Giada Messetti
Mescolando tradizione pittorica, manifesti di propaganda e nuovi stili di illustrazione, ha dipinto speranze, violenze e desideri di un popolo intero: un'intervista al maestro del fumetto cinese che meglio di chiunque altro ha raccontato gli stravolgimenti della Cina degli ultimi settanta anni.
Li Kunwu nasce nel 1955 a Kunming, capoluogo della provincia dello Yunnan, nella Cina del Sud. Come ama dire, la sua età coincide perfettamente con quella della Nuova Cina, visto che la Repubblica Popolare cinese è stata fondata da Mao Zedong solo qualche anno prima, nel 1949. La sua esperienza di vita abbraccia tutti i cambiamenti avvenuti nel paese negli ultimi 70 anni. Di ogni fase storica conserva ricordi nitidi e indelebili. Li rivive con tale precisione e lucidità da aver trasformato l’esercizio della memoria e della nostalgia nella sua ragione di vita.
In un Paese sempre proiettato verso il futuro, che macina cambiamenti a velocità difficilmente comprensibili alle nostre latitudini, il maestro Li è un testimone prezioso. Le sue graphic novel Una vita cinese e Mia Madre, tradotte in 20 lingue e pubblicate in Italia da Add Editore, sono documenti rari, toccanti, perché permettono di guardare dal di dentro l’esperienza attraversata da centinaia di milioni di cinesi nei decenni del Novecento, una fase storica di stravolgimenti epocali, spesso spietati e estremamente violenti.
Li Kunwu, in Europa, è l’uomo delle prime volte. In Italia, nel 2018, è stato il primo fumettista cinese ospite d’onore al Festival Lucca Comics & Games e il primo artista cinese a firmare la copertina di «Linus». In Francia, è ormai una star: le sue opere sono state ospitate al Museo Cernuschi (2015) e al FRAC Auvergne (2018). Per la Fondazione Louis Vuitton ha pubblicato un meraviglioso travel book illustrato su Cuba (2018). Il 15 e il 16 marzo sarà eccezionalmente a Roma per incontrare i lettori italiani in due diversi appuntamenti, mentre il 19 inaugurerà una nuova mostra all’Espace Culturel ICICLE a Parigi.
Il tratto artistico distintivo di Li Kunwu mescola sapientemente la tradizione pittorica cinese con gli stilemi dei manifesti di propaganda novecenteschi ed è in grado di ricreare e alternare, spesso bruscamente, atmosfere tranquillizzanti ad atmosfere tragiche e profondamente angoscianti. In Mia madre narra il caos e l’instabilità degli anni Trenta cinesi – i signori della guerra, l’invasione giapponese, le potenze occidentali che ancora occupano le concessioni nelle grandi città, la guerra civile tra il partito nazionalista del Kuomintang e il Partito comunista, la Lunga Marcia (1934). Nei tre volumi di Una vita cinese descrive i primi anni di vita della Repubblica Popolare (1949), il Grande Balzo in avanti (1958), la Rivoluzione Culturale (1966-1976, la campagna politica lanciata da Mao Zedong per rafforzare la sua autorità all’interno del Partito comunista: con il pretesto di ripulire il partito dai “revisionisti controrivoluzionari”, Mao incitò le guardie rosse a ribellarsi contro i “quattro vecchi”: le vecchie correnti di pensiero, la vecchia cultura, le vecchie abitudini e le vecchie tradizioni – il paese fu attraversato da un’ondata di violenza e demolizione che durò appunto quasi 10 anni), il momento spartiacque della morte di Mao Zedong, l’«arricchirsi è glorioso» di Deng Xiaoping (1978, quando fu introdotto il concetto di “politica delle porte aperte”, che permise all’economia cinese di iniziare un processo di privatizzazione e di apertura al commercio estero e alle imprese straniere che volevano stabilirsi in Cina. È stato la base della successiva crescita a ritmi mai visti del paese), la repressione di Piazza Tiananmen (1989), le Olimpiadi di Pechino (2008), fino ad arrivare al “Sogno Cinese” dell’attuale presidente Xi Jinping (2012).
