasferire i richiedenti asilo intercettati nel mar Mediterraneo, prima ancora che tocchinoil suolo italiano. Un’evoluzione questa della remigrazione all’inglese, dai tratti illegali e anti-umanitari che, proprio come quella inglese, si sta rivelando fallimentare. Ma se il nuovo primo ministro inglese Keir Starmer ha dichiarato sepolta la legge sulle deportazioni in Ruanda, definendola “disumana e dispendiosa”, il governo italiano non ha intenzione di abbandonare i suoi propositi. 

Proprio in questi giorni infatti, il governo italiano ha messo in atto (o meglio: in scena) una nuova deportazione di persone migranti nei centri in Albania. Nelle scorse settimane Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia di Fratelli d’Italia del governo Meloni, ha ricondiviso un articolo del quotidiano «La Verità», che pronosticava il grande successo nel 2025 della parola Remigrazione. Prepariamoci a una nuova era di deportazioni allora, e a incontri come quelli di Potsdam, questa volta in Italia. Secondo quanto rivelato dalla stampa, il 17 maggio a Milano dovrebbe infatti tenersi un raduno internazionale dell’estrema destra europea. L’organizzatore dell’evento? L’ideologo austriaco Martin Sellner. Il nome dell’evento? Remigration Summit.

Luigi Mastrodonato

Luigi Mastrodonato è un giornalista freelance. Collabora con testate come Internazionale, Domani, LifeGate e si occupa di temi sociali e marginalità, con un focus particolare su carceri e abusi di potere. È autore e voce del podcast “TREDICI”, uscito nel 2023 per «Il Post».

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