Sottomesse - Lucy
articolo

Valentina Pigmei

Sottomesse

12 Marzo 2024

Dalla Bibbia al Corano, passando per i bestseller editoriali e le canzoni pop, il ruolo della donna è sempre lo stesso: subordinato all’uomo. Oggi che il femminismo sembra essere alla portata di tutte – e di tutti – , le cose sono destinate a cambiare? Non è semplice, perché violenza dell’uomo e sottomissione della donna si fondano spesso su un’idea perversa delle relazioni.

Ognuna ha i suoi traumi. Il mio riguarda Franco Califano. Era uno dei miei primi giorni di lavoro da ufficio stampa, quando il Maestro, come lo chiamava Alberto Castelvecchi, telefonò in casa editrice per parlare del suo libro di prossima pubblicazione. Terrorizzata da quella voce così ruvida e non esattamente cordiale, mi misi a sfogliare il volumetto che avrei dovuto promuovere: Il cuore nel sesso. Sottotitolo: “Libro sull’erotismo, il corteggiamento e l’amore scritto da uno ‘pratico’”.

Il libro, che conteneva una serie di consigli del Maestro su come conquistare, trattare e infine fare l’amore con una donna, era niente altro che un compendio – spassoso nella sua sfacciataggine – di misoginia. Quando arrivai al capitolo finale intitolato “La seconda è da facchini” – riferimento al fatto che con una donna, secondo il cantautore, bisognava fare l’amore una volta sola e bene, mentre farlo due volte sarebbe svilente per entrambi – ricordo di aver riso, e stop. Oggi, vent’anni dopo, visualizzo un sensitive reader impegnato nell’editing del testo: mi chiedo che cosa rimarrebbe dell’ardito volumetto. 

La mia generazione, quella nata a metà degli anni Settanta, è cresciuta divorando romanzi come Il Danno di Josephine Hart (1991) – “Chi ha subito un danno è pericoloso. Sa di poter sopravvivere” lo trascrivevo su tutti i miei diari, insieme alle citazioni di Anais Nin – e con saggi come Donne che amano troppo di Robin Norwood (1989) sul comodino. Siamo cresciute intonando spensieratamente Minuetto di Mia Martini (scritta, non sarà un caso, da Franco Califano), un inno alla dipendenza affettiva, o l’apologia dello stalker per eccellenza: Ti pretendo di Raf; abbiamo creduto che fosse normale “elemosinare amore”, “non saper dir di no” e colpevolizzarci sempre e comunque (“la colpa forse è solo mia / avrei dovuto perderti, invece ti ho cercato”).

“Il libro, che conteneva una serie di consigli del Maestro su come conquistare, trattare e infine fare l’amore con una donna, era niente altro che un compendio – spassoso nella sua sfacciataggine – di misoginia”.

So bene che all’epoca il femminismo esisteva già e magari alcune mie coetanee leggevano Il secondo sesso e si occupavano di studi di genere, tuttavia, credo che a chiunque sia capitato di cantare senza esitazioni Teorema o Bella senz’anima, magari durante una gita scolastica. Quanto a me, ciò che di più femminista trovavo a casa era Paura di volare di Erica Jong e Un uomo di Oriana Fallaci, e nessuno mi ha mai messo in guardia da amori tossici o parlato di cultura patriarcale, cosa che non si può dire fortunatamente per le nuove generazioni.

Mi chiedo allora: sarebbe forse stata diversa la nostra vita sentimentale senza tutte quelle canzoni di Mogol mandate a memoria? E se le storie d’amore sbagliate, i sacrifici, le attese, i pianti solitari, quell’esporci pericolosamente al “danno”, al carnefice, dipendessero anche dalla cultura della sottomissione che abbiamo assorbito quasi senza accorgercene? Sarà un caso che il self help più famoso della nostra generazione sia stato proprio il campione di sessismo benevolo Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere di John Gray (1992), bestseller con 50 milioni di copie? 

“È incredibile pensare a come la nostra cultura e la percezione dell’amore”, scrive bell hooks in Comunione (Il Saggiatore, 2023) “avrebbero potuto cambiare se invece di libri come Donne che amano troppo e Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere avessimo letto di donne che amano bene e perché. Invece di leggere altre opere che sotto le mentite spoglie dell’auto aiuto colpevolizzano le donne, concentreremmo i nostri cuori e le nostre menti su ciò che conta davvero. Conta che le donne affrontino la propria realtà a testa alta, senza menzogne e senza infingimenti”.