Racconta la sua vita, e allo stesso tempo le esperienze e le convinzioni di un popolo. Dentro le opere di Li Kunwu c’è tutto: l’utopia, il desiderio, l’illusione, l’ideologia, la follia collettiva, la violenza distruttiva, la gioia, la disperazione, l’ingenuità, la ricchezza, la povertà. C’è soprattutto lo sguardo diretto, non filtrato da sovrastrutture esterne, di chi ha vissuto in prima persona quegli avvenimenti.
Ho avuto la fortuna di incontrare per la prima volta Li Kunwu sei anni fa, siamo diventati amici e nel tempo sono andata a trovarlo diverse volte a Kunming. Recentemente, mentre mi presentava le sue ultime creazioni, gli ho detto che lui per me è un “custode della memoria”. Un ruolo importante in un paese abituato per cultura a non soffermarsi troppo sul passato ed essere sempre proiettato verso il futuro.
“Dentro le opere di Li Kunwu c’è tutto: l’utopia, il desiderio, l’illusione, l’ideologia, la follia collettiva, la violenza distruttiva, la gioia, la disperazione, l’ingenuità, la ricchezza, la povertà”.
Li Kunwu dipinge da sempre, si è mantenuto tutta la vita disegnando prima poster di propaganda e vignette sul quotidiano «Yunnan Daily», poi sperimentando forme artistiche più classiche. “All’inizio mi occupavo quasi solo degli elementi emotivi personali, poi ho cominciato a raccontare anche ciò che stava intorno a me, perché mi sono reso conto che le abitazioni, le strade, le fabbriche, gli oggetti di uso comune, i campi coltivati ecc., utilizzati e visti in passato, erano quasi del tutto scomparsi. Gli anziani li hanno dimenticati, i giovani spesso non hanno la minima idea di cosa fossero”. A un certo punto della sua vita, mi racconta, ha riflettuto sul fatto che tutte queste cose col tempo sarebbero andate perse per sempre, come se non fossero mai esistite. “Ormai anche in Cina si è iniziato a dare importanza alla protezione e al restauro dei beni culturali, ma come si fa a conservare il ricordo della vita quotidiana delle persone? Ho scoperto che davanti a me avevo un grande tesoro che valeva la pena raccogliere e in modo naturale sono diventato un ‘custode della memoria’, proprio come dici tu. So che questo lavoro è marginale e solitario, ma credo che sia importante”.
Sei un autodidatta. Ti ricordi quando hai capito che disegnare sarebbe potuto diventare un lavoro?
Sono nato nel 1955 da un padre funzionario e da una madre operaia. Nessuno dei due era un artista. Ricordo che un giorno, quando avevo cinque anni, guardavo alcuni bambini del quartiere, più grandi di me, scarabocchiare sul muro. Le bambine disegnavano dame dell’antichità, i maschi disegnavano carri armati. Io ho preso in mano il gesso avanzato e ho cominciato a ricalcare le linee dei carri armati tracciate dagli altri bambini. È stata la mia prima opera. Ho capito in quel momento che mi piaceva disegnare e che ero capace di farlo, ma non avrei mai pensato di diventare un artista. Quando ero piccolo ci veniva insegnato l’ideale della supremazia del lavoro e tutti aspiravamo a diventare contadini, operai o soldati dell’Esercito popolare di liberazione. Io sono stato fortunato: quando mi sono arruolato nell’esercito, mi sono offerto come “soldato disegnatore”. Inizialmente sono stato deriso, ma col tempo la mia capacità di disegnare è stata molto apprezzata dai miei superiori.
Oggi, a 67 anni, mi sono inventato questa formula: “la vita è stata la mia maestra, la società la mia aula”. Non ho mai preso un diploma professionale, né come scrittore, né come artista, ma ho trascorso la mia vita a scrivere e a disegnare. L’anno scorso il governo francese mi ha conferito l’onorificenza di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres, e per me questo è un attestato sufficiente.
