La redazione di Lucy
13 Gennaio 2025
Abbiamo chiesto a un esperto di politica internazionale di fare chiarezza sui risvolti più opachi di quanto accaduto a Sala e di raccontarci quello che accadrà ora.
Cecilia Sala è stata liberata dal carcere iraniano di Evin l’8 gennaio scorso dopo ventuno giorni di angoscia molto partecipata. Durante la prigionia di Sala, veniva immediato compulsare i giornali per capire quali fossero i reali obiettivi della Repubblica dell’Iran, quali le accuse mosse a una donna che non aveva commesso alcun crimine, ma solo svolto la sua professione di cronista e, soprattutto, come ci si potesse adoperare, celermente, per liberarla. Quasi subito è stato chiaro che Sala era di fatto tenuta come ostaggio da scambiare con Mohammed Abedini, ingegnere accusato di aver cospirato per esportare componenti elettronici dagli Stati Uniti all’Iran e arrestato in Italia su richiesta americana a metà dicembre. Nemmeno la consapevolezza di una via d’uscita – lo scambio di una prigioniera con un altro – è riuscita a lenire l’inquietudine provocata da un’ingiustizia che si situa fuori dai rassicuranti confini del Diritto. Fuori da quei confini, infatti, prevalgono un senso di impotenza e di smarrimento: come ci si deve comportare politicamente? Come opera la complessa macchina della diplomazia internazionale? Che fare, insomma?
Oltretutto, a casi analoghi ci stiamo abituando – ma ci si abitua mai davvero?
Di recente, il giornalista del «Washington Post» Evan Gershkovich e la cestista americana Brittney Griner sono stati entrambi incarcerati con false accuse in Russia, anche qui con l’obiettivo di scambiarli con criminali detenuti in Occidente. Con fragili e inadeguati strumenti per districarsi nella complessità della politica internazionale, ci si chiede se non ci troviamo forse di fronte a una nuova fase, nella quale il cinico mercato degli ostaggi è destinato a diventare uno strumento politico sempre più comune.
Nel frattempo, nuovi elementi contribuivano ogni giorno a rendere più opaco il quadro: l’incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump a Mar-a-Lago, le dimissioni al vertice dei servizi segreti italiani di Belloni, le voci su Starlink e sulle simpatie tra Musk e Meloni, le goffe dichiarazioni del ministro degli esteri Tajani, il mistero del pacco con i beni di prima necessità destinato a Sala che prima sembrava fosse consegnato e poi invece no, con la conseguente frustrazione dell’ambasciatrice italiana a Teheran Paola Amadei. Tutto questo ha contribuito ad aggrovigliare una matassa che, malgrado la liberazione di Sala, non è ancora stata dipanata.
Per questa ragione abbiamo pensato di chiedere a Umberto Ranieri, politico del Partito Democratico, ex Senatore, Sottosegretario di Stato al Ministero degli affari esteri dal ‘98 al 2001 e Presidente della terza commissione affari esteri della camera dei deputati dal 2006 al 2008, di raccontarci un po’ meglio i risvolti di questa vicenda.
Quando un nostro concittadino viene rapito o arrestato in un Paese dalla fragile o inesistente democrazia, come si deve comportare il governo? Legittimarlo come interlocutore e avviare delle trattative diplomatiche o perseguire altre strade? Nello specifico: chi è Abedini e quanto è importante il ruolo delle alleanze internazionali a cui l’Italia aderisce?
La strada dei negoziati e dei patti riservati, è quella perseguita dai Paesi democratici occidentali. La domanda da porsi è: esiste un’alternativa alle trattative diplomatiche per riportare in libertà un cittadino che finisce nelle grinfie di uno dei cosiddetti “Stati canaglia”? Anche gli Usa in passato hanno negoziato scambi e accettato condizioni sgradite. Ad esempio, per ottenere la liberazione del reporter del «Wall Street Journal» Evan Gershkovich in carcere in Russia con accusa di spionaggio, gli americani chiesero a Olaf Scholz, cancelliere tedesco, di consegnare ai russi una spia che aveva commesso un reato in Germania, e per il quale era stato condannato all’ergastolo. Anche in quel caso fu Biden stesso a prendere quella decisione.
Ad ogni modo, non si cede mai al ricatto di un altro Paese, nello specifico dell’Iran, a cuor leggero. Mohammad Abedini non è figura estranea al sistema oppressivo e repressivo iraniano: per tre anni è stato consigliere “dell’organizzazione Jihad per la ricerca e l’autosufficienza del corpo dei pasdaran”, collabora con l’industria dei droni Shahed, gli stessi forniti ai russi per colpire l’Ucraina. Insomma, l’ingegnere iraniano è un pendaglio da forca, per dirla brutalmente, ma salvare Cecilia Sala era la priorità assoluta. L’Italia era a un bivio: se avesse concesso l’estradizione negli Stati Uniti, a Cecilia Sala sarebbe stata inflitta una condanna più o meno pesante, di certo una lunga carcerazione nelle immonde galere iraniane. La vita non ha prezzo, e per salvare una persona, ha detto l’iraniana premio Nobel Shirin Ebadi, si può anche stringere la mano al diavolo. Non si dimentichi tuttavia, ha aggiunto Shirin, che assecondare le richieste della Repubblica islamica può mettere in pericolo altre donne e altri uomini. C’è da augurarsi che al Dipartimento di Giustizia che ha istruito il caso Abedini sia almeno consegnato, dall’Italia, il materiale elettronico che l’ingegnere iraniano portava con sé al momento dell’arresto.
“Cecilia Sala è stata liberata dal carcere iraniano di Evin l’8 gennaio scorso dopo ventuno giorni di angoscia molto partecipata. Durante la prigionia di Sala, veniva immediato compulsare i giornali per capire quali fossero i reali obiettivi della Repubblica dell’Iran, quali le accuse mosse a una donna che non aveva commesso alcun crimine, ma solo svolto la sua professione di cronista”.
La macchina della diplomazia non è priva di complessità agli occhi di chi non ha un’assidua frequentazione con essa. Un Presidente del Consiglio che ruolo ha in scenari di questo tipo? Si è molto lodato l’operato di Giorgia Meloni: è stato davvero fondamentale?
La complessa vicenda è stata affrontata e seguita con intelligenza sulla base di un’intesa e forte collaborazione tra diplomazia e servizi. Allo stato delle informazioni di cui disponiamo, l’iniziativa della Presidente del Consiglio è stata importante. Palazzo Chigi ha compreso che la soluzione del caso Sala non sarebbe passata per l’Amministrazione statunitense uscente. Forte di questa consapevolezza, Giorgia Meloni si è recata a Mar-a-Lago per il colloquio di tre ore con Trump. Secondo le informazioni che ci sono pervenute, la premier avrebbe ottenuto l’assicurazione che Trump non si sarebbe opposto a una eventuale scarcerazione dell’ingegnere iraniano Abedini, di cui il Dipartimento di Giustizia americano aveva chiesto l’estradizione alle autorità italiane. Come è apparso evidente, il ruolo delle personalità individuali è importante nelle vicende politiche e nelle relazioni tra stati ma non è il caso di esasperarne la portata. Non vorrei che nella esaltazione del ruolo della presidente del Consiglio si smarrisse il senso della misura.
Come si sta svolgendo la vicenda di Mohammad Abedini? Proprio stamattina Nordio ha revocato la custodia cautelare del detenuto…
Su Mohammad Abedini era attesa la decisione della Corte d’Appello di Milano. Mercoledì si sarebbe dovuta tenere l’udienza per discutere l’eventuale scarcerazione. Poi, nelle ultime ore, l’accelerazione di Nordio che ha esercitato la facoltà di comunicare ai giudici la revoca della custodia cautelare. Decisione del Guardasigilli cui i giudici sono obbligati ad attenersi. Il ministero di Grazie e Giustizia ha fornito spiegazioni tecniche alla decisione: “il reato previsto dalla norma federale degli Usa non è contenuto nell’ordinamento italiano quindi vengono meno i presupposti per la estradizione… non sono emerse prove evidenti delle accuse americane mosse nei confronti dell’ingegnere iraniano”. Si tratta in realtà di argomentazioni rese necessarie per poter mantenere senza eccessivi strappi all’ordinamento l’intesa con Teheran. L’accelerazione, a quanto pare, si è resa inevitabile considerato che si annunciava l’arrivo dagli Stati Uniti di nuove ipotesi di reato che avrebbero reso più difficile la liberazione di Abedini. In ogni caso ipocrisia o meno, la liberazione dell’uomo dei droni ed emissario di Teheran, era il prezzo da pagare per la libertà di Cecilia e questo basta.
Nel mentre si è anche dimessa Elisabetta Belloni dai vertici dei servizi segreti italiani, cosa che è stata accolta con malcelata soddisfazione dal ministro Tajani, con cui i rapporti parevano non essere dei migliori…
Nei giorni vissuti nell’ansia per la sorte di Cecilia sono apparse sconcertanti le dimissioni di Elisabetta Belloni, direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Crepe interne alle strutture governative? Valutazioni diverse su come affrontare la vicenda della carcerazione di Cecilia Sala? Allo stato attuale è difficile fare una valutazione chiara su quanto accaduto. Certo è incomprensibile che il sistema degli organismi destinati alla sicurezza del Paese si privi della professionalità e dell’esperienza di una funzionaria come Elisabetta Belloni.
Che rapporti diplomatici intercorrono tra Italia e Iran?
L’Italia vanta buoni rapporti con l’Iran, lo dimostrò poco tempo fa la storia della “travel blogger” Alessia Piperno, anche lei imprigionata nel carcere di Evin e rilasciata dopo 45 giorni. Un episodio che conferma i rapporti in particolare dei servizi con la Guardia rivoluzionaria iraniana, da cui dipende in molti casi il ritorno in libertà di donne o uomini arbitrariamente arrestati. Questi rapporti – che anche nella vicenda di Cecilia Sala si sono dimostrati utili – dovrebbero servire a facilitare lo scambio di informazioni e ad aiutare e a riportare in libertà altri cittadini italiani, e non solo, incarcerati dal regime iraniano. Forse, anche nella atroce vicenda degli ostaggi israeliani prigionieri di Hamas nei tunnel di Gaza, potrebbero rivelarsi proficui i rapporti dei nostri servizi con i protettori di Hamas che risiedono a Teheran.
“La complessa vicenda è stata affrontata e seguita con intelligenza sulla base di un’intesa e forte collaborazione tra diplomazia e servizi”.
Il rilascio così rapido di Sala ad ogni modo ha stupito tutti…
Nel rilascio di Sala, tutto sommato tempestivo, ha pesato il timore che il regime, diviso al suo interno e fiaccato dalle sconfitte subite recentemente, ha avuto delle conseguenze di una lunga detenzione in carcere di una giovane giornalista occidentale innocente. Il regime iraniano oggi è fortemente indebolito, la strategia militare e politica tesa ad assediare Israele ha subito colpi micidiali. L’uccisione del leader di Hamas Ismail Haniyeh, addirittura a Teheran, la decapitazione di Hezbollah, la caduta di Assad a Damasco, hanno profondamente modificato la situazione. Il regime avverte la propria debolezza e reagisce serrando la morsa contro i dissidenti e l’opposizione, aumentano le sentenze a lunghe carcerazioni e le condanne a morte. Difficile valutare se si approssima un cambiamento. La critica situazione economica in cui versa l’Iran aumenta le sofferenze per la popolazione. Quanto potrà durare ancora? La fragilità del regime e le fratture interne che sembrano manifestarsi dovrebbero far riflettere sulla sua instabilità, senza tuttavia farci coltivare l’illusione che la svolta democratica sia alle porte. I regimi autoritari non sono granitici, come dimostra la destituzione di Assad, che pure godeva del sostegno dei russi e dello stesso Iran. Allo stesso tempo, repentini cambi di regimi potrebbero risultare illusori.
Sui giornali si è letto anche che l’Iran vorrebbe coltivare rapporti più distesi con gli Stati Uniti e che in questa situazione l’Italia abbia rappresentato una sorta di mediatore tra i due Paesi…
Sì, si sostiene che l’Iran vorrebbe rapporti meno conflittuali con gli Usa e che farebbe affidamento per raggiungere questo obiettivo sui “buoni uffici” della politica e della diplomazia italiana. C’è qualche richiesta in questa direzione avanzata dall’Iran nella fase convulsa delle trattative per la liberazione di Sala? Qualcosa di più circa gli orientamenti di Teheran dovrebbe venire fuori negli incontri che si svolgono a Ginevra tra Iran, Regno Unito, Germania e Francia sul nucleare. Vedremo. Credo che il governo italiano abbia già informato dettagliatamente la Commissione Europea di quanto accaduto e che debba promuovere in sede di Consiglio europeo una riflessione politica sull’intera vicenda. Con la Repubblica islamica i governi occidentali devono agire sulla base di un indirizzo unitario e in maniera forte e determinata.
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