Tagliare i ponti coi genitori, anche da adulti - Lucy
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Flavia Bevilacqua

Tagliare i ponti coi genitori, anche da adulti

Il fenomeno dei cosiddetti Estranged Adult Children, cioè dei figli adulti che si allontanano volontariamente dalla famiglia d’origine, è sempre più diffuso anche in Italia. C’entra la maggiore sensibilità generale rispetto al tema della salute mentale, ma anche l’opportunità data dai social: di conoscersi, confrontarsi e, in alcuni casi, aiutarsi.

Durante l’estate tra la mia terza e quarta elementare rimasi perplessa alla lettura di un romanzo per ragazzi, Greta che vola, di Silvia Roncaglia. La storia raccontava di una bambina di dieci anni un po’ ribelle che amava arrampicarsi sugli alberi e fare scherzi alla sua famiglia, ma che la madre avrebbe voluto trasformare in una “gran dama”. Quando la donna decide di iscriverla al collegio “Severo Educato Perfettini” per insegnarle le buone maniere, Greta scappa di casa e quella ritrovata libertà le permette di scoprire talenti nascosti e il suo posto nel mondo. 

Arrivata alla fine del libro, ricordo di aver provato un senso di amarezza. Per quanto l’idea che un genitore potesse fare del male ad un figlio mi sembrasse spaventosa, a sconvolgermi davvero era un altro dubbio: sarei mai stata capace di chiudere i rapporti con la mia mamma e il mio papà? E soprattutto, avrebbe potuto questa fuga farmi forse del bene?

Sebbene i dati italiani siano ancora frammentari, esperti e psicologi rilevano oggi un aumento di figli adulti che, a fronte di dinamiche di abuso, controllo o manipolazione, decidono di interrompere i rapporti con i propri genitori, scelta favorita da una maggiore consapevolezza sui temi della salute mentale e dalla diffusione di spazi virtuali in cui condividere e normalizzare il “no contact”.

Quando A. – che preferisce restare anonima – mi ha contattata online per raccontarmi la sua storia, ha cominciato proprio dal giorno in cui ha capito che sarebbe scappata di casa.

Era inizio giugno. A. aveva allora 26 anni e studiava Lingue nell’università più vicina al suo paese. Racconta che il suo sogno sarebbe stato fare il DAMS, ma sua madre non era stata d’accordo: “L’arte e lo spettacolo non erano discipline ben viste socialmente, secondo lei. Poi così non mi sarei trasferita altrove e sarei rimasta vicina, ogni giorno accompagnata da casa a lezione e viceversa, come fossi alle elementari”.

Quel giorno aveva dato l’ultimo esame di quella sessione universitaria. Era tornata a casa con un gran senso di leggerezza, ma appena varcata la soglia, sua madre l’aveva aggredita, verbalmente e fisicamente. “Hai rubato”, le urlava, “fai schifo”. A. non aveva idea di cosa stesse dicendo, ma le era chiaro che la madre fosse “alla disperata ricerca di un motivo per punirmi dei minimi spazi di libertà che mi stavo prendendo”: frequentare un ragazzo, scegliere da sola come vestirsi, scegliere da sola che sport fare, persino dormire in una camera per conto proprio.

Durante la notte, A. aveva raccolto tutte le sue cose e la mattina dopo era andata via. 

Anche dopo essere scappata, A. non ha chiuso completamente i rapporti con la madre. Solo una quindicina di anni dopo, quando suo padre ormai era morto da tempo e aveva già avuto la sua prima bambina, A. ha deciso di tagliare i ponti con lei del tutto: l’ha bloccata sui suoi canali social e ha cancellato il suo numero di telefono. A oggi, dice che non sa neanche se sia ancora viva.

Qualche anno fa A. ha fondato un gruppo Facebook privato dedicato a figlie di madri narcisiste. “Ho aperto il gruppo quando ho iniziato a leggere di narcisismo e ho capito che non ero da sola. Infatti dai 30 che eravamo all’inizio, oggi siamo quasi 700 membri, tutti maggiorenni con storie più o meno simili. Ci sono donne anche molto più grandi di me”, dice A. I gruppi Facebook dedicati agli adulti vittime di disfunzionalità genitoriale in Italia sono vari e frequentati: oltre al gruppo aperto da A., tra i più partecipati c’è ”Figli di Genitori Narcisisti”, che ha 590 membri, oppure “Salvarsi da un genitore narcisista”, che ne conta 953.

Le regole dei gruppi spiegano che lì le persone possono condividere con gli altri membri (anche anonimamente) le relazioni abusive che hanno vissuto e scambiarsi suggerimenti su come gestire l’eventuale distanza corporea ed emotiva che decidono di porre tra loro e i propri genitori violenti. Queste comunità, che Reddit unisce sotto la definizione di Estranged Adult Children, hanno sviluppato online anche un linguaggio specifico che spiega che tipo di rapporto mantengano con la famiglia: LC: low contact, VLC: very low contact, NC: no contact

L’estraniamento familiare, il processo attraverso cui i membri di una famiglia diventano estranei l’uno all’altro, è un tema ancora poco esplorato nella ricerca sociologica e psicologica, ma alcune organizzazioni internazionali si stanno adattando a questo fenomeno in crescita. Nel Regno Unito l’associazione Stand Alone sostiene studenti universitari che si sono allontanati dai genitori, con gruppi di supporto e campagne per agevolare loro l’accesso agli aiuti finanziari. Negli Stati Uniti – dove, secondo un sondaggio del 2019 condotto dalla Cornell University, almeno il 27% degli americani ha rotto i ponti con un membro della propria famiglia – l’ente Together Estranged organizza incontri e attività di supporto per gli adulti “estraniati” durante le festività.

L’Italia, culturalmente arroccata in un modello familiare tradizionale, ha accolto più timidamente il fenomeno, rallentato ancora di più da una forte dipendenza economica e abitativa tra genitori e figli adulti italiani. Secondo dati Eurostat del 2022, l’età media in cui i giovani italiani lasciano la casa dei genitori è di 30 anni, ben oltre la media europea di 26,4 anni.

Federico Zullo, pedagogista e presidente dell’associazione Agevolando, la prima realtà in Italia dedicata ai care leavers, ovvero ragazzi che al compimento della maggiore età si ritrovano senza il supporto di una famiglia di origine, spiega che in Italia il ruolo delle istituzioni nella vita dei giovani adulti che vorrebbero emanciparsi dai propri genitori è estremamente carente rispetto agli altri paesi europei. “Fin quando sei minore gli aiuti sono un po’ più consistenti, ma se dopo i 18 anni vorresti diventare indipendente da una famiglia anche non adeguata, manipolatoria, lo Stato non fa ancora nulla per te, nonostante ad oggi ci sia una maggiore sensibilità sul tema della disfunzionalità”, dice Zullo.

Ma oltre all’instabilità lavorativa e le difficoltà economiche, il mantenimento di contatti familiari stretti è alimentato anche da una cultura che promuove la co-residenza fino a tarda età e il dovere di cura nei confronti dei genitori anziani, in contrasto con i modelli anglosassoni, dove la separazione dai genitori avviene prima e spesso in modo più netto, spiega la sociologa Chiara Saraceno, docente di Sociologia della famiglia presso l’Università di Torino.

“L’estraniamento familiare, il processo attraverso cui i membri di una famiglia diventano estranei l’uno all’altro, è un tema ancora poco esplorato nella ricerca sociologica e psicologica, ma alcune organizzazioni internazionali si stanno adattando a questo fenomeno in crescita”.

“Proprio perché l’Italia non ha mai concepito il distacco familiare come dovuto e positivo nello sviluppo dei figli come esseri umani e cittadini, la motivazione conflittuale come motore dell’allentamento dei rapporti è storica nella concezione italiana della relazione genitore-figlio”, dice la professoressa Saraceno. “Ma se il disagio familiare c’è sempre stato, ciò che sta cambiando adesso è il riconoscimento dei suoi aspetti patologici”, aggiunge.

Sui social media, in cui la discussione sulla salute mentale è sempre più normalizzata, alcuni adulti italiani raccontano i benefici dell’interruzione dei contatti con i propri genitori, altri chiedono consigli su come separarsi da madri e padri, altri ancora li forniscono. Valentina Tridente, podcaster e consulente di comunicazione digitale, è una dei pochi content creator italiani a parlarne apertamente sulle sue pagine, da 72mila follower su Instagram e 6 milioni di like su Tik tok. “Ricevo migliaia di commenti sotto i reel in cui parlo di mio padre. Ma molta più gente di quella che si può leggere nei commenti mi scrive in privato. E lo fanno perché hanno vergogna e paura di esporsi pubblicamente”, mi spiega Tridente.

“Chi non capisce come si possa decidere di chiudere i rapporti con la propria famiglia forse è fortunato da non essersi mai trovato così in difficoltà da dover scardinare il default culturale di ‘onora il padre e la madre’, il preconcetto che loro sono il tuo porto sicuro per ragioni biologiche”, aggiunge Tridente, “e questo porta alla sensazione di avere la coscienza sporca, del dubbio che forse hai sbagliato tu, che hai capito male le loro intenzioni”.

Tra le persone intervistate per questo articolo, e che hanno deciso di mantenere anonimo il loro contributo per proteggere la loro privacy, sono molte quelle che hanno raccontato la fatica e il senso di colpa che li accompagna da quando hanno deciso di interrompere i rapporti con i propri genitori. “Credo di essermi allontanata in età adulta dal mio paese d’origine proprio perché non avevo nulla da perdere. Portavo in me però sempre un senso di colpa per il no contact. In questo mi ha aiutata la mia psicologa e ora riesco a tenere le distanze a cuore leggero con consapevolezza”, dice S. “Non si fa no contact a cuor leggero, gli abusi devono essere stati tanti e pesanti, da non lasciare scelta per la propria incolumità”, spiega invece M.

Oltre alle community online di “vittime” di rapporti familiari disfunzionali, in Italia aumentano anche i figli che decidono di rivolgersi a figure professionali di mediazione familiare. “Negli ultimi anni abbiamo incontrato sempre più spesso situazioni in cui il conflitto non è più tra ex coniugi, ma tra genitori e figli adulti: famiglie in cui la comunicazione è saltata, a volte dopo decenni di silenzi, fraintendimenti, dolore accumulato”, dice Fulvio Scaparro, professore di psicopedagogia e psicologia all’Università degli Studi di Milano e fondatore dell’associazione GeA (Genitori Ancóra), la prima in Italia dedicata alla mediazione familiare per genitori separati o in conflitto. “In ogni caso, il nostro obiettivo non è ‘fare pace’ a ogni costo, ma creare le condizioni per un dialogo autentico”, aggiunge Scaparro.

Ma nei forum online, dove chi ha tagliato i ponti con le famiglie condivide sia un nuovo vocabolario sia una serie di norme di comportamento, si accetta con difficoltà l’idea di interrompere il no contact. In uno di questi gruppi facebook, dopo che un’utente ha raccontato dell’ultimo contatto conflittuale con la madre e di avere dubbi all’idea di partire in vacanza con lei, altri membri hanno commentato che “bisogna avere la consapevolezza che non si potrà mai stare in pace con un narcisista. Noi sbagliamo perché li trattiamo come persone normali, ma non lo sono”, oppure scrivendo che “purtroppo finché le sentiamo [riferendosi alle madri degli utenti, nda], c’è questo rischio”. Secondo le associazioni di mutuo aiuto, però, rompere rapporti familiari quando pericolosi o dannosi non è una regola assoluta.

Monia, la coordinatrice del Comitato relazioni con l’esterno dell’associazione Aca (Adult children of alcoholics and dysfunctional families, in italiano “Figli adulti di alcolisti e famiglie disfunzionali”), è cresciuta con un padre alcolista e una madre dipendente da farmaci e mangiatrice compulsiva, ma non si è mai allontanata definitivamente dalla sua famiglia. “Il programma Aca ti invita a lavorare dentro di te sul modo in cui tu rispondi a quella relazione” spiega Monia. “Può darsi che poi, col tempo, tu scelga di limitare i contatti oppure che tu senta di voler riconciliarti: non c’è una regola giusta per tutti. Ma sarà una scelta che nasce da un processo di consapevolezza, non di rabbia”, aggiunge.

I membri di Aca, attiva in Italia da almeno trent’anni ma che di recente sta raccogliendo sempre più adesioni, hanno storie familiari che vanno da abusi sessuali a aggressioni verbali e psicologiche fino alla violenza economica, e molti di loro provengono da altri gruppi di mutuo aiuto, come Alcolisti anonimi, Giocatori anonimi o Dipendenti dal sesso. “A volte quando si è stati vittime di disfunzionalità da bambini, vi si rientra da adulti. E uscire da questa dinamica è un processo talmente lento e complesso che noi suggeriamo di non parlare di colpa, ma di comprendere quello che si è subito cercando di accettare con serenità la propria storia e identità”, dice Monia.

Anche A., che oggi ha 47 anni, mi racconta in una telefonata che sente di aver trovato un senso in quello che le è successo nella persona che è ora: “Credo che se avessi avuto un’altra famiglia probabilmente sarei diversa, più debole e meno determinata. Oggi posso dire di essere contenta della persona che sono, della professionista, della donna e della madre che sono diventata”.

“Quando penso a mia madre, la prima emozione che sento è una paura atavica di morire. Il giorno in cui sono scappata è stata la prima volta nella mia vita in cui non mi sono spaventata, ma neanche in quel momento di massima libertà mi sono liberata dal senso di morte. Per settimane, dopo essermi trasferita dal mio ragazzo di allora, che viveva a 20 km da dove abitava mia madre, non riuscivo a guardare fuori dalla finestra perché sentivo che me la sarei trovata davanti con una pistola o un coltello”, racconta A.

Adesso A. ha due bambine, e dice che il più grande insegnamento che cerca di dar loro è quello di combattere per la loro libertà, anche da lei stessa: “Devono essere libere di fare quello che vogliono nella vita. Non devono avere vincoli, non de vono avere condizionamenti, non devono scegliere quello che io vorrei che loro facessero”.

Racconta che quando in ospedale le hanno posato tra le braccia la sua prima figlia ha sentito nel cuore “un’esplosione di gioia e amore”. “In quel momento ho capito che sarei stata una madre migliore della mia”, dice.

Flavia Bevilacqua

Flavia Bevilacqua è giornalista. Scrive di discriminazioni intersezionali e di lotte sociali.

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