Daniela Collu
25 Luglio 2025
Sono su un Frecciarossa Milano-Roma, e questo pezzo inizia con un’informazione superflua: il Wi-Fi non funziona.
Lo so perché ho appena provato a collegarmi con il sito di Mediaset Infinity per recuperare la quarta puntata di Temptation Island e scrivere le dodicimila battute che mi sono state commissionate, in seguito ad alcune considerazioni che ho fatto a proposito del programma nelle storie di Instagram, mentre, sul divano col ventilatore addosso e un Calippo in mano, mi dedicavo a coltivare il mio senso critico in tema di relazioni interpersonali.
Allenare il senso critico è l’alibi che tutte (femminile sovraesteso doveroso) usiamo da qualche anno, quando rispondiamo alla comprensibile domanda “ma perché guardi quella merda?”. La risposta funziona, l’ho testata su di me, mi trasforma in un’antropologa che studia le modalità di accoppiamento di una società rurale precristiana della Papua Nuova Guinea e apparentemente gli altri mi credono, quasi si sentono in difetto loro, loro che la TV la guardano e basta, anzi, che forse dalla Tv si fanno guardare, usare, manipolare.
No, io no. Io sono un’intellettuale, io ne traggo – pausa drammatica – conclusioni sul presente.
Mai come quest’anno è vero, semplicemente per un motivo: quest’anno è noioso. Dovrei sospendere il giudizio, noi veterani di Temptation lo sappiamo, tutto si può ribaltare con mezza pomiciata, basta un falò di confronto particolarmente acceso e la stagione decolla, infatti continuo, e intanto osservo, analizzo, parlo da sola con lo schermo, mi incazzo, mi indigno.
Ogni anno c’è un filo conduttore, una sorta di tema di stagione che pare aver guidato gli autori nella scelta delle coppie. C’è stata l’edizione della gelosia asfissiante, quella dell’immaturità, questa pare essere quella della gestione della rabbia. Abbiamo visto coppie in cui lei non poteva andare a comprare il latte senza il permesso di lui o l’accompagnamento della suocera – non sto inventando – coppie che dopo otto anni di relazione ancora si chiedevano “Noi cosa siamo?”, quest’anno pare evidente che il viaggioneisentimenti© sia più che altro una discesa agli inferi, una sorta di accompagnamento guidato verso la rottura: insomma, se prima venivano per “mettersi alla prova”, ora vengono per lasciarsi.
Ci mettono pochissimo a confidarsi con i colleghi o con i single, le magagne escono fuori subito, i tradimenti, le incongruenze, le scontentezze familiari, gli incastri di soldi, i non incastri di sesso si rivelano entro la prima settimana, e pare si reciti ancora meno a soggetto del solito.
Se ci si lascia andare alle seduzioni della controparte ci si mette in gioco, se invece si resiste strenuamente si porta rispetto alla relazione, se si è confusi si sta facendo un percorso.
Se il copione è già scritto, il panorama è variegato eppure omogeneo. Sono tutti insoddisfatti, annoiati, parlano poco di amici e passioni, se le famiglie vengono nominate è sempre come elemento di controllo, con una specie di timore reverenziale che ricorda ai concorrenti di comportarsi bene, di non fare brutte figure. Quando lavoravo nel dietro le quinte dei reality show, o anche dei talent, ricordo che ai casting, spesso di queste persone, prima ancora dei personaggi che sarebbero poi diventati, dicevamo “ha un mondo piccolo”, cercando di immaginare quali fossero le proporzioni dell’universo umano, esistenziale, che si portavano dietro. Ecco, qui, mi sembrano tutti micromondi stanchi. Non ne hanno colpe, non è mancanza di slancio o di volontà, è proprio che alcuni sono benedetti dagli dei e nascono in contesti fertili, ricchi e densi di possibilità, e altri pensano che gli tocchi un amore fatto a forma di scatoletta, destinati a dire parole pensate da altri, cantarsi canzoni trite e banali e che quello sia il massimo da desiderare.
Ho l’illusione e la presunzione di guardare Temptation Island per riconoscere gli ingranaggi di questi schemi imprigionanti, per dirmi che non sono così, per riuscire a gridare che non solo il re è nudo, ma che proprio un altro regno è possibile.
Denise e Marco
Stanno insieme da tanto, lui ha cambiato vita per lei, prima lavorava nei locali a Ibiza, poi ha messo la testa a posto; lei è spenta, è trascurata, è bella ma non se lo sente dire da un po’. La relazione ha perso smalto, non sono felici, lui vuole capire se vederla insieme ad altri gli accenderà una gelosia vitale dentro, lei se si ricorda ancora come si chiama.