I libri di bell hooks sono usciti in Italia con grande ritardo (questo è del 2002 ed è stato tradotto da noi solo nel 2023). Peccato, perché avremmo capito prima che “molte di noi non erano donne che amavano troppo; non amavamo affatto, eravamo donne emotivamente bisognose, alla disperata ricerca di riconoscimento da parte del partner”, scrive ancora hooks che conferma come negli anni Novanta sia quasi del tutto mancato “un discorso femminista intelligente sull’amore”.

In realtà “un discorso femminista intelligente sull’amore” manca ancora oggi o se c’è stato, manca comunque un pezzo. Rimane fuori qualcosa che non abbiamo del tutto affrontato. Secondo Manon Garcia, filosofa femminista millennial, il movimento #MeToo si è occupato molto della dominazione e poco della sottomissione.

Garcia, che ha scritto Sottomesse non si nasce, lo si diventa (Nottetempo), sostiene che la sottomissione sia un comportamento socialmente prescritto alle donne e non agli uomini. Nel Nuovo Testamento e nel Corano la sottomissione femminile è descritta come raddoppiamento alla sottomissione dell’uomo a Dio: l’uomo deve essere sottomesso a Dio e allo stesso modo la donna all’uomo. L’uomo è quindi come un Dio per le donne.

Per Rousseau è necessario educare le donne a essere sottomesse, mentre Freud introduce il concetto di sottomissione come una naturale caratteristica delle donne. L’analisi freudiana del masochismo fa luce sul legame tra sottomissione e femminilità: il masochismo delle donne identificato da Freud non è considerato una perversione delle donne, ma una perversione degli uomini: normale nei soggetti femminili, la cui femminilità sarebbe per natura masochista poiché passiva e fondata sul senso di colpa, semmai problematico per negli uomini. E senza scomodare Freud, lo scriveva già Mogol (“Io me ne andrò sarò un uomo / Tu piangerai seguendo la tua natura di donna”).

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Il punto del libro di Garcia è che la sottomissione ha le sue ragioni che il femminismo ha spesso ignorato. Per prima cosa sottomettendosi le donne sono meno socialmente punibili; talvolta sottometterci ci dà piacere, ma nella maggior parte dei casi, il motivo che giustifica la sottomissione sta nella paura che la ribellione abbia un prezzo troppo alto da pagare. Ci sono donne emancipate che sono state o continuano a stare in relazioni tossiche, disfunzionali o avvilenti, e Garcia ci invita a ragionare su di loro (cioè su di noi):

Perfino le donne più indipendenti e più femministe si sorprendono ad amare lo sguardo di conquista che gli uomini rivolgono loro, a desiderare di essere un oggetto sottomesso nelle braccia del proprio partner, o a preferire i lavori domestici. […] 

Desideri e piaceri di questo tipo sono incompatibili con l’indipendenza delle donne? Rappresentano il tradimento di secoli di storia femminista? Possiamo pretendere che siano gli uomini a fare “il primo passo” e, al contempo, rivendicare la parità di genere? Le ambiguità delle donne su questi argomenti saltano agli occhi nella vita di tutti i giorni o appena si apre una cosiddetta rivista femminile: le donne devono essere libere, avere una carriera, non accettare trattamenti degradanti da parte degli uomini ma, al tempo stesso, queste riviste traboccano di consigli e di norme su come essere un oggetto sessualmente attraente, una moglie servizievole, una madre perfetta.

Garcia, che compie anche una rilettura dell’opera di Simone de Beauvoir, non dimentica di sottolineare che per la filosofa francese era già chiaro che la parola ‘amore’ non avesse affatto lo stesso senso per l’uno e l’altro genere: gli uomini hanno con l’amore un rapporto di conquista, e l’amore non definisce la loro esistenza, così che, anche se sono innamorati persi, le loro pene sono solo provvisorie e la loro identità non è in gioco. Invece per le donne l’amore è simile a una rinuncia a sé stesse: l’amore femminile consiste spesso nel “perdersi corpo e anima in colui che le è additato come l’assoluto, l’essenziale”. 