I tuoi genitori come hanno accolto il tuo talento? Erano contenti o avrebbero preferito tu facessi un altro mestiere?
Mio padre voleva che entrassi in politica come lui, ma mia madre ha sempre detto che dovevo fare quello che volevo. Mi capiva e mi rispettava, e questo è uno dei motivi principali per cui le sono molto grato.
Nei tuoi libri racconti che hai lavorato come artista del Partito Comunista cinese per tanti anni.
Cinquant’anni fa entrare nel Partito era qualcosa di molto prestigioso, perché significava mettersi al servizio del popolo. Io l’ho fatto in primo luogo perché era un grande desiderio di mio padre, ma anche perché era normale per un giovane di allora: tutti i soldati come me provavano a diventare membri del PCC. Ho lavorato per il partito soprattutto negli anni delle “riforme e dell’apertura” volute da Deng Xiaoping. Tutto il mio lavoro era incentrato sul fare propaganda legata a questo tema e veniva sempre supervisionato dal Partito.
Quali maestri e grandi artisti hanno influenzato la tua arte?
Sono stato giovane durante il periodo della Rivoluzione culturale e quindi a lungo non sono stato influenzato da nessuno. Si è trattato di un periodo in cui dal punto di vista culturale abbiamo distrutto tutto ciò che rappresentava il passato. Non avevamo accesso praticamente a nessun contenuto che non fosse il “Libretto Rosso” di Mao Zedong. All’epoca non potevo quindi conoscere maestri di pittura cinesi né entrare in contatto con l’arte occidentale. Negli anni Ottanta, avviata la fase delle riforme e dell’apertura, ho assorbito le influenze artistiche dei grandi maestri molto rapidamente, e posso dire che sono riuscito a migliorare velocemente la qualità dei miei disegni. Ora mi considero un artista rustico e di campagna, un po’ alternativo in Cina.
Come sei passato dal disegnare vignette di propaganda e dipingere quadri a scrivere fumetti?
Da bambino ero più bravo a scrivere che a disegnare. Ho sempre scritto molto, in modo indipendente. La scrittura di storie a fumetti ha il grande vantaggio di permettere ai pensieri e ai sentimenti di fondersi con il pennello in modo perfetto. Posso dire che si è trattato di un passaggio naturale. Ormai tutto ciò che dipingo passa direttamente dalla mia testa alla mia mano: i fumetti, i disegni a china, i murales e così via. Disegno tutto mentre lo penso, senza fare schizzi preparatori, direttamente sulla carta o sul muro. Quando lavoro i miei assistenti fanno fatica a darmi una mano, perché non sono in grado di immaginare quale sarà il tratto successivo. In realtà, spesso non lo so nemmeno io.
Il fumetto è un genere diffuso tra i lettori cinesi?
Lo sviluppo del fumetto in Cina ha attraversato un processo tortuoso. Cento anni fa sono comparsi i Lianhuanhua, piccoli libri illustrati grandi quanto il palmo di una mano, che hanno raggiunto grandissima popolarità fino agli anni Ottanta. Dopo l’introduzione delle riforme e dell’apertura, i giovani cinesi hanno avuto la possibilità di leggere opere che arrivavano dall’estero e si sono appassionati ai manga giapponesi che contenevano illustrazioni dinamiche, simili a scene di film. I vecchi Lianhuanhua erano molto classici e piuttosto statici e piano piano sono scomparsi. Oggi i giovani leggono i fumetti soprattutto online, perché i telefoni cellulari hanno sostituito quasi completamente le pubblicazioni cartacee. Io continuo a stampare i miei libri, forse è per questo che le mie graphic novel sono più conosciute all’estero che in Cina.