“Mi sta facendo capire che io posso avere una vita senza di lui” (Denise)
“Questa è scema proprio” (Marco)
“Lui non lo sa cosa vuol dire amare” (sempre Denise)
Dieci minuti dopo, seduti su un tronco dopo aver litigato e essersi lasciati e poi ripresi, lei piange e dice “lui me lo deve”, come se in una coppia l’innamoramento per un calciatore ventiquattrenne fosse il giusto risarcimento per le rotture quotidiane, per le discussioni a letto che finiscono in silenzi punitivi, per le domeniche a pranzo da tua madre che mi sta sul cazzo, per la fatica, la noia. Storie che si reggono sul conto di quello che ho fatto per te, quello che hai perso per me. Un tempo quando si stava insieme per riconoscenza era segno che tutto fosse finito, qui pare il gradino da cui ripartire.
Sarah e Valerio
Stanno insieme da cinque anni, convivono, ci sono mancanze, recriminazioni e flirt scoperti controllando il cellulare. Il loro recap ha Achille Lauro in sottofondo, “Se non mi ami muoio giovane” ad aggiungere pathos.
I due sembrano viaggiare su strade parallele che non si incontrano, lei chiacchiera tutto il giorno con Salvo, uno dei boni mandati dalla produzione, lui piange perché ha amato sempre le donne sbagliate, ma ricorda a tutti che prima delle fidanzate viene la Lazio, che allo stadio non rinuncerà mai, che l’adrenalina vera è una domenica in trasferta.
“Salvo se ho sete mi chiede se voglio dell’acqua, queste sono le attenzioni che mi piacciono” (Sarah)
“Ha sempre detto cose senza senso” (Valerio)
“Vuoi l’acqua?” (Salvo)
Sembra che solo gli eventi portino a galla stati d’animo, concetti e emozioni, non esiste nulla che non accada, non c’è elaborazione silenziosa, non c’è pensiero, in compenso c’è un’attenzione spasmodica a osservare i centimetri impiegati nel contatto fisico: creme spalmate su schiene palestrate, mani che arpionano cosce tese nei giochi in piscina, Iqos in mani tremanti per l’eccitazione.
“Ogni anno c’è un filo conduttore, una sorta di tema di stagione che pare aver guidato gli autori nella scelta delle coppie. C’è stata l’edizione della gelosia asfissiante, quella dell’immaturità, questa pare essere quella della gestione della rabbia”.
Viene da chiedersi questi due, a casa, un mercoledì di novembre, di cosa parlino, e la risposta è fin troppo facile, anche perché chi dovrebbe avergli mai insegnato a comunicare, a alimentare uno scambio, a coltivarsi reciprocamente?
E poi il mercoledì, a novembre, c’è la Champions League.
Valentina e Antonio
Sembra escano per la prima volta nel mondo reale. Lui si riscopre geloso oltre ogni umana sopportazione e grazie a questo ha capito quanto sia innamorato. Mentre si intrattiene comunque con altre ragazze in quel modo innocente che a lei non permetterebbe mai, piange e sbraita a ogni singola immagine della sua fidanzata con altri. Spacca le cose, prende a calci bottiglie d’acqua, sradica piante, rovescia complementi d’arredo, poi corre verso l’infinito, si accascia, piange e prende a pugni la sabbia. Uno spettacolo indecoroso, ridicolo, fastidioso. Questi non si rendono conto.
“Lui è un pagliaccio” (Valentina)
“Lei è la donna della mia vita” (Antonio)
Qui è un problema di gestione delle emozioni, ne parliamo come se fossero bambini che si disperano se gli togli un giocattolo. Basta vedere la propria partner dialogare affabile con un altro dio all’infuori di loro, per arrivare a esplodere, verbalmente e fisicamente. Questi uomini sono in grado di vivere il momento più tragico della loro vita con delle infradito di gomma, una telecamera e dieci sconosciuti addosso, sono sconvolti, sradicati, sono devastati da questa reazione squassante alla vista delle loro donne da sole. Le ragazze intanto, male che va, ballano in bikini, dialogano, si concedono mezza moina, si agghindano maliziose e sembra stiano riscoprendo una giovinezza perduta, anche se spesso hanno 27 anni.
I fidanzati scappano, si sfogano, urlano, poi piangono, si vergognano, si umiliano, si chiamano “frate’” tra di loro, in uno spettro emotivo che sembra maschile e poi femminile, violento e poi disperato: solo dopo aver distrutto mezzo villaggio e aver dimostrato quanto ci tengono, possono abbandonarsi alla fragilità. E la sensazione è che sia la prima volta che accade. Sembra che non si siano mai confrontati con dei pensieri di profondità emotiva, sembra che non abbiano avuto altri linguaggi amorosi se non il “guarda come mi hai ridotto”. È triste e pericoloso in un modo che non so nemmeno spiegare.
