Loredana Lipperini
18 Giugno 2025
Wu Ming 1, a fronte dell'esperienza in tour con Gli uomini pesce, racconta a Loredana Lipperini come secondo lui è possibile immaginare modi nuovi per prendersi cura dei lettori e delle lettrici, ricucendo una ferita tra mercato e pubblico che spesso pare insanabile.
Un’amica scrittrice, parlando della situazione editoriale, sostiene che è come assistere a un incidente stradale al rallentatore: e credo che in buona parte sia vero. È altrettanto vero, però, che esistono altre possibilità, e che quelle possibilità non siano esclusive di un genere letterario (il romance, cui al momento si guarda con meraviglia e, sì, invidia), ma di una modalità di rapportarsi fra chi scrive e chi legge.
Per questo, ho fatto una chiacchierata con Wu Ming 1, perché il collettivo di scrittura ha perseguito fin dalla sua nascita quella modalità: che non è un’anomalia, ma un fatto. Ecco cosa ne è emerso.
In queste settimane si ascoltano discorsi molto preoccupati per il crollo delle vendite dei libri: un milione di copie in meno rispetto all’anno precedente. Nel comune disperarsi si punta l’indice verso i lettori, specie le lettrici che acquistano romance, sempre presenti nelle parti alte della classifica. Ma questa è non solo una vecchia storia, ma una narrazione molto parziale. È vero, si vende meno: ma non sempre, non tutti.
Innanzitutto, io non sono un esperto di mercato editoriale, ma mi sembra che la sovrapproduzione droghi tutto il discorso. Nel 1980 si vendettero circa 43 milioni di copie. Nel 2024 se ne sono vendute ben più del doppio: 103 milioni e passa. Perché allora il dato è negativo? Perché se nel 1980 furono pubblicati poco più di 15mila titoli, nel 2024 sono stati 85mila e rotti, quasi sei volte tanto. Ora, se le vendite aumentano di due volte mentre la produzione aumenta di sei volte, chiaro che c’è un problema. Tanto più che una grossa percentuale dei libri pubblicati l’anno scorso non ha venduto nemmeno una copia (!) e la stragrande maggioranza ne ha vendute meno di mille.
Con questo non voglio negare la dimensione culturale del problema, che c’è e pesa: siamo un Paese con poche lettrici e lettori, e a questo si aggiungono altri fattori di disturbo. Ad esempio, si parla molto della concorrenza delle serie TV, ok, ma perché succede? E come? Le serie seguono il percorso di minore resistenza. Spesso si arriva a casa, la sera, logorate dal lavoro e con poco tempo da dedicare a se stesse, e allora una o due puntate di una roba su Netflix fatta con lo stampino promettono meno fatica cognitiva di un libro. Idem per social e chat, è più facile concludere la serata così piuttosto che leggendo un saggio o un romanzo. Ma allora il problema è a monte: è quello delle vite logoranti, della fatica mentale, dei lavori di merda. Senza queste premesse, l’attività predatoria delle piattaforme di Big Tech, il loro estrattivismo, sarebbe molto più difficile.
Aggiungiamoci i salari bassi, le pensioni da fame… Molte persone i libri non riescono più a comprarli.
A maggior ragione stride la quantità immane di uscite. Sono libri gettati allo sbaraglio, anzi, all’ammasso. E poi al macero. Quando ci penso, mi vengono in mente le spettacolari ma effimere piantumazioni di alberi di cui si vantano molti comuni, dicendosi “green”: “Stiamo piantando migliaia, milioni di alberi!”. Poi vai a vederli, questi alberelli stenti: svariati già morti o moribondi dopo pochi mesi, perché li piantano e poi se ne disinteressano, quando arriva la siccità non li annaffiano. A volte, nati in vivaio, quegli alberi sono tutti fratelli, per seme o per talea, quindi vengono aggrediti in blocco dallo stesso patogeno o soffrono allo stesso modo gli stress climatici. Svariati li vedi piantati al centro di spianate di cemento – parcheggi, il più delle volte – e a dieci metri l’uno dall’altro, così restano isolati, non possono aiutarsi a vicenda attraverso le radici. Il risultato è che ne sopravvivono pochissimi. Come nel mercato dei libri.