Nel primo volume di Una vita cinese (‘L’era del Padre’) racconti la tua giovinezza e gli anni del governo di Mao Zedong…
Quell’epoca è ormai davvero lontana. Molti dei miei amici cresciuti nello stesso periodo non ricordano quasi più nulla. È stato molto emozionante vederli commuoversi quando ho chiesto loro un parere sul mio libro. Mi hanno detto che sono riusciti a ritrovare non solo i fatti storici, ma anche le emozioni che tutti abbiamo vissuto all’epoca. Ho cercato di raccontare soprattutto le gioie e i dolori della nostra generazione e mi sento molto fortunato: ho avuto una vita estremamente ricca, ma ho anche avuto l’opportunità storica di essere un ghostwriter per i miei coetanei. Dipingendo me stesso, ho dipinto anche tutti loro.
Di quegli anni mi mancano soprattutto l’autenticità e la semplicità della vita e la purezza del cuore umano.
Come è considerata oggi in Cina la figura di Mao?
Rimane una figura fondamentale, perché è stato colui che ha unificato il paese. Credo si possa capire l’attuale atteggiamento dei cinesi nei suoi confronti dal fatto che online, ancora oggi, la maggior parte degli utenti non si riferisce a lui usando il nome proprio, ma chiamandolo “Presidente Mao”. A marzo dell’anno scorso sono andato a visitare Shaoshan, il suo paese natale nello Hunan [in Cina è molto diffuso il “turismo rosso”: i luoghi simbolo del processo che ha portato alla fondazione della Cina moderna sono meta di pellegrinaggio da parte dei comuni cittadini]..
“Ormai tutto ciò che dipingo passa direttamente dalla mia testa alla mia mano: i fumetti, i disegni a china, i murales e così via. Disegno tutto mentre lo penso, senza fare schizzi preparatori”.
Era un giorno normale, senza particolari anniversari, e io sono arrivato tardi perché erano già le quattro del pomeriggio. Sono rimasto davvero sorpreso da quanta gente ci fosse. Mi sono ritrovato in mezzo a migliaia e migliaia di persone provenienti da tutto il paese, accalcate nella piazza centrale. Le ho osservate a lungo e mi sono accorto che la maggior parte di loro aveva meno di 60 anni e quindi, ai tempi della morte di Mao avvenuta nel 1976, non era ancora nata. Gli abitanti del villaggio mi hanno spiegato che il numero di visitatori negli ultimi anni è in continua crescita.
In Mia Madre, invece, parli della Cina degli anni Trenta. Cosa ti interessava si capisse di quell’epoca?
Sono anni in cui la società cinese si è trovata ad affrontare situazioni tragiche e profondamente contraddittorie, tra guerre e carestie. Le persone comuni lottavano tutti i giorni per cercare una via di fuga da incredibili sofferenze. Se un lettore ha chiari questi avvenimenti, può capire perché a un certo punto in Cina c’è stata la rivoluzione comunista, come mai il Partito Comunista Cinese è riuscito ad avere successo, e in che modo la Cina è arrivata ad essere oggi la seconda potenza mondiale.
Hai mai avuto problemi con la censura?
Quest’anno sono 20 anni che scrivo e disegno fumetti. Li ho sempre realizzati seguendo le mie idee, non mi è mai successo di ricevere pressioni. I contenuti dei miei libri in Cina sono gli stessi della versione in lingua straniera, senza nessuna cancellazione o modifica. Credo che le mie opere non siano problematiche in Cina perché parlano della vita ordinaria delle persone comuni (cibo, vestiti, alloggio, trasporti, lavoro, rabbia, dolore e gioia) e raccontano esperienze reali e naturali, dall’infanzia alla vecchiaia. Sono ritenute opere di “epica civile”, quindi sono accettate sotto tutti i punti di vista.
Forse c’è anche un altro motivo: tutti i lavori da fumettista risalgono al periodo successivo al mio pensionamento. Probabilmente, se lavorassi ancora nella redazione del giornale, dovrei fare rapporto a qualcuno, ma ora mi sento molto libero.