Sonia B e Simone
Stanno insieme da sei anni, Simone pensa che abbiano perso la loro complicità ma pensa anche che la terra sia piatta quindi io non so bene come andare avanti. Hanno un problema di intimità negata, lui si sente rifiutato, lei pare non averne voglia. Lui ha ammesso un tradimento, lei ha pianto, le amiche l’hanno consolata “non sei tu sbagliata”, la delusione è grande, il viaggio nei sentimenti è duro, ci sono, insomma, dei presupposti difficili.
“Penso che lui non più sia innamorato di me già da un po’, solo che non ha avuto il coraggio di dirmelo per convenienza” (Sonia)
“il corpo che non può perdere il muscolo, le riserve di glicogeno le prende dal fegato” (Simone)
Simone è un pozzo di citazioni, dice della sua sensibilità che è difficile che qualcuno gliela estragga, poi si chiude in bagno con la single e si baciano, sapendo che la fidanzata lo vedrà. La sua domanda preferita da fare alle ragazze del villaggio è “cosa pensi di me?”, forse perché nello sguardo piatto e vagamente schifato della sua ragazza la risposta è palese. Il riconoscimento che proviene dall’altro come unica forma di esistenza è il male del nostro secolo e Sonia e Simone è come se si fossero cuciti l’un l’altro un mantello dell’invisibilità, che ci porta a una sola unica domanda: perché non si lasciano? È come se preferissero uno tsunami per non dirsi che sono morti di noia, sapendo che tanto la fine è la stessa.
Penso costantemente a quanto sia fondamentale l’educazione affettiva nei giovani – una espressione che ormai è diventata quasi un’unica parola, leducazioneaffettivaperigiovani, sembra non significhi più nulla – e a come potremmo salvarci tutti se solo si imparasse a accogliere la fine delle cose senza fallimenti, senza colpe, senza lacerazioni identitarie. Altrettanto costantemente mi chiedo perché Maria de Filippi non faccia un pomeridiano del programma con psicologi e terapeuti di coppia in studio, che aiutino il pubblico a codificare le scene che vanno in onda. Porterebbe a casa capra e cavoli, la farebbero santa, più di quanto già non sia.
La puntata finisce lasciando sullo sfondo le altre coppie, di loro so poco, ma aspetto la prossima per conoscerne le superficiali intimità.
Saranno venute anche loro a scoprire quanto è saldo il sentimento, ma lo sanno poi cos’è un sentimento? Lo sanno riconoscere, lo sanno trasformare in riflessione, in esperienza, in saggezza? E io che uso espressioni come “relazione disfunzionale” e “mascolinità tossica”, che impazzisco a individuare le dinamiche patriarcali nelle puntate, che scuoto la testa mentre questi si accaniscono sulle sedie del giardino, sono poi tanto meglio di loro? Io che conosco i meccanismi televisivi, che posso immaginare avendo lavorato in queste produzioni, se siano o meno pilotate le azioni e le reazioni dei protagonisti, posso davvero giurare che sia tutta una messinscena? Posso davvero affermare di non aver mai visto una trama identica nelle relazioni delle mie amiche, o anche nelle mie?
La verità è che se anche Temptation Island mostrasse i fili dei burattini, se anche fosse una riuscita pantomima romanzata, un Beautiful posticcio made in Calabria, quelle storie, quelle lacrime, quegli amori difficili esistono, e non solo per Calvino, anche per Denise e Marco.
Ora potrei spingermi a dire che è un rito collettivo quello che si mette in atto: riunisce una comunità intorno a un fuoco simbolico per decidere cosa sia l’amore, cosa il rispetto delle regole, cosa l’onore, cosa la gioia, cosa il desiderio. Potrei dire che è un osservatorio sugli stereotipi, sui luoghi comuni, sui ruoli di genere, arrivo a dire che guardando Temptation Island possiamo indovinare gli esiti elettorali dei prossimi anni. Posso convincervi che sia sfiancante guardarlo, che sia deprimente, che abbia effetti sulla psiche, che abbassi l’intelligenza, che uccida i neuroni e che mi renda più scema, ma servirebbe a poco, se non a riabilitare la mia immagine di non analfabeta.
Ma Temptation Island è, alla fine di tutto, un’occasione di empatia: cosa di noi c’è in Simone e Sonia B? Cosa di Sonia B e Simone c’è in noi?
Se si applica questa lente si apre un mondo non poi così distante dal proprio, da cui emerge una sola grandissima, democratica verità: vogliamo tutti essere felici, vogliamo tutti stare meglio.
Anche quelli per cui la terra è piatta.
Daniela Collu
Daniela Collu è autrice e conduttrice. La trovate su spotify con il podcast “Sigmund” e su Sky con “Ogni 72 ore”.
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