Mi rendo conto che negli ultimi anni il termine “cura” è stato usato troppo, è diventato un passepartout, o quantomeno un riempitivo…. Ma ci vuole proprio quello, un lavoro di cura. Un libro non può essere solo scritto e pubblicato poi o la va o la spacca.
Ecco, arriviamo a un altro aspetto. Wu Ming ha sempre puntato molto sugli incontri fisici con lettrici e lettori, alcuni anni fa Enrico Manera ha riassunto così il vostro approccio:
“Wu Ming ha cementato la fedeltà dei suoi lettori anche grazie a veri e propri tour di presentazioni, che lontani dal bagno-di-folla-per-lo-scrittore-famoso-che-firma-autografi, sono incontri nei luoghi più diversi, dall’aula universitaria alla sala cittadina di prestigio al centro sociale, che di volta in volta diventano seminario aperto, reading in stile concerto indie, happening controculturali, momenti di performance, dialogo, provocazione a seconda del pubblico”.
Di recente si è detto, da parte di diverse scrittrici e scrittori, che le presentazioni non servono più, che il pubblico si annoia, o magari non si annoia ma comunque non compra. È sempre così? È davvero così?
Si tratta, come minimo, di generalizzazioni di esperienze personali fatte da colleghi o colleghe che al presentare i libri non credono in partenza, o non è nelle loro corde, si sentono a disagio. Il che è legittimo, non siamo tutti uguali. Non è però legittimo parlare a nome della categoria, e men che meno dare la colpa al pubblico. Se il pubblico ti vede sulle spine, vede che sbuffi o che guardi l’orologio, se rispondi alle domande in tono infastidito o cose del genere, non c’è da stupirsi che non compri il libro.
Quando faccio notare che la mia, la nostra, esperienza è molto diversa, spesso mi si risponde: “Eh, ma Wu Ming è un caso a parte”. Certo, abbiamo le nostre nette peculiarità. Ma penso che parte della nostra esperienza sia comune ad altri autori e autrici.
Una peculiarità molto forte è senz’altro che non ci facciamo fotografare né filmare, non andiamo in tv e non stiamo nemmeno sui social. Ci teniamo ad apparire solo in carne e ossa, il che ci porta a valorizzare al massimo e con ogni mezzo necessario i momenti di incontro faccia-a-faccia, di partecipazione fisica e condivisione di un luogo. Non un generico “spazio”: un luogo, con la sua storia, il suo senso, la sua affettività e importanza per le persone. Se qualcuno ci riconosce per la strada, non è perché ci ha visti in effigie, attraverso mediazione elettronica: vuol dire che ha vissuto con noi uno di quei momenti concreti e tangibili, e lo ha fatto col corpo insieme ad altri corpi.
L’altro tratto peculiare è che, essendo in tre, possiamo essere presenti in più luoghi in simultanea, discutere del nostro lavoro – di diversi aspetti del nostro lavoro, o di diversi libri, come sta succedendo in queste settimane, io porto in giro Gli uomini pesce, Wu Ming 4 porta in giro Il calcio del figlio – nello stesso momento, a centinaia di chilometri di distanza l’uno dall’altro. Qui mi viene in mente Sklovskij quando scrive del suo amico Majakovski: “Il poeta si è scomposto sulla scena, si tiene in una mano come un giocatore il mazzo di carte. È due, tre, fante, re. La posta in gioco è l’amore”.
Sklovskij scrive nel 1940, dieci anni dopo la morte dell’amico, perciò aggiunge: “La partita è perduta”. Poco prima di uccidersi, Majakovskij aveva scritto: “La barca dell’amore si è sfasciata contro la vita quotidiana”, che è come si traduce la parola russa byt. Il tran tran di ogni giorno è nemico dell’amore. Nello specifico, il byt che viviamo oggi è il vero nemico dell’amore per la lettura. Ma la partita, per noi, è ancora aperta.