La trilogia Una vita cinese racconta la tua storia e la storia della Cina fino al 2012. Se dovessi disegnare un nuovo volume che arrivi al 2024, quali avvenimenti della storia cinese e del mondo degli ultimi 12 anni racconteresti e come lo intitoleresti?
Dopo la pubblicazione del terzo volume di Una vita cinese pensavo di aver detto tutto quello che dovevo dire. Invece, anche gli ultimi dieci anni sono stati ricchi di grandi trasformazioni.
I primi tre libri riguardavano rispettivamente l’era dell’infanzia, l’era della rivoluzione rossa e l’era dell’avvento della ricchezza. Forse chiamerei il quarto volume “l’era del vento”, perché negli ultimi dieci anni la Cina è cambiata molto velocemente, come il vento che soffia e raggiunge ogni angolo. Sicuramente una parte del libro includerebbe la pandemia e la prevenzione delle epidemie.
Ho odiato indossare sempre le mascherine, oggi mi dà fastidio anche solo vederle. Sono stati anni angoscianti perché ho temuto si tornasse alla povertà che ho vissuto da bambino, quando i negozi erano vuoti e c’erano continue interruzioni di corrente, acqua e gas. Per fortuna, nella mia città Kunming non è successo niente di tutto questo. Ricordo che a inizio febbraio 2020, durante il primo lockdown in Cina ti avevo inviato diverse vignette umoristiche su come i cinesi affrontavano l’epidemia per prenderla un po’ con filosofia: allora nessuno di noi sapeva che questo vento avrebbe soffiato per tre anni e quando si sarebbe arrestato. Per fortuna oggi in Cina il COVID è percepito come qualcosa di molto lontano. La gente non ne parla più.
Sei un artista sempre alla ricerca di nuovi stimoli: vignette, fumetti, libri illustrati, quadri di varie dimensioni, ad olio, a china e acquarello. In Francia hai esposto una tua opera lunga 28 metri! Da poco hai cominciato perfino ad affrescare le facciate delle abitazioni di un piccolo villaggio dello Yunnan, la provincia in cui vivi. Ci parli del cosiddetto “villaggio del fumetto”?
Il vero nome di questo villaggio è Duqu Village. Si trova a circa 30 chilometri dalla città di Kunming e, stranamente, conserva ancora l’atmosfera della vita rurale di una volta. L’anno scorso, gratuitamente, ho accettato di dipingere un centinaio di murales sulle pareti esterne delle sue case. La parete più alta che ho affrescato è di un edificio di tre piani.
Sono orgoglioso di questo lavoro perché in Cina esistono molti murales, ma di solito servono per la propaganda politica, per la pubblicità commerciale o come decorazione estetica. Io, come mi hanno detto in tanti, involontariamente mi sono ritrovato a dipingere “murales narrativi”.
“Mio padre voleva che entrassi in politica come lui, ma mia madre ha sempre detto che dovevo fare quello che volevo”.
Ho ritratto scene di vita quotidiana, il mercato, gli anziani che passeggiano, la raccolta del grano, animali domestici, bimbi che vanno a scuola. Per portare a termine questo progetto ho vissuto sei mesi nel villaggio assieme ai contadini. Fatta eccezione per una pausa di due ore a mezzogiorno, dipingevo sempre, dalla mattina alla sera, finché non tramontava il sole. All’inizio pensavo che mi sarebbe bastato restare nel villaggio un paio di mesi, ma piano piano ho scoperto che avevo voglia di rimanere lì più a lungo. Mi sentivo sereno e libero, perché da bambino ho vissuto in un borgo che era molto simile a Duqu e che ora non esiste più perché è stato distrutto. Al suo posto c’è una foresta di grattacieli. I murales sono diventati un modo nuovo per fissare i miei ricordi e commemorare la mia infanzia. È stata un’esperienza bellissima perché di solito io disegno da solo nel mio studio, farlo per strada è significato avere attorno persone curiose con cui chiacchierare. Mi sono proprio divertito.