Quante canzoni, quanti romanzi e quanti film abbiamo ascoltato, letto e visto in cui la donna rinuncia a sé stessa per l’amore di un uomo? L’“amore-abdicazione”, come lo chiama Manon Garcia, è raccontato in un libro sconvolgente di cui si è curiosamente parlato poco in Italia. Si tratta dell’ultima opera pubblicata in Italia dell’autrice, ma uscita in Francia nel 2001: Perdersi di Annie Ernaux (L’Orma, 2023). L’autrice, Premio Nobel nel 2022, racconta qui in forma diaristica una relazione “annientante” avuta con S., un diplomatico russo di 15 anni più giovane di lei, alla fine degli anni Novanta. Il libro mette in fila in poco più di 200 pagine tutto ciò che una donna emancipata non dovrebbe fare con un uomo: Annie attende per giornate intere le telefonate del suo amante, addirittura non esce di casa pur di non rischiare di perdere le chiamate, si dimentica quasi completamente del mondo fuori, dell’impegno politico, della scrittura, “perché niente conta più a parte il desiderio”. E ogni volta Annie, dopo aver aspettato invano la chiamata, quando finalmente sente la voce di S. viene colta da una felicità immediata, e l’angoscia scompare: “Mi viene da piangere, da ridere. Mi metterò a lavare i pavimenti, i bagni, a fare un po’ di pulizie per accoglierlo, il “maschio”, l’uomo, colui che per un certo tempo riconosco come un dio”. E ancora più avanti: “E mi domando se, in qualche modo, io non stia aspettando un uomo che mi fecondi, come una cagna, per poi mostrargli i denti”. In bilico tra consapevolezza e totale annullamento, Ernaux sa bene che per un intero anno non è stata altro che “una comparsa” nella sua stessa vita.

“Quante canzoni, quanti romanzi e quanti film abbiamo ascoltato, letto e visto in cui la donna rinuncia a sé stessa per l’amore di un uomo?”

A una prima lettura questo sembrerebbe il romanzo meno femminista di un’autrice che ha messo il femminismo al centro della sua opera letteraria. Eppure è proprio il contrario, ma forse non siamo pronte ad accettarlo: il romanzo-diario di Annie Ernaux è la confessione lancinante di una donna di 48 anni, una donna che ha decostruito per tutta la vita la mascolinità tossica, eppure perde la testa per un uomo conformista e “intellettualmente insignificante”. In questo senso Perdersi è un libro politico perché ha il coraggio di addentrarsi in quella frattura tra l’ideologia e la verità più umana, e profonda. Forse più che di verità dovremmo parlare di “radice”, rubando il termine a Lea Melandri, femminista autrice di testi fondamentali come Amore e violenza e Come nasce il sogno d’amore, che ci ricorda da sempre la necessità di andare a fondo nelle radici del legame d’amore, legame che nasce da un bisogno atavico, pre-politico. Come diceva del resto bell hook, esiste un “vuoto d’amore”: e il patriarcato, come ogni sistema coloniale, non crea un ambiente in cui le donne e gli uomini possano amarsi.

Proprio Lea Melandri qualche settimana fa in una trasmissione televisiva ha ribadito che “il femminismo ha esitato nell’analisi dell’amore” e che “per capire la violenza bisogna interrogare l’amore”. L’amore, per Melandri, non è poi cambiato molto, nemmeno per le nuove generazioni Lo confermerebbero i dati rilasciati di recente dal report Ipsos/Save The Children sulla vita sentimentale degli adolescenti. Tra gli altri, emerge che il dato che il pianto, le capacità relazionali e di cura vengono ancora associate all’universo femminile.

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Quasi il 69% degli adolescenti pensa che le ragazze siano più predisposte a piangere dei ragazzi, il 64% che siano maggiormente in grado di esprimere le proprie emozioni, il 50% di prendersi cura in modo più attento delle persone. Il 39% degli adolescenti (maschi e femmine) ritiene che le ragazze siano più inclini a sacrificarsi per il bene della relazione, la percentuale sale al 51% tra le ragazze.

Nonostante ci sia molta più attenzione a certe tematiche, nonostante il femminismo sia diventato innegabilmente mainstream e Barbie sia il film più visto del 2023, quando si parla di paure, desideri e bisogno d’amore, allora le ragazze non sono troppo diverse da quelli di 30 o 40 anni fa. Nulla, o quasi, sembra sia cambiato da quanto cantavano “La mattina c’è chi mi prepara il caffè / Questo io lo so / E la sera c’è chi / Non sa dirmi no”. 

Valentina Pigmei

Valentina Pigmei è giornalista e consulente editoriale. Ha fondato l’associazione femminista “La città delle donne” e collabora con diverse testate.

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