Vengo ora alla questione delle vendite: sto tenendo una personale statistica, dunque ho un dato preciso. Nel momento in cui stiamo chiacchierando, alle presentazioni sono state vendute 1782 copie de Gli uomini pesce. Se il ritmo rimane questo, alla fine del tour saranno circa 2700. Già da sola, per molti autori e nell’Italia di oggi, sarebbe una cifra su cui non sputare. Sul venduto totale non ho dati certi, di sicuro sono tra le 21mila e le 25mila copie, a sette mesi dall’uscita. Traduco il dato: nel 2024 in Italia solo novanta libri hanno venduto più di ventimila copie. E il passaparola è spinto principalmente dalle presentazioni.
Appunto, proprio con Gli uomini pesce sei impegnato in un tour di quasi centotrenta date, di cui più di un’ottantina già alle spalle.
Sì, e penso che alla fine ne scriverò, ne trarrò una sorta di reportage, perché è un’esperienza intensissima.
Presentare è ciò che più fa vivere un libro, e nei casi migliori lo trasforma proprio in un utensile, tipo coltellino svizzero, a disposizione di chi vive i territori. In questi mesi Gli uomini pesce – certo, per i temi che tocca e per come lo fa, ma anche perché lo sto portando in giro a più non posso – è diventato un dispositivo per catalizzare energie e far convergere soggetti diversi. Alle presentazioni di questo libro sono nate collaborazioni, alleanze e amicizie. E questo non è esclusivo dei libri di Wu Ming: mutatis mutandis, può accadere con altri libri, è accaduto, accade.
Certo, non tutti possono permettersi – per la vita o il lavoro che fanno, per l’età e gli acciacchi che hanno – di dedicare un intero anno a presentare un libro. Ma anche senza arrivare ai miei, ehm, estremi, se fai capire che per te discutere del tuo libro è importante e prezioso, la risposta ci sarà.
“Un’amica scrittrice, parlando della situazione editoriale, sostiene che è come assistere a un incidente stradale al rallentatore: e credo che in buona parte sia vero. È altrettanto vero, però, che esistono altre possibilità”.
Si dice anche che le recensioni non fanno muovere i libri, e anche questo è un vecchio argomento. È possibile e forse assai vero: ma, ancora una volta, non sempre.
La nostra esperienza è che le recensioni servono, ma anche in quel caso, ci vuole cura. Le recensioni sono parte del materiale da usare, da valorizzare, ad esempio curandone un florilegio ragionato a cui possa attingere chi organizza le presentazioni, per i comunicati stampa, i volantini, le locandine, e a cui possa rapportarsi, dialogandoci a distanza, chi vuole scrivere del libro. Capita abbastanza spesso che chi recensisce Gli uomini pesce “recensisca” al tempo stesso una o più recensioni precedenti. Ne viene fuori un dibattito, e una risonanza, e sulla lunga distanza anche questo ha i suoi begli effetti.
Io ho la sensazione che stia crescendo una certa sfiducia, se non disprezzo, nei confronti di chi legge. Altro che il mon semblable, mon frère di Baudelaire. È come se, abituati a confrontarsi sui social, scrittori e scrittrici desiderino o un apprezzamento senza riserve, l’equivalente di un like o di un cuoricino, o temano l’insulto. Ma tu hai incontrato migliaia di persone in questo tour, e sono peraltro quelle che hanno acquistato il tuo libro. Si sta forse perdendo, qui come altrove, la bellezza degli incontri?
Noi abbiamo questo “pallino” del corpo, dei corpi. Senza il corpo non vai da nessuna parte, letteralmente. Tornare a fare cose insieme coi corpi è l’unico vero modo di arginare l’epidemia di solitudini, il terribile sfilacciarsi delle relazioni. Sempre più persone, prive di amicizie, passano le ore parlando con un chatbot. In questo quadro di desolazione, chi muove le terga per venire alla presentazione di un libro sta già facendo qualcosa di importante. Solamente gli stolti possono guardare a questo con sufficienza, e solamente – mi si permetta – gli stronzi possono parlarne con disprezzo. Incontrare lettrici e lettori è già politico, mi spingo a dire che è già lotta. La letteratura non è politica tanto per il suo contenuto, quanto per i legami che può stabilire. I colleghi e le colleghe che pensano di sostituire questo con una presenza – e una vanvera tuttologica – a getto continuo sui social si stanno consegnando all’irrilevanza. Irrilevanza non a livello mediatico: irrilevanza nella vita delle persone in carne e ossa.
Intanto, i gruppi di lettura crescono e si moltiplicano in tutta Italia. Sono vivi, attivi, curiosi. Qualche giornale prova ad appropriarsene come è avvenuto con le booktoker: ma grazie al cielo i gruppi hanno una loro imprendibile autonomia. E questa non è forse una buona notizia?
Lo è eccome! Personalmente sono entusiasta di questo fiorire e cerco di dire di sì a ogni invito che mi arriva da quei circuiti. Il percorso di lettura si conclude con una discussione a tutto campo, ed è a quella che viene invitata l’autrice o l’autore. Spesso l’incontro è aperto al pubblico, a condizione che si sia letto il libro. E così, si può parlare in piena libertà, senza porsi problemi di rovinare effetti sorpresa e coups de théâtre. Anzi, con Gli uomini pesce di solito si comincia dando lettura coram populo dell’ormai celebre capitolo 35. Celebre, ma che alle presentazioni dare not speak its name. Al di là di questo, se già è importante e politico, nel senso di cui sopra, uscire di casa per andare a una presentazione, lo è ancor più far parte di un gruppo di lettura.
Mi chiedo se le autrici e gli autori più giovani, quelli che hanno iniziato a muoversi interamente nel mondo dei social, possano usufruire delle stesse possibilità: come hai ricordato, una comunità si crea con il corpo, per cominciare, poi può anche passare attraverso Internet. E non tutti coloro che sono popolari sui social hanno automaticamente lo stesso risultato. Penso a Michela Murgia, per esempio, che era popolare prima di essere attiva su Instagram.
Per usare un’espressione diffusa tra i coetanei di mia figlia, stando solo sui social non costruisci niente di deep. Ti consegni al flusso, dunque all’evanescente. Non riguarda solo le autrici e gli autori più giovani, è una tendenza che ha già una storia. Dov’è oggi la maggior parte degli influencer e degli youtuber di dieci anni fa? Soprattutto, dove sono i libri che avevano pubblicato grazie alla loro fama on line? Nello stesso luogo dov’erano finiti i libri dei blogger “di grido” degli anni Zero: il dimenticatoio.
Riguarda tutte e tutti, non solo chi scrive libri e vuole farli conoscere: quando si è abituati a comunicare solo a distanza, passare a una dimensione “in presenza” – espressione che prima del Covid era pleonastica – non è facile, come minimo c’è impaccio, quando non vero e proprio dolore. Come ha mirabilmente sintetizzato una mia amica qualche sera fa: “anche quando vogliono stare insieme, spesso ragazze e ragazzi non sanno come si fa, e litigano, o comunque stanno male”. È lo scoglio iniziale. Si affronta aiutandosi a vicenda, e si supera con la continuità e la consuetudine.
Riguardo ai colleghi e alle colleghe: noi che in decenni di attività e relazioni la comunità l’abbiamo costruita, qualcosa da dire, qualche esempio da portare, qualche dritta da dare ce l’abbiamo, alcune generali e altre più specifiche. La dritta più importante rimane questa: fare di tutto per ritrovarsi, per stare insieme e cooperare, per riscattare i corpi dal sequestro che ogni giorno subiscono.
Loredana Lipperini
Loredana Lipperini è scrittrice, saggista, blogger, attivista culturale e docente. Il suo ultimo libro è Il Segno del Comando (Rai libri, 2024).
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