Anna Adamo
Un reportage fotografico sui paesaggi, i simboli e le contraddizioni della Zona Demilitarizzata coreana, che divide non solo due Paesi ma due modi di vedere il mondo.
A pochi chilometri da Seul si estende uno dei confini più insoliti e sorvegliati al mondo: la Zona Demilitarizzata coreana, meglio nota come DMZ. Nata nel 1953 con l’armistizio di Panmunjeom, dopo tre anni di guerra e milioni di vittime e sfollati, questa striscia di terra lunga 250 chilometri e larga circa 4 è, a dispetto del nome, fortemente militarizzata da entrambi i lati. Un confine tracciato per contenere il conflitto, ma che da decenni cristallizza una divisione ancora irrisolta.
La DMZ è un luogo in cui coesistono elementi apparentemente inconciliabili. I reticolati, i bunker e le postazioni di sorveglianza si alternano a parchi commemorativi, osservatori turistici, musei e simboli di riconciliazione. Il suo paesaggio, segnato da decenni di tensioni politiche, assume spesso tratti surreali. Imjingak, ad esempio, è un complesso sorto per riflettere sulla separazione delle due Coree, visitato ogni anno da migliaia di famiglie separate dal conflitto e da turisti curiosi. Poco distante, il parco Il Nuri ospita eventi pubblici, cerimonie e spazi di riflessione dedicati alla pace.
Altri luoghi accessibili offrono uno sguardo ancora più diretto sulla storia del luogo e sulla divisione tra le due Coree: Panmunjeom, il villaggio dove venne firmato l’armistizio, ospita ancora oggi (rari) incontri diplomatici; il Terzo tunnel, scavato segretamente dai nordcoreani per tentare (forse) un’infiltrazione oltreconfine, rappresenta una delle tante evidenze della sorveglianza reciproca e dell’equilibrio precario di questo confine; l’Osservatorio Dora permette ai visitatori di osservare, attraverso potenti binocoli, villaggi e terreni oltre la linea di confine, rendendo tangibile la vicinanza fisica tra due realtà politicamente e socialmente distanti. Le visite avvengono sempre previ rigidi controlli, con documenti verificati e accompagnamento militare: nessuno può accedere autonomamente.
“La DMZ è un luogo in cui coesistono elementi apparentemente inconciliabili. I reticolati, i bunker e le postazioni di sorveglianza si alternano a parchi commemorativi, osservatori turistici, musei e simboli di riconciliazione”.
Uno degli elementi più emblematici e ambigui della zona è Pyeonghwa Land, un piccolo parco divertimenti costruito vicino al confine. Pensato per rendere l’area più accessibile alle famiglie e ai bambini, si presenta come un tentativo di normalizzare – o almeno rendere meno cupa – l’esperienza della visita. Ma le sue giostre dai colori accesi, e le melodie diffuse dagli altoparlanti, immerse in un contesto segnato dalla sorveglianza militare e dalla memoria del conflitto, producono un effetto straniante: una dimensione ludica in un luogo carico di tensione.
Ogni dettaglio dell’area – dai pannelli informativi alle sculture commemorative, dai murales ai monumenti religiosi – racconta una parte della Storia coreana recente. Questo confine non separa solo due Stati, ma anche due visioni del mondo, due tempi, due identità che faticano a riconciliarsi. Il paesaggio che ne emerge è frammentato, contraddittorio e spesso difficile da interpretare. Un luogo che continua a resistere a ogni tentativo di semplificazione e a interrogare chi lo attraversa — o anche solo chi lo osserva da lontano, con foto come queste, scattate dalla fotografa Anna Adamo.
Anna Adamo
Anna Adamo è una fotografa freelance. Nei suoi lavori ha dedicato particolare attenzione allo studio del ritratto e delle sottoculture. Suoi progetti sono stati pubblicati da diverse testate editoriali e online.
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