Akira Toriyama ha messo d'accordo nerd e coatti - Lucy
articolo

Stefano Rapone

Akira Toriyama ha messo d’accordo nerd e coatti

11 Marzo 2024

Akira Toriyama è riuscito in un’impresa rara: mettere d’accordo tutti. Lo dimostra la commozione che ha suscitato sua morte, avvenuta pochi giorni fa. Ideatore di “Dragon Ball”, Toriyama ha unito con le sue opere persone diversissime e generazioni distanti tra loro, creando un universo a misura delle sue passioni e della sua vita. Questo universo è ancora in grado di crescere assieme ai suoi fan.

La mattina dell’8 marzo mi sono svegliato pensando di seguire la solita routine: allungare la mano sul comodino, staccare il telefono dal caricatore, vedere se qualcuno mi avesse cercato, scrollare il giusto e poi via a essere produttivo dopo aver mangiato uno yogurt.

Ma appena lo schermo si è illuminato mi sono trovato davanti uno scenario insolito: un numero stranamente alto di notifiche, tutte di persone che mi facevano le condoglianze. Dopo una preoccupazione iniziale e avendo appurato che non si trattasse di parenti stretti è rimasta solo la confusione, non capivo cosa potesse essere successo. Poi ho aperto Instagram: Akira Toriyama era morto.

L’unica cosa che sono riuscito a pensare in quel momento è stata che non ero pronto. Come per tutte le persone a cui vuoi bene, in passato mi è capitato di pensare che prima o poi sarebbe potuto accadere anche a lui, ma ho sempre cercato di allontanare il pensiero e mi dicevo che, vista la proverbiale longevità dei giapponesi, magari era più probabile che toccasse prima a me. Adesso mi trovavo a fissare il vuoto e a stare male per una persona che non avevo neanche mai incontrato. 

Akira Toriyama è stato l’autore più importante della mia vita. Ricordo il primo numero di Dragon Ball che ho comprato: andavo alle elementari ed era il numero 59 della prima edizione. Aveva una copertina azzurra con le facce di alcuni personaggi di quella saga inserite in dei riquadri ed era quello in cui Mr.Satan va da Majin Bu per ucciderlo ma poi inavvertitamente diventa suo amico e pone le basi per la salvezza del pianeta, mentre per la prima volta due personaggi facevano la Fusion, un balletto che gli permetteva fondersi insieme e dar vita a un nuovo guerriero con le caratteristiche di entrambi. Lo trovai bellissimo. Me ne avevano parlato alcuni amici e decisi di aspettare un anno perché avrebbero ristampato la nuova edizione, che iniziai a comprare mese dopo mese. Dopo una ventina di numeri persi la pazienza e, siccome volevo sapere come andava a finire, andai in fumetteria e comprai tutti gli arretrati dell’edizione precedente. In quegli stessi anni avevo scoperto che quel cartone animato che mi piaceva tanto e che vedevo sulle reti private era dello stesso autore e ne stavano iniziando a pubblicare il manga. Quindi cominciai a comprare Dr.Slump & Arale e mi si aprì un mondo. Anzi, di più: un villaggio. Il Villaggio Pinguino.

“Akira Toriyama è stato l’autore più importante della mia vita. Ricordo il primo numero di ‘Dragon Ball’ che ho comprato: andavo alle elementari ed era il numero 59 della prima edizione”.

Ho adorato leggere i manga di Toriyama. C’era qualcosa di magico nell’immergersi nelle pagine che l’autore aveva disegnato di suo pugno, di cui aveva curato tutti i dettagli. Era il modo più vicino per comunicare con lui attraverso il suo tratto bombato e morbido nella prima fase della sua carriera, quando era prevalentemente comico, e più spigoloso verso la metà, per poi trovare una sintesi tra i due stili verso la fase finale. Come Goku e Vegeta comunicano prendendosi a mazzate, lui ti parlava indirettamente tramite i suoi segni, ti mostrava i suoi progressi, ti sorprendeva con i suoi colpi di scena. E a volte comunicava con te anche direttamente: nel manga di Dr.Slump c’erano infatti diversi sue storie di vita vissuta in cui, rappresentandosi come robottino con la testa tonda, il volto che ricordava una maschera antigas e due pinze al posto delle mani, raccontava episodi personali di vita quotidiana, della sua passione per i modellini, di quando si è nascosto in piena notte in un armadio per fare uno scherzo alla moglie ma poi è svenuto davanti a lei perché aveva respirato l’anti-tarme o di quando ha sognato di essere Tarzan e tutti gli animali avevano inizato a parlargli, ma solo per dargli dello scemo.

A volte, invece, rimanevo incantato dai racconti della sua vita da fumettista fatta di scadenze, procrastinazione e disperazione, ma anche di pennini, impostazioni delle tavole e altri particolari tecnici che mi affascinavano e,  per un momento, mi facevano dimenticare di star guardando un buffo robottino: mi sembrava di essere veramente lì a sbirciare da dietro la spalla il lavoro di un professionista. Il tutto rappresentato con una leggerezza e un umorismo rari, tant’è che la descrizione della sua giornata lavorativa cominciava con lui in pigiama, che guarda fuori dalla finestra lievemente scoraggiato e dice “quando mi sveglio è ormai sera”.

Perché Akira Toriyama era prima di tutto un grandissimo autore comico e da questo punto di vista Dr.Slump & Arale è il suo capolavoro. Lo humor giapponese può essere molto distante da quello occidentale, è spesso farcito di gag a noi incomprensibili e giochi di parole intraducibili, ma il genio di Toriyama era tale che è riuscito a travalicare i confini culturali riuscendo a  essere accessibile e divertente anche per noi che siamo dall’altra parte del mondo.

Basti pensare ai suoi personaggi: c’è Suppaman, parodia di Superman che si trasforma mangiando una prugna secca (gioco di parole dal giapponese suppai, ‘aspro’), supereroe idiota e codardo che in un episodio salva i pesci dall’annegamento in mare; c’è il grande re Nikochan, alieno che vuole dominare il mondo ma che nessuno prende sul serio perché sulla testa ha un deretano, situazione resa ancora più scomoda dal fatto che le antenne che gli sovrastano i glutei sono, purtroppo, anche le sue narici. Fino ad arrivare al nemico giurato di Arale: il malvagio dottor Mashirito, che altri non è che la caricatura dichiarata del suo editor Torishima, a cui l’autore faceva fare sempre una brutta fine per vendicarsi (bonariamente) di tutte le volte che una sua tavola veniva cestinata.

“Ho adorato leggere i manga di Toriyama. C’era qualcosa di magico nell’immergersi nelle pagine che l’autore aveva disegnato di suo pugno, di cui aveva curato tutti i dettagli”.

Anche Dragon Ball, sebbene non sia un gag manga come Arale, è piena di trovate comiche: da Goku che non sa distinguere i maschi dalle femmine e per questo ogni volta che incontra una nuova persona le fa “pat pat” sul pube, a Crilin che vince contro Bacterian – un uomo che non si è mai lavato in tutta la sua vita – perché si rende conto solo alla fine di essere immune alla sua puzza: ci riesce nel momento in cui gli fanno notare che viene disegnato privo di naso.

Dragon Ball è stata forse l’opera che più ha influenzato la mia generazione e le successive in tutto il mondo. Sia che si tratti di lettori che di fumettisti, ha impostato un immaginario e settato i canoni di un genere che da allora non è più stato lo stesso.

Non so dare una risposta univoca sul perché abbia toccato così tante vite. Se è per il giusto mix tra azione e umorismo o se perché è a tutti gli effetti un moderno poema epico. Quello che ha sempre colpito me è che Dragon Ball non è una semplice sequela di scontri, ma c’è tutto un mondo dietro che si espande e che evolve, anche con una propria filosofia. Per quanto apparentemente possano sembrare abbozzati, i personaggi sono molto più profondi di quanto si creda. Goku non è un supereroe col complesso del messia che deve salvare il mondo, è un tizio fissato col combattimento che non vede mai il nemico fuori di sé, ma da artista marziale sa bene che il nemico è se stesso: il suo unico e reale scopo è superare i propri limiti. Poi, se salva il mondo, il fatto è incidentale. Vegeta, invece, fa il percorso opposto, da invasore spietato ossessionato dal desiderio di diventare il più forte capisce il valore degli affetti e per la loro salvezza mette da parte il suo orgoglio, diventando più terrestre dei terrestri.

Perché Dragon Ball è anche famiglia. Sebbene quelli che racconta siano universi fantastici dove accadono cose incredibili, c’è una dimensione molto quotidiana, di tepore e normalità, che si raccoglie  tutta intorno alla trama dandoci la sensazione di trovarci in un mondo dotato di vita propria.

In tutti i manga di Toriyama i personaggi fanno le stesse cose che facciamo noi: si cambiano d’abito, si tagliano i capelli, perseguono le loro carriere e i loro sogni anche quando questi non hanno riscontri diretti sulla trama. I suoi personaggi non sono cristallizzati nel tempo, ma crescono, invecchiano, si innamorano. Goku non solo lo vediamo crescere, ma cresciamo assieme a lui. Io l’ho incontrato che eravamo coetanei e, se guardo le sue avventure oggi che ho quasi quarant’anni, siamo ancora coetanei. Gohan l’ho conosciuto che era un bambino e mi sono commosso quando in Battle of Gods ha scoperto che sua moglie Videl era incinta. E se sbirciamo i personaggi in un capitolo qualunque del manga, notiamo che mentre la trama va avanti, dietro di loro c’è tutto un mondo che si evolve: gli abitanti della nuova città in cui sono appena arrivati hanno un loro particolare modo di vestire, magari scopri che uno di loro sta usando un dinosauro come bestia da soma e, vista la passione di Toriyama per il modellismo, ce n’è un altro che guida un veicolo intricatissimo e iper-tecnologico, aspetti minuti che restano sullo sfondo.

Tutte cose che altri disegnatori avrebbero abbozzato o a cui avrebbero dedicato una storia a parte e invece Toriyama le utilizza come dettagli, elementi secondari che contribuiscono a creare un’atmosfera di vita per cui siamo sicuri che, quando riponiamo il manga nello scaffale, quel mondo continuerà a vivere anche se noi non lo vediamo.

Non posso che essere grato al Maestro per tutto questo e sono contento che un’opera che è stata così importante per me lo sia stata per tantissime altre persone. Il mondo si è fermato in questi giorni e in tantissimi da ogni latitudine hanno voluto ricordare l’impatto che lavori di Toriyama hanno avuto sulle loro vite. Per molti è stato un fenomeno collettivo da guardare a ora di pranzo. Io non ho mai amato troppo l’anime, sia perché mi mancava quel contatto diretto con l’autore sia per colpa di un adattamento spesso alterato e censurato che rendeva poco giustizia all’opera, ma sono ugualmente contento che ci sia stato, perché ha ampliato in maniera esponenziale la portata del fenomeno e ha creato un ponte tra generazioni e gruppi che neanche si parlavano, come noi, ultima generazione di nerd disagiati, e i coatti.

Ma soprattutto ha unito delle vite, in tutte le forme che ha assunto: nelle giornate passate a guardarlo in tv, nelle infinite mattinate scolastiche in cui cercavamo di leggerlo di nascosto sotto il banco o nei pomeriggi trascorsi tra amici a giocare ai videogiochi a esso ispirati. Per me è stato un’ancora di salvezza anche durante l’adolescenza, quando trovavo rifugio nei Forum a tema Dragon Ball e, tra una discussione sui livelli di potenza e l’altra, ho conosciuto i primi amori o stretto amicizie che frequento ancora oggi. Sono sicuro che chiunque sia stato fan dell’opera abbia vissuto storie simili.

“In tutti i manga di Toriyama i personaggi fanno le stesse cose che facciamo noi: si cambiano d’abito, si tagliano i capelli, perseguono le loro carriere e i loro sogni anche quando questi non hanno riscontri diretti sulla trama”.

È veramente difficile essere esaustivi e rendere giustizia a un autore che a tutti noi ha dato così tanto. Per cui, per concludere, vorrei allora avvalermi di un’opera di Toyotaro, allievo di Toriyama e attuale disegnatore del manga di Dragon Ball Super, che anni fa ha forse disegnato il miglior omaggio possibile ad Akira Toriyama. Toyotaro si fa conoscere come autore di Dragon Ball AF, un fan manga non ufficiale da lui illustrato e mai concluso. Nell’ultimo capitolo, uscito nel 2011, in cui annunciava che non sarebbe riuscito a portare a termine l’opera c’è una storia extra, slegata dal filone principale. È ambientata dopo l’ultimo episodio di Dragon Ball GT, che si svolgeva 100 anni dopo gli eventi della saga, e ha come protagonista il maestro Muten intento a raccontare ai discendenti di Goku e Vegeta una storia. A un certo punto però il maestro si interrompe perché improvvisamente si sente stanco e rimanda la continuazione della storia a un altro momento. Nel frattempo arriva sulla terra Majin Pu, una sorta di incrocio tra Majin Bu e Winnie the Pooh che vuole distruggere il pianeta, ma Goku Jr. e Vegeta Jr. iniziano a combatterlo in maniera comica tirandogli le orecchie e sistemandolo in poco tempo. Guardando i giovani combattere il maestro Muten sorride, capendo che la terra sarà in buone mani per le prossime generazioni. A quel punto, ancora sorridente, si accascia a terra e muore. Si risveglia fuori dalla Kame House, dove ci sono tutti gli allievi, i maestri e gli amici che ha conosciuto nel corso della sua vita, giovani come nella prima saga, che lo salutano e lo ringraziano per tutto ciò che ha fatto per loro. Poi arriva Goku bambino, che per ultimo gli porge la mano. Lui, anziché stringergliela, gli dà una bastonata in testa, gli intima di non fare il fannullone e costringe lui e Crilin ad allenarsi in mare indossando un pesante guscio da tartaruga come ai vecchi tempi, mentre dietro di loro uno squalo li insegue. Tutti iniziano a ridere e anche lui, finalmente, si abbandona a una risata.

Poi la vignetta sfuma lentamente, vediamo il suo volto dall’alto che continua a sorridere e ci vengono mostrate panoramiche di luoghi iconici del mondo di Dragon Ball. Luoghi ormai desolati, come la vecchia casa di Goku tra le montagne, la Capsule Corporation che si perde tra decine di altri palazzi, la Kame House, ormai ridotta a un cumulo di macerie e su cui sorge il pilone di un’autostrada, mentre le voci fuori campo del maestro e di Goku riflettono su quanto siano state belle le loro avventure, ma allo stesso tempo i due  prendono coscienza di come sia ormai finita la loro epoca e si preparano andare, stavolta per sempre, all’altro mondo. La cosa più bella dell’omaggio di Toyotaro è che, nonostante tutto, in ognuno dei luoghi che vengono mostrati, per quanto abbandonati e dimenticati, c’è sempre nascosta una sfera del drago.

Stefano Rapone

Stefano Rapone è comico, autore televisivo, fumettista. Conduce, insieme a Daniele Tinti, il podcast “Tintoria”.

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