Tutto è destinato all’oblio: "L’ultimo amore del principe Genji" a teatro - Lucy sulla cultura
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Ivan Carozzi

Tutto è destinato all’oblio: “L’ultimo amore del principe Genji” a teatro

02 Ottobre 2025

La regista Marilena Katranidou porta in scena al Reggio Parma Festival, dal 9 al 12 ottobre, lo struggente racconto di Marguerite Yourcenar.

La storia dell’incontro tra la regista teatrale Marilena Katranidou e Marguerite Yourcenar risale a molti anni fa. Un pomeriggio di primavera, all’epoca in cui era ancora una studentessa, Katranidou era a spasso sul lungomare della sua città natale, Salonicco. Si era accorta di non avere con sé il portafoglio, lo aveva dimenticato a casa, e così si era ritrovata con un’unica moneta da due euro. Perciò aveva cominciato a immaginare come poter spendere quel minuscolo capitale. “Era diventato una specie di gioco tra me e me”, racconta Katranidou durante una pausa nel foyer del Teatro Due di Parma. A un certo punto, dice, si era imbattuta in una bancarella di libri usati e un volume aveva attratto la sua attenzione. Era L’ultimo amore del principe Genji, novella di Marguerite Yourcenar. Prezzo: due euro. Affare fatto. Marilena comprò il libro, lo lesse tutto d’un fiato, mentre ancora camminava sul lungomare e quando arrivò all’ultima pagina, si vide come di fronte a uno specchio, anche perché all’epoca si trovava nel bel mezzo di un importante legame sentimentale. Oggi Katranidou è un’apprezzata regista. Da giovedì 9 a sabato 12 ottobre porterà in scena a Parma un nuovo lavoro liberamente ispirato alla novella della Yourcenar. Le musiche originali, composte da Apostolis Koutsogiannis, disegnano un paesaggio di assoluto fascino, anche grazie al suono malinconico e immemoriale del qanun, strumento a 78 corde della tradizione classica araba, e del bayan, fisarmonica sviluppata in Russia all’inizio del XX secolo.  

Il giorno della prima il pubblico troverà, al posto del consueto foyer del Teatro Due, un ambiente completamente rivisitato da Katranidou e dalla scenografa e costumista Dido Gkogkou. Il pubblico verrà invitato a percorrere il corridoio di un tradizionale interno domestico giapponese, fatto di pareti leggere e pannelli opachi semitrasparenti, dietro i quali si animano le silhouette e i gesti di vaghe presenze femminili. Alla drammaturgia partecipa un gruppo di attrici, danzatrici e performer, tutte di origini greca, oltre a musicisti dal vivo e un ensemble vocale che si cimenterà tanto in una serie di armonie polifoniche tradizionali, quanto in esperimenti più affini a pratiche d’avanguardia. 

“I libri e le storie che amo di più”, racconta Katranidou, “non sono tanto i libri e le storie che leggo o consulto per ragioni di lavoro e di studio, ma sono quelli che incontro per caso”. Vale la pena raccontare per filo e per segno che cos’è questa potentissima novella scritta dalla Yourcenar e raccolta per la prima volta in Novelle orientali, pubblicato da Gallimard nel 1938, e perché la regista è rimasta tanto colpita dalla lettura del libro. L’ultimo amore del principe Genji è ispirato a un romanzo corale dell’anno mille, La storia di Genji (Genji monogatari). Si tratta di un’opera della scrittrice e poeta giapponese Murasaki Shikibu, tradotta in Italia da Adriana Mutti per Einaudi nel 1957. La storia di Genji è considerato dalla critica il primo romanzo psicologico nella storia della letteratura universale. Amore, sensualità, perdita, decadimento fisico, solitudine, rimpianto, uniti all’implacabile scorrere del tempo, sono i temi esplorati dal romanzo, anche attraverso espedienti narrativi moderni come il flashback, il sogno e l’introspezione. 

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Chi è il principe Genji? È una sorta di assaggiatore, giudice e cernitore dell’animo femminile. Genji colleziona instancabilmente rapporti con decine di donne, di cui soppesa virtù e qualità, alla ricerca della compagna perfetta. Genji è una sorta di asiatico Don Giovanni dell’anno mille. Yourcenar si concentra sull’ultimo periodo di vita del principe. Genji, che Yourcenar chiama “il Rifulgente, il più grande seduttore che mai abbia stupito l’Asia”, ha compiuto cinquant’anni, è ormai un uomo anziano e fuori dai giochi. Perciò si ritira dal mondo e raggiunge un eremitaggio costruito sul fianco di una montagna, dove si pone in ascolto della natura e riflette sul passato e la caducità della vita. Qui, sorpresa, viene visitato da una donna. È una delle sue vecchie amanti, ancora innamorata: la Signora del villaggio fiorito, così è chiamata nel libro. Il principe non la riconosce, perché la sua vista è ogni giorno più debole. Non gli resta che un solo mezzo di comunicazione col mondo: il tatto. La Signora del villaggio fiorito si concede al principe in più occasioni, fingendo di essere questa o quest’altra sua vecchia amante. Risveglia il desiderio e l’appetito del principe, donandogli ancora qualche attimo di vita piena. Prima di morire, 

Genji passa in rassegna i propri amori, li nomina uno per uno e si rammarica che la donna di fronte a lui, la donna che gli carezza e massaggia amorevolmente le ginocchia, non avrà tempo di trasformarsi in ricordo. La fine incombe. All’elenco del principe fatalmente mancherà il nome di lei, la Signora del villaggio fiorito, dimenticata e per giunta condannata a non lasciare nella mente dell’amato quell’ultima traccia di sé. La donna insiste, prova a sollecitare la memoria di Genji: “Non c’era nel tuo palazzo un’altra donna, di cui non hai fatto il nome? Non era dolce? Non la chiamavano Signora del villaggio fiorito?”. Ma il tempo è scaduto. Scende la morte e cancella dal volto di Genji ogni traccia di sazietà e amarezza. A quel punto la Signora del villaggio fiorito, in preda alla disperazione, si getta a terra urlando. “Le lacrime salate le solcavano le guance come una pioggia torrenziale, e le ciocche di capelli strappati volavano intorno a lei come palline di cotone”.  

Katranidou dice di essere rimasta folgorata dalla prima lettura del testo della Yourcenar, divorato quel lontano giorno di primavera a Salonicco. Era rimasta colpita soprattutto da uno dei temi contenuti nella storia. I due protagonisti avevano avuto una relazione, avevano condiviso momenti d’intimità, ma ciascuno di quegli istanti aveva lasciato una traccia diversa nella memoria dei due. Sono proprio l’ambiguità e l’evanescenza della memoria a interessare Katranidou. E il modo diverso in cui la novella si rifrange nell’esperienza dei singoli lettori. “La potenza di questo testo”, dice, “sta nel modo diverso in cui viene recepito dai lettori, a seconda delle loro esperienze o della loro età. Mia madre, quando lo ha letto, ha compreso il bisogno del principe di allontanarsi dal mondo e ritirarsi. I giovani, tanto uomini che donne, provano rabbia nei confronti di Genji, per il modo in cui tratta la Signora del villaggio fiorito”. 

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Katranidou dice di apprezzare anche il modo contraddittorio con cui il principe, diventato vecchio e cieco, si connette alla natura, ascolta la natura (“Sto per morire… Non mi lamento di un destino che condivido con i fiori, con gli insetti, con gli astri”), ma allo stesso tempo resta aggrappato alla vita, mentre la Signora del villaggio fiorito gli consente di vivere ancora qualche istante di umanissimo piacere. 

Lo sgomento vissuto da Genji, di fronte a quell’ultimo massaggio alle ginocchia, destinato a scomparire senza farsi ricordo, riporta la regista a un episodio vissuto anni fa, mentre si trovava in aeroporto. “Una donna mi chiese aiuto. Voleva capire che direzione prendere per raggiungere l’imbarco. Mi resi conto che doveva avere qualche problema cognitivo e di memoria. Dopo averle dato le indicazioni, mi ringraziò di cuore per l’aiuto e mi promise che lo avrebbe ricordato per sempre. Qual era il valore di quella promessa e di quel ‘per sempre’? Il suo ‘per sempre’ voleva dire cinque minuti, ma nel momento in cui mi aveva ringraziato, credeva davvero che fosse ‘per sempre’”. 

E qual è, invece, il rapporto di Katranidou con i ricordi e il passato? “Non è semplice lasciare andare le cose. A volte posso essere ossessionata da un ricordo. Più in generale mi ritengo una persona a cui piace credere nelle cose e in ciò che vede. Non sono un tipo molto logico e non m’interessa diventarlo”. 

Durante la prova il gruppo delle performer si dispone intorno a una lunga tavola allestita nell’arena Shakespeare, lo spazio all’aperto del Teatro Due, al quale si accede dopo aver attraversato il corridoio dell’abitazione in stile giapponese. Le diverse linee del canto polifonico interpretato dal coro s’intrecciano come i fili di un tessuto. Vestite con abiti dal taglio rigoroso e razionale, ideati da Dido Gkogkou, le interpreti modulano il canto e nel mentre preparano sui taglieri un battuto di cipolle. Un delizioso profumo si spande nell’arena fino a raggiungere le sedute del pubblico. Qua e là saltella il personaggio del postino, che nella novella consegna al principe le lettere inviate dalla Signora del villaggio fiorito. 

“Il cast non è un gruppo vero e proprio, direi che è composto da individui”, racconta Katranidou, “alcuni di loro sono cantanti e attori, altri no. Li ho scelti non solo in base all’esperienza e alle competenze artistiche, ma per la loro personalità, per la loro mente o anche per il loro aspetto e la loro espressività naturale. Sono tutte persone che ammiro”. Il principe in questo momento non c’è, si trova in Grecia per un lavoro con il coreografo Dimitris Papaioannou.

“Genji passa in rassegna i propri amori, li nomina uno per uno e si rammarica che la donna di fronte a lui, la donna che gli carezza e massaggia amorevolmente le ginocchia, non avrà tempo di trasformarsi in ricordo”.

Katranidou ha trascorso l’estate un po’ ad Atene e un po’ a Salonicco, fino a quando non ha trovato un posto vicino al mare dove passare del tempo da sola per riflettere sul lavoro da portare in scena a Parma. In quei giorni di solitudine ha provato a immaginare il destino e la vita della Signora del villaggio fiorito dopo la fine del libro, ma senza trovare una risposta precisa. L’ultimo amore del principe Genji è uno dei lavori selezionati e prodotti da “Gradus. Passaggi per il nuovo”, iniziativa rivolta agli Under 35 e supportata da Reggio Parma Festival, Fondazione Teatro Due, Fondazione Teatro Regio di Parma e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia. Il percorso che ha preceduto la messa in scena e la produzione è stato nutrito e accompagnato da incontri con professionisti dello spettacolo e studiosi di scienza, economia e filosofia, in modo da favorire una circolazione di saperi eterogenei, più vasta del semplice ambito teatrale. L’invito di Gradus agli artisti è stato – cosa niente affatto scontata – di provare a pensare, per una volta, in grande. 

Katranidou si è imbattuta nel bando il giorno stesso della scadenza. Sul momento non aveva idee da proporre. Il suo ultimo lavoro era ispirato a La società della stanchezza, il saggio del filosofo Byung Chul Han. Poi ha aperto il computer ed è andata a frugare tra i suoi vecchi appunti, ha cliccato sui documenti e ha ritrovato un pezzo di sé. È tornata a quel pomeriggio a Salonicco e al suo incontro con Marguerite Yourcenar, il principe e la Signora del villaggio fiorito. 

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Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è scrittore e autore. È stato caporedattore di «Linus» e ha scritto per la televisione, per la radio e realizzato podcast. I suoi ultimi libri sono Fine lavoro mai (Eris, 2022) e, assieme a Enrico Deaglio, i primi due volumi del progetto C’era una volta in Italia (Feltrinelli, 2023).

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