Contro il diluvio di parole, leggiamo Juan Rulfo - Lucy
Compagni di strada

Goffredo Fofi

Contro il diluvio di parole, leggiamo Juan Rulfo

22 Marzo 2024

Passare anche solo poche ore con un grandissimo scrittore, può rivelarsi indimenticabile. Per Goffredo Fofi, nessun appuntamento è stato emozionante come quello con Juan Rulfo, scrittore poetico, essenziale, grande classico della letteratura ispanoamericana che oggi andrebbe riscoperto.

Ho scritto su questo sito di alcuni incontri mancati, e mi piace parlare ora di un incontro riuscito, e per me indimenticabile, quello con il grande scrittore messicano Juan Rulfo (1918-1986). 

Forse i due nomi più importanti nella letteratura latino-americana del Novecento sono quelli – non sono il solo a pensarlo – del messicano Juan Rulfo e dell’argentino Jorge Luis Borges. Diversi, anzi all’opposto, nelle loro radici culturali e nel loro “progetto”.

Non credo che si siano mai incontrati, e non mi sembra che si siano mai occupati l’uno dell’altro, ma è improbabile che non si siano incuriositi dei rispettivi libri, tanto furono cari a tanti lettori (e scrittori) dello stesso continente.

Dovrei aggiungere un terzo nome per me grandissimo: quello di Joao Guimaraes Rosa brasiliano, che scriveva in un’altra lingua, pure latina ma di derivazione portoghese invece che spagnola. 

La letteratura latino-americana ha avuto e ha altri grandi nomi, i cubani  (e barocchi) José Lezama Lima e Alejo Carpentier (su quest’ultimo, troppo trascurato perché “barocco”, come se dire barocco fosse un insulto, vorrei tornare in un prossimo articolo), i messicani Octavio Paz grande saggista, e Carlos Fuentes narratore e saggista, il peruviano Mario Vargas Llosa, il guatemalteco Miguel Angel Asturias premio Nobel, alcuni altri argentini come Roberto Arlt e Julio Cortazar (quest’ultimo ammiratore sia dell’aristocratico Borges che del popolano Arlt…), il colombiano Gabiel Garcìa Màrquez altro Nobel, e poeti a volontà, formidabili su tutti il peruviano Cesar Vallejo e il cileno Pablo Neruda e tra i più recenti il messicano José Emilio Pacheco… 

E alcune donne di grande ispirazione e grande cultura, forse tutte eredi di quella monaca Juana de la Cruz messicana, che scrisse da un convento del profondo Seicento. Ardita messicana del Novecento, di origine polacca, fu Elena Poniatowska, che si è mossa tra etnologia, giornalismo, romanzo con il capolavoro Hasta no verte, Jesùs mio, biografia-romanzo di una india analfabeta o semi-analfabeta, e Il massacro di Tlatelolco, cronaca e raccolta di testimonianze del ‘68 messicano, due libri che tutti dovrebbero avere nelle loro biblioteche, per motivi diversi. 

Ho avuto la fortuna di conoscere alcuni di loro, ma nessuno con altrettanta emozione che Juan Rulfo, a Città del Messico. Un grande amore della mia vita è stata Paola, un’italiana cresciuta in Messico, e grazie a lei ho potuto conoscere (e amare) quel grande paese e i suoi indios o meticci.

Juan Rulfo, peraltro, quando l’ho conosciuto passando con lui due o tre ore indimenticabili in una piccola libreria universitaria di Città del Messico, dirigeva l’ente nazionale di studi sulla popolazione originaria del Messico e su quel che ne restava, che era molto e non fermo. (Per la stessa ammirata curiosità ho apprezzato il cinema oggi dimenticato, di Emilio Fernàndez detto “el indio”, ai limiti del melodramma e del western).

Se i lettori italiani conoscono tutta la scarna opera di Rulfo lo debbono a Ernesto Franco, che ha ripreso per Einaudi i suoi brevi capolavori, Pedro Paramo, La pianura in fiamme (noto anche come La morte al Messico), e Il gallo d’oro, un racconto per il cinema. La vita e la morte, e cioè i vivi e i morti vi si incontrano e vi si confondono (diceva il nostro Pasolini che “essere vivi o essere morti è la stessa cosa”, ma avemmo e abbiamo ancora molto da obiettargli…), in un’atmosfera rarefatta eppure concreta, tangibile… e  se Rulfo ha qualche debito nei confronti di scrittori venuti prima di lui o suoi contemporanei, è con l’opera di William Faulkner, scrittore meridionale per eccellenza e maestro di tanti grandi scrittori dei sud del mondo. 

Penso, da quando li ho letti nei lontani anni Cinquanta dello scorso secolo, che Kafka avrebbe dovuto essere il più grande maestro della letteratura dei Nord del Novecento così come Faulkner lo è stato per quella dei Sud. Ma se Faulkner era spesso torrenziale, Rulfo era invece essenziale, e non credo che tutta la sua opera arrivi alle 500 pagine… Di Faulkner è l’attenzione e l’atteggiamento, ma è solo di Rulfo, anti-barocco per eccellenza, la capacità di sintesi, un “a levare” invece che “ad aggiungere”: arrivare all’essenza, e lasciare che al resto pensi il lettore, sollecitato dal poco invece che stordito dal molto. 

“Ho avuto la fortuna di conoscere alcuni di loro, ma nessuno con altrettanta emozione che Juan Rulfo, a Città del Messico”.

Juan Rulfo è stato anche un ottimo fotografo, sulla scia di una grande maestra come Tina Modotti e del grande fotografo di Ejzenstejn, Tissé. E più tardi vicino a un’altra grande, Graciela Iturbide, e a un altro grande, Manuel Alvarez Bravo. Schivo ed essenziale nella sua arte, lo è stato meno nella vita, dedicata al suo Messico indio, al suo Messico povero e contadino.

Vale la pena di riscoprirlo e apprezzarlo, anche per contrastare il diluvio di parole di una letteratura contemporanea iper-democratica, a-selettiva e tremendamente ciarliera, inessenziale, nel tempo in cui chiunque scrive può pubblicare. Ai miliardi di parole dei nostri contemporanei può essere rigenerante contrapporre gli austeri, essenziali libri di Rulfo, i suoi tre o quattro brevi anzi brevissimi capolavori.          

Goffredo Fofi

Goffredo Fofi è saggista, critico cinematografico e letterario. Il suo ultimo libro è Cari agli dèi (Edizioni E/O, 2022).

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