Come sta la Cina oggi?
Ti rispondo con un’immagine. Qualche settimana fa, durante il capodanno cinese, sono andato a fare un viaggio in una zona molto bella dello Yunnan che si chiama Xishuangbanna. Di solito trascorro lì due mesi in inverno, perché è un posto di confine relativamente caldo. Al termine delle vacanze, dovevo tornare a Kunming. Mi aspettavo che la strada fosse trafficata e per questo motivo sono partito alle 9 del mattino con due giorni di anticipo rispetto alla scadenza nazionale del periodo di vacanza. Nonostante questo, mi sono trovato imbottigliato in un fiume di decine di migliaia di auto. Ho impiegato più di 15 ore per percorrere 600 chilometri. Ascoltando i notiziari alla radio, ho scoperto che tutte le arterie più importanti del paese erano bloccate per il traffico. Significava che centinaia di milioni di persone erano ferme nelle loro auto, in attesa che la situazione viaria tornasse fluida.
Ho riflettuto sul fatto che quello dello scorso febbraio è stato il primo Capodanno di libertà per i cinesi dopo tre anni di controlli strettissimi dovuti alla politica zero COVID. Il governo per incentivare i viaggi nel periodo di festa ha abolito le tariffe autostradali e questo ha permesso anche a chi vive nelle campagne e ha meno risorse economiche di potersi spostare. Sulle strade, quindi, guidava anche chi non è abituato a percorrere le tratte veloci e non conosce bene il codice della strada, perché di norma usa l’auto tra i campi o nei piccoli paesi. Cambiavano corsia senza curarsi degli altri veicoli, andavano contromano, si fermavano improvvisamente, e a volte gettavano persino immondizia dal finestrino. Trovo che questa sia la raffigurazione plastica della Cina di oggi: negli ultimi 20 anni ha vissuto uno sviluppo talmente veloce, che non tutte le persone sono riuscite a tenere il passo. C’è una grande voglia di ripartire dopo i 3 anni di pandemia, ma al momento c’è un grande ingorgo.
C’è qualcosa che secondo te noi occidentali proprio non capiamo della Cina, ma che sarebbe importante capissimo?
Ho avuto la fortuna di entrare in contatto con persone provenienti da molti paesi e ho scoperto un fenomeno molto interessante: negli anni Settanta i cinesi non avevano idea di come fosse il mondo e quando, dopo gli anni delle riforme e dell’apertura, hanno iniziato a viaggiare all’estero sono rimasti scioccati nello scoprire che era completamente diverso da quello che gli era stato descritto. Adesso ho la sensazione che la situazione si sia ribaltata: gli stranieri quando arrivano in Cina si stupiscono sempre e scoprono che molte cose sono diverse da come le avevano immaginate. Per questo invito gli amici italiani a venire a visitare la Cina, soprattutto nelle sue aree più remote, per poter conoscere situazioni più reali e complete.
Quali sono i tuoi desideri e i tuoi progetti futuri?
I miei quadri sono stati esposti diverse volte in Francia e in Belgio, ma a me piacerebbe molto riuscire a portare una mia mostra in Italia.
Li Kunwu incontrerà i lettori a Roma:
Venerdì 15 marzo alle ore 9, Sala Riunioni 1 dell’edificio Marco Polo, Dipartimento Italiano di Studi orientali, Circonvallazione Tiburtina 4.
Per prenotazioni: eventiculturali@istitutoconfucio.it
Sabato 16 marzo alle ore 18.30, Spazio Sette Libreria, Via dei Barbieri 7.
Per prenotazioni: info@spaziosettelibreria.it
Giada Messetti
Giada Messetti è sinologa e autrice Tv. Il suo ultimo libro è La Cina è già qui – Perché è urgente capire come pensa il Dragone (Mondadori, 2022). Ha condotto la trasmissione CinAmerica, disponibile su Raiplay.
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