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Maddalena Giovannelli

I giovani vanno poco a teatro. C’è chi ha un piano per portarceli.

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Durante gli anni di scuola tutte le classi finiscono per essere portate a teatro. Eppure, una volta cresciuti, sono pochi i ragazzi che continuano ad andarci. Come mai? E come fare a riportarli in sala? Se lo chiede Fondazione Cariplo, che con il progetto "Youth Club" vuole riavvicinare i giovani al teatro.

Le prime volte a teatro si assomigliano tutte: una classe obbligata a trasferirsi in platea, un insegnante animato da buone intenzioni, un classico più o meno noioso. Si tratta, insomma, di un prolungamento della didattica – talvolta felice, talvolta disastroso – che entra nella vita in modo accidentale per uscirne subito dopo.  

Pochi anni più tardi, quando si cominciano a costruire le prime abitudini da adulti, il teatro scompare infatti dall’orizzonte. Persino chi ricorda come un bel momento quel primo incontro in platea con la scuola, tende a non considerare uno spettacolo nel ventaglio delle sue possibilità per una serata fuori. Non stupisce, alla luce di questo, che la fascia di età meno presente nelle platee nazionali risulti essere quella tra i 18 e i 25, cioè quello snodo in cui l’esperienza spettatoriale da obbligata dovrebbe diventare volontaria. Ma da cosa è provocata la frattura? Analisti, sociologi, insegnanti, esperti di marketing cercano da anni di analizzarne le ragioni in convegni e tavole rotonde dedicate al tema, dove immancabilmente qualcuno ritiene di aver risolto il giallo e scovato l’assassino: “è il prezzo del biglietto!”. Anche se il costo della cultura resta, in linea generale, uno dei fattori determinanti nelle dinamiche di esclusione e inclusione, va considerato che quasi tutti i maggiori teatri italiani offrono sconti significativi a studenti e under 25. È insomma facile procurarsi un biglietto tra gli 8 e i 15 euro, cioè la stessa cifra che un ventenne è disposto a spendere per un bicchiere di spritz Campari pieno di ghiaccio. 

Tra gli altri fattori deterrenti, si menziona spesso il divario sempre più ampio tra l’esperienza della fruizione dal vivo e gli stati di iperconnessione in cui naviga la Gen Z. Stare in un luogo chiuso senza muoversi per un’ora o più, senza chattare o guardare lo smartphone, ancorati semplicemente a ciò che accade “qui ed ora”, sembra insomma per i giovanissimi un esercizio sempre più difficile e faticoso (lo è anche per gli adulti, a giudicare dal numero di telefoni non silenziati che squillano in sala durante una qualsiasi rappresentazione teatrale).

Non resta dunque che rassegnarsi a immaginare la platea teatrale come uno spazio residuale, destinato a pochi e attempati spettatori?

Pensare che quella con il giovane pubblico sia una partita persa, e rifugiarsi negli “O tempora, o mores! Ormai i giovani guardano Tik Tok e non vanno a teatro” sarebbe tuttavia un grave errore prospettico. Al contrario, la sensibilità per il tema è aumentata in maniera decisa negli ultimi dieci anni, e gli effetti positivi cominciano a emergere. Sul piano internazionale, le linee di finanziamento di “Creative Europe” hanno incentivato l’ideazione di progetti specifici sul giovane pubblico, e così hanno fatto anche in Italia le più importanti fondazioni, seguite dai comuni e dagli enti regionali più illuminati; in molti teatri sono state aperte posizioni (talvolta interi uffici) dedicati all’audience development.

In Lombardia, in particolare, Fondazione Cariplo svolge da anni un lavoro capillare in questa direzione, con bandi specifici sui nuovi pubblici e con altre forme di sostegno a realtà o progettualità dedicate a questo tema. I risultati di queste politiche sono ora tangibili. L’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo (AGIS) ha realizzato di recente una interessante indagine sul pubblico lombardo, presentata in anteprima in occasione di un convegno organizzato dal Piccolo Teatro di Milano (“Interesse pubblico”, 24-25 ottobre 2025). Ne emergono dati incoraggianti, anche se molto diversi rispetto al resto d’Italia: la fascia di spettatori under 35 sembra aver quasi raggiunto per numeri quella tra i 35 e i 54 anni, e risulta la più dinamica per gusti e scelte. Non si deve però avere troppa fretta di ottenere risultati concreti. I teorici e gli studiosi dell’audience development, come Alessandro Bollo, sottolineano infatti come un approccio limitato all’aumento numerico degli ingressi in sala rischia di essere fuorviante: puntare all’allargamento delle fasce di pubblico è un lavoro di lunga semina, e significa piuttosto dedicare una maggiore attenzione alla dimensione qualitativa dello stare in teatro. Cosa implica questo, sul piano pratico? Che può accadere di dedicare risorse e sforzi all’audience development senza riscontrare un aumento diretto e immediato dei biglietti staccati. Anche per questa ragione, il contributo delle Fondazioni e il loro supporto ai teatri restano fondamentali.

Negli ultimi mesi è emersa una delle risposte più articolate a questa sfida, “The Youth Club”. Nato nell’autunno del 2025 su iniziativa di Fondazione Cariplo, il progetto mette in rete dieci istituzioni teatrali della Lombardia e della provincia di Novara con l’obiettivo di ripensare la relazione tra teatro e pubblico giovane (il target sono adolescenti e giovani fino ai 30 anni), superando barriere economiche, sociali e territoriali. Tra le realtà coinvolte figurano teatri storici e istituzioni culturali di grande tradizione, come l’Associazione Centro Teatrale Bresciano (Brescia), il Teatro Sociale di Como-Aslico, la Fondazione del Teatro Grande (Brescia), la Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli (Cremona), la Fondazione Teatro Carlo Coccia (Novara), la Fondazione Teatro Donizetti (Bergamo), la Fondazione Teatro Fraschini (Pavia), la Fondazione I Pomeriggi Musicali (Milano) e i milanesi Teatro dell’Elfo Impresa Sociale e Teatro Franco Parenti Impresa Sociale.

Il risultato non è una stagione “speciale” a sé stante, ma un tentativo di riorientare l’intera proposta teatrale per le nuove generazioni. Nel concreto, ogni realtà prevede titoli pensati ad hoc a prezzi accessibili, ma anche progetti di approfondimento, spettacoli, laboratori, visite guidate, prove aperte. Anche senza entrare nello specifico delle singole proposte, si può leggere e interpretare la linea progettuale di “The youth club” e trarne qualche riflessione di ordine generale. La prima questione riguarda l’offerta, la seconda il contesto in cui l’offerta viene presentata. Spesso l’idea di teatro che si deposita nella mente dei giovani spettatori all’indomani delle esperienze scolastiche è, nel suo complesso, molto più tradizionale di quello che la media dei cartelloni offre al pubblico. Se si dialoga con un ragazzo o una ragazza di vent’anni (cosa che mi capita di fare spesso per motivi di lavoro) si scopre che le prime associazioni libere riguardo allo spettacolo teatrale rimandano a testi classici, a interpreti che recitano in modo enfatico, a scenografie descrittive e naturalistiche. Talvolta, curiosamente, questa aspettativa è del tutto teorica, non frutto di un’esperienza effettivamente vissuta. Chi frequenta un poco le sale sa bene che la realtà della scena contemporanea è ben diversa, e offre una molteplicità di proposte vitali, che tengono conto della mutata capacità di attenzione, che includono linguaggi multimediali, che traggono linfa vitale dall’incontro con il cinema e la serialità. Orientare la programmazione al pubblico della Gen-Z non significa dunque semplificare, o preselezionare per temi (o peggio, per autori didatticamente rilevanti); significa piuttosto offrire il meglio della scena nostrana all’attenzione degli spettatori di domani. Il secondo e più importante aspetto concerne la dimensione esperienziale nel suo complesso. Sostenere che il gradimento dello spettacolo non è l’elemento più importante dell’esperienza spettatoriale può suonare come una provocazione; eppure ognuno di noi può agevolmente rievocare una serata di visione o addirittura una breve permanenza a un festival che sono risultate importanti, gioiose o financo trasformative anche a dispetto dell’opera d’arte in sé. Incentivare, come fa “The Youth club”, tutto ciò che accade prima o dopo l’apertura di sipario significa riconoscerne che ci si può innamorare di una sala teatrale, della comunità che la popola, del modo di stare insieme o di discutere dopo lo spettacolo.

Un’ultima nota riguarda l’atto stesso di mettere in rete dieci istituzioni sotto lo stesso progetto-ombrello. Le insistenti indicazioni da parte di bandi ed enti finanziatori sul costruire sinergie e fare rete spesso rimangono solo auspici o buone intenzioni: non di rado i teatri continuano a percepirsi come competitors che devono sottrarsi l’un l’altra lo stesso gruzzolo di spettatori, piuttosto che complici nella sfida di aumentarne la cerchia. Eppure la necessità di tessere alleanze appare sempre più evidente. Un teatro che riesce nell’impresa di coinvolgere giovani spettatori è buona notizia per tutti: per le altre sale, che presto o tardi beneficeranno di quelle nuove presenze curiose; ma più in senso ampio per la collettività, che può godere di un pubblico formato o consapevole.

Gli antichi greci sapevano bene che lo spettatore e il cittadino votante sono uno lo specchio dell’altro, e non di rado mettevano a paragone le sedie di pietra del teatro a quelle dell’assemblea. L’Orestea di Eschilo – con il suo invitare gli ateniesi al voto – ci insegna che la platea teatrale nasce come un vero e proprio laboratorio di spirito critico e di cittadinanza attiva. E perché dovremmo allora sottovalutare oggi la rilevanza di ciò che si apprende sui gradini di Dioniso? 

The Youth Club è un’iniziativa promossa da Fondazione Cariplo.

Maddalena Giovannelli

Insegna all’Università della Svizzera Italiana e si occupa di teatro antico nel contemporaneo. Scrive su «Domenica» del Sole 24 Ore, «Stratagemmi», «Doppiozero